La Cina “inonda” l’America di spie

La Cina “inonda” l’America di spie

di Gordon G. Chang 3 gennaio 2021

Pezzo in lingua originale inglese: Espionage Emergency: China ‘Floods’ America with Spies
Traduzioni di Angelita La Spada

Data l’emergenza, Washington dovrebbe chiudere immediatamente tutte le basi operative cinesi negli Stati Uniti, compresi i suoi altri quattro consolati – a Chicago, Los Angeles, New York e a San Francisco – e ridurre sostanzialmente lo staff dell’ambasciata. In realtà, l’ambasciata necessita solo dell’ambasciatore, del suo nucleo familiare e dei collaboratori personali, e non delle centinaia di persone attualmente assegnate lì.

Anche il consolato cinese a New York è un centro di spionaggio. James Olson, un ex capo del controspionaggio della CIA, ha “prudentemente” stimato che la Cina, nelle parole del New York Post, “ha più di un centinaio di funzionari dell’intelligence che operano in città in qualsiasi momento”. New York City, ha detto Olson, è “sotto assalto come mai prima d’ora”.

Pechino si limiterà a trasferire spie nelle banche e nelle aziende cinesi che operano negli Stati Uniti? Probabilmente, ma ci vorrà tempo e, in ogni caso, Washington può ordinare la chiusura anche degli avamposti non diplomatici.

Altri diranno che le aziende americane in Cina hanno bisogno dell’appoggio consolare. E ovviamente è così. Io ritengo che sia nell’interesse dell’America rilocalizzare le imprese statunitensi al di fuori della Cina, sia per motivi etici sia per altre ragioni. La perdita del sostegno consolare sarà per loro un motivo in più per fare le valigie in fretta.

 

The Chinese flag flies at the Chinese consulate in Houston on July 22, 2020. - US-Chinese tensions, already rising because of the coronavirus pandemic and crackdown in Hong Kong, ratcheted up another notch on Wednesday as the US ordered the closure of the Chinese consulate in Houston within 72 hours. China reacted angrily to the US move, which came a day after the unveiling of a US indictment of two Chinese nationals for allegedly hacking hundreds of companies worldwide. (Photo by Mark Felix / AFP) (Photo by MARK FELIX/AFP /AFP via Getty Images)
 L’influenza della Cina, l’intelligence e i suoi tentativi di infiltrazione stanno travolgendo l’America. La Cina ha centinaia – forse migliaia – di agenti negli Stati Uniti che identificano, adescano, appoggiano, influenzano, compromettono e corrompono gli americani nell’ambito politico e in altri settori importanti. Nella foto: il consolato cinese a Houston, il 22 luglio 2020, il giorno prima che il governo americano lo chiudesse per essere stato “un centro di spionaggio e di furto della proprietà intellettuale”, nelle parole del segretario di Stato Mike Pompeo. (Foto di Mark Felix/AFP via Getty Images)

Le rivelazioni di questo mese sul deputato democratico della California Eric Swalwell evidenziano la completa penetrazione di Pechino nella società americana.

L’influenza della Cina, l’intelligence e i suoi tentativi di infiltrazione stanno travolgendo l’America. Data l’emergenza, Washington dovrebbe chiudere immediatamente tutte le basi operative cinesi negli Stati Uniti, compresi i suoi altri quattro consolati.

Forse l’aspetto più sorprendente della notizia su Swalwell è che Fang Fang, una sospetta agente del Ministero della Sicurezza di Stato cinese nota anche come “Christine”, lo contattò per la prima volta non mentre lui era membro del Comitato di Intelligence della Camera, ma quando sedeva nel Consiglio comunale di Dublin, in California.

La Fang ha seguito e promosso la carriera di Swalwell quando lui venne eletto alla Camera dei Rappresentanti e assegnato a un comitato di grande interesse per la Cina.

La Cina ha centinaia – forse migliaia – di agenti negli Stati Uniti che identificano, adescano, appoggiano, influenzano, compromettono e corrompono gli americani nell’ambito politico e in altri settori importanti.

Per identificare e lavorare con tutti gli Swalwell del caso, gli agenti cinesi possono addirittura arrivare ad essere centinaia di migliaia. Darrell Issa, deputato repubblicano della California, l’11 dicembre ha detto a Fox News che ci sono “centinaia di migliaia di persone che agiscono da spie e che sono coordinate dalla Cina”.

Pechino ha un approccio da “mille granelli di sabbia” per intervistare studenti, turisti, imprenditori e imprenditrici che tornano in Cina, raccogliendo informazioni apparentemente insignificanti. Tuttavia, Pechino è in grado di confrontare il materiale raccolto, utilizzando la sua crescente intelligenza artificiale e altre capacità.

La Fang sembra essere più di una semplice raccoglitrice di informazioni. Potrebbe anche avere “incastrato” Swalwell, che deve ancora respingere le accuse di una relazione sessuale con la donna. La Fang è arrivata in America intorno al 2011 per studiare alla Cal State University East Bay, dove dirigeva un gruppo politico, una sezione locale dell’organizzazione Asian Pacific Islander American Public Affairs. Al momento, la Cina ha circa 370 mila studenti nei college e nelle università americane. Il numero degli studenti cinesi è triplicato in un decennio.

Ogni studente è un potenziale agente perché tutti sono obbligati per legge a commettere spionaggio contro gli Stati Uniti. Gli articoli 7 e 14 della National Intelligence Law cinese del 2017 prevedono che ogni cittadino cinese svolga attività di spionaggio, se richiesto. Inoltre, nessun cittadino cinese può opporsi alla richiesta di condurre attività di spionaggio – o di compiere qualsiasi altro atto – nel sistema verticistico del Partito Comunista.

Non a caso la Cina impiega sistematicamente i propri cittadini per raccogliere informazioni e utilizzare strutture diplomatiche per gestirle. La Fang, ad esempio, era in contatto con un diplomatico sospettato di essere un agente del Ministero della Sicurezza di Stato, con sede nel consolato di San Francisco.

Questo consolato ha perfino ospitato un ricercato dall’FBI. Tang Juan ha finito per arrendersi alle autorità americane il 24 luglio scorso dopo che aveva lasciato un mese prima il rifugio sicuro. La Fang è sospettata di aver occultato i legami con l’esercito cinese mentre lavorava come ricercatrice di biologia presso l’University of California Davis.

A luglio, il Dipartimento di Stato ha ordinato la chiusura del consolato cinese a Houston. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato che la struttura è stata “un centro di spionaggio e di furto della proprietà intellettuale”. Si ipotizza che il consolato sia stato usato per acquisire illecitamente, tra le altre cose, la tecnologia di trivellazione petrolifera delle vicine aziende del Texas.

Anche il consolato cinese a New York è un centro di spionaggio. James Olson, un ex capo del controspionaggio della CIA, ha “prudentemente” stimato che la Cina, nelle parole del New York Post, “ha più di un centinaio di funzionari dell’intelligence che operano in città in qualsiasi momento”. New York City, ha detto Olson, è “sotto assalto come mai prima d’ora”.

Pompeo ha detto al quotidiano newyorkese che questi funzionari dell’intelligence operano dal consolato di New York e dalla missione cinese presso le Nazioni Unite.

Gli agenti cinesi stanno sovraccaricando di lavoro le forze dell’ordine statunitensi. Il direttore dell’FBI Christopher Wray, nel luglio scorso, in occasione di un evento promosso dall’Hudson Institute, ha dichiarato che “quasi la metà” dei casi di controspionaggio del bureau sono a carico della Cina. L’FBI apre un caso di controspionaggio “collegato alla Cina” quasi ogni 10 ore.

Nel febbraio 2018, parlando davanti al Comitato di Intelligence del Senato, Wray affermò che la Cina utilizza “raccoglitori [agenti] non tradizionali, soprattutto in ambito accademico, che si tratti di professori, scienziati, studenti”, qualcosa che “ravvisiamo in quasi tutte le sedi che l’FBI ha in giro per la nazione”.

A volte, i diplomatici si dedicano direttamente allo spionaggio. Secondo uno studio condotto da Anastasya Lloyd-Damnjanovic per il Woodrow Wilson International Center for Scholars, questi diplomatici “cercano docenti e personale per ottenere informazioni in modo coerente con la raccolta dati nell’ambito dell’intelligence”.

Dan Hoffman, un ex capo della CIA, il 10 dicembre, ha detto a Harris Faulkner di Fox News che “la Cina sta inondando la zona”.

C’è un modo per far fronte a questa emergenza “inondazione” spionaggio: chiudere le basi operative della Cina negli Stati Uniti. Ciò significa chiudere gli altri quattro consolati di Pechino – a Chicago, Los Angeles, New York e a San Francisco – e ridurre sostanzialmente lo staff dell’ambasciata. In realtà, l’ambasciata necessita solo dell’ambasciatore, del suo nucleo familiare e dei collaboratori personali, e non delle centinaia di persone attualmente assegnate lì.

Pur riducendo all’osso lo staff dell’ambasciata, il Dipartimento di Stato dovrebbe espellere l’attuale ambasciatore, Cui Tiankai. Lui e qualcuno del consolato di New York hanno cercato di reclutare come spia uno scienziato in Connecticut.

Washington può dire a Pechino che può inviare un altro ambasciatore, ma dovrebbe avvertire i cinesi che verrà espulso al primo segno di condotta impropria.

Pechino si limiterà a trasferire spie nelle banche e nelle imprese che operano negli Stati Uniti? Probabilmente, ma ci vorrà tempo e, in ogni caso, Washington può ordinare la chiusura anche degli avamposti non diplomatici. A tal proposito, il presidente Trump può usare il Trading with the Enemy Act del 1917 e l’International Emergency Economic Powers Act del 1977 per porre fine al commercio, agli investimenti e alla cooperazione tecnologica con un regime che utilizza tali legami per svolgere attività di spionaggio.

Ovviamente, la Cina reagirà, chiudendo i consolati statunitensi e riducendo il personale dell’ambasciata americana a Pechino. Gli analisti argomenteranno che poiché l’America è una società aperta e la Cina è una società chiusa, Washington ha bisogno di avamposti diplomatici in Cina più di quanto i cinesi abbiano bisogno dei loro in America.

Si tratta di un valido argomento, ma gli Stati Uniti dovrebbero comunque agire in modo tale da mostrare a Pechino che sono assolutamente decisi a difendersi. Niente dimostra “la determinazione politica” quanto l’essere disposti a subire un brutto colpo.

Altri diranno che le aziende americane in Cina hanno bisogno dell’appoggio consolare. E ovviamente è così. Io ritengo che sia nell’interesse dell’America rilocalizzare le imprese statunitensi al di fuori della Cina, sia per motivi etici sia per altre ragioni. La perdita del sostegno consolare sarà per loro un motivo in più per fare le valigie in fretta.

Le spie cinesi stanno invadendo l’America e le misure meno drastiche hanno fallito. È ora dunque di fare qualcosa di efficace.

Gordon G. Chang è l’autore di “The Coming Collapse of China”, è Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute e membro del suo comitato consultivo.