𝗜𝗹 𝘀𝗼𝗴𝗻𝗼 𝗱𝗶 𝗿𝗶𝘂𝗻𝗶𝗿𝗲 𝗹’𝗜𝘁𝗮𝗹𝗶𝗮 𝗱𝗶𝘃𝗶𝘀𝗮
Vorrei dedicare il testamento spirituale e sociale di Giovanni Gentile a Beppe Niccolai, in occasione del suo centenario. Genesi e struttura della società, ripubblicato da Vallecchi (pp.229, 18 euro) è un “saggio di filosofia pratica” secondo la definizione dello stesso autore. È una pietra miliare ma sommersa della filosofia sociale. Poteva essere il punto di svolta e di partenza per ricucire il legame sociale, nazionale e le culture politiche uscite dalla guerra.
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Il sogno di riunire l’Italia divisa
Vorrei dedicare il testamento spirituale e sociale di Giovanni Gentile a Beppe Niccolai, in occasione del suo centenario. Genesi e struttura della società, ripubblicato da Vallecchi (pp.229, 18 euro) è un “saggio di filosofia pratica” secondo la definizione dello stesso autore. È una pietra miliare ma sommersa della filosofia sociale. Poteva essere il punto di svolta e di partenza per ricucire il legame sociale, nazionale e le culture politiche uscite dalla guerra. Poteva rifondare un fascismo e un socialismo dal volto umano e dare alla comunità nazionale una visione. Ci sono parti caduche, sostengo nell’introduzione al libro, e altre come quelle relative allo Stato etico, largamente improponibili; o discutibili come la riduzione del mito a illusione. Ma l’impianto generale, la visione comunitaria, la filosofia sociale, l’equilibrio tra libertà e autorità, tra famiglia e stato, tra socialità e identità nazionale restano insuperati. Quell’opera restò in retaggio solo a pochi isolati studiosi e appassionati di Gentile, e a un ambiente politico e umano emarginato che si riconobbe nel Movimento Sociale Italiano e citò quell’opera come il suo vangelo. Nacque un gentilianesimo sentimentale, un po’ di maniera, emotivo e retorico, che produsse scritti di testimonianza più che frutti originali del pensiero. Più citato che letto, più amato che compreso in quell’ambito; al contrario tra gli intellettuali prevalentemente legati al marxismo fu letto di nascosto e mai citato, fu odiato più che capito. I peggiori furono i suoi ex allievi diventati poi marxisti organici che cercarono con lo zelo dei neofiti di cancellare ogni traccia del loro debito verso Gentile.
Solo di passaggio Gentile allude all’esperienza fascista ma ne parla come se fosse già conclusa – era il ’43 – e comunque come un’esperienza transeunte; non lo chiama per nome ma lo cita come “il recente movimento politico italiano”, che al di là delle forme provvisorie di applicazione e delle necessità transitorie rispondeva a quell’esigenza organica che si era già fatta strada “nello stesso liberalismo conservatore”. Gentile dunque situa l’eredità del fascismo nella linea del pensiero liberal-conservatore; salvo poi nel paragrafo seguente cambiare radicalmente prospettiva e parlare dell’umanesimo del lavoro.
Qui è il passo famoso che alimentò molta letteratura neofascista del dopoguerra, ispirata alla rivoluzione sociale, a Ugo Spirito e al corporativismo integrale rimasto incompiuto, fino alla socializzazione della Carta di Verona: “All’umanesimo della cultura che fu pure una tappa gloriosa della liberazione dell’uomo, succede oggi o succederà domani l’umanesimo del lavoro”. Lavora il contadino, lavora l’artigiano e il maestro d’arte, lavora l’artista, il letterato, il filosofo. Artisti e artigiani, operai e intellettuali sono tutti lavoratori; ma il lavoro non è in Gentile solo produzione e fatica ma attività etica e riscatto spirituale. I moti sociali e i paralleli moti socialistici del secolo XIX per Gentile generarono questo nuovo umanesimo. E conclude: “l’uomo reale, che conta, è l’uomo che lavora, e secondo il suo lavoro vale quello che vale. Perché è vero che il valore è il lavoro”.
Nella definizione dello Stato, Gentile richiamava la continuità col pensiero liberale e conservatore; nell’umanesimo del lavoro, invece, richiama l’eredità del socialismo e del sindacalismo. Dalla sintesi gentiliana sorge lo Stato nazionale del lavoro, eredità politica e sociale del gentilianesimo.
L’umanesimo del lavoro fu il convitato di pietra della Costituzione italiana del ’48. La repubblica fondata sul lavoro già nel primo articolo della Carta ne è traccia palese, e gli eredi dell’umanesimo del lavoro sono le forze socialiste e comuniste, cattolico-popolari e sindacali.
Il materialismo è per il filosofo “il crollo di ogni moralità”. E invece l’uomo svolge un’attività universale che è “la ragione comune agli uomini e agli dei, ai vivi, agli stessi morti e perfino ai nascituri”. Ecco la comunità intesa non solo tra i viventi ma comune a chi ci ha preceduto e a chi ci seguirà; e la filosofia ne è la sua coscienza. Ecco il pensiero comunitario di Gentile: “In fondo all’Io c’è un Noi; che è la comunità a cui egli appartiene, e che è la base della sua spirituale esistenza, e parla per sua bocca, sente col suo cuore, pensa col suo cervello”. “La comunità è presente come legge interna all’individuo”. Organicismo comunitario.
A differenza del comunismo e del platonismo, Gentile richiama il ruolo centrale e insostituibile della famiglia. L’uomo è famiglia, dice il filosofo, egli lavora per sé ma anche per i suoi figli, l’istinto alla generazione muta in vocazione e si perpetua tramite l’eredità. E in un bellissimo passo scrive: “Lì è la radice del senso dell’immortalità, onde ogni uomo s’infutura e spezza la catena dell’attimo fuggente”. Per Gentile la famiglia è il “perenne vivaio morale dell’umanità”.
Le pagine più sorprendenti, più intense e sofferte del testo sono dedicate alla morte e all’immortalità. Qui c’è tutta l’umanità di Gentile e qui si svela nella sua nudità il suo pensiero. Pagine tenere e crude, animate dalla tensione del vero che non concedono rifugio in rassicuranti illusioni. È il pensiero fervente, religioso ma non credente, di un filosofo che ritiene “miti” la resurrezione dei corpi, il Santo Sepolcro, l’Inferno, la vita eterna, la preghiera salvifica, l’immortalità dell’anima personale. Colpisce il tono sereno, fiducioso, costruttivo dell’ultimo Gentile, nonostante il clima dell’epoca e la tragedia in atto; un pensiero ostinatamente positivo, proteso al bene e alla concordia, in piena tempesta bellica, in mezzo all’odio. Cercatore di vita davanti alla morte…
MV, Il Borghese, novembre 2020