Cos’è la convenzione di Faro (che non chiede all’Italia di coprire le statue)
L’Italia ha ratificato la convenzione di Faro: secondo Lega e Fratelli d’Italia, contiene una resa alla censura (islamica), ma il testo non sembra affatto sostenere questi timori
di Paolo Conti
Il 23 settembre, dopo un iter durato anni, l’Italia ha ratificato in via definitiva la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, varata a Faro, in Portogallo, il 27 ottobre 2005. La ratifica è arrivata con un voto della Camera dei deputati, dopo che il Senato aveva dato parere positivo lo scorso anno e dopo che il governo l’aveva sottoscritta nel 2013.
La convenzione — il cui testo trovate qui — è stata ratificata da una ventina di Paesi (Armenia, Austria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Finlandia, Georgia, Lettonia, Lussemburgo, Montenegro, Norvegia, Portogallo, Moldova, Serbia, Slovacchia, Slovenia, ex Repubblica Jugoslavia di Macedonia, Ucraina e Ungheria, oltre all’Italia), mentre Francia, Germania, Regno Unito e Russia non l’hanno ratificata né sottoscritta.
Secondo gli osservatori, la Convenzione rappresenta una svola nella concezione del patrimonio culturale: secondo quanto scritto dal Fondo per l’Ambiente italiano qui, «nella legislazione italiana, erede delle norme definite nel corso del Novecento e in particolare nella Legge 1089 del 1939, la concezione del patrimonio culturale è ancora oggi legata alla centralità delle “cose”», mentre la Convenzione «introduce una visione estremamente più ampia di patrimonio culturale, inteso come “un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione”» e «affida uno specifico ruolo, una grande responsabilità e un protagonismo prima impensabile alle “comunità patrimonio”, cioè a “un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future”». Le «rivoluzioni» sono molte, sempre secondo il Fai: «si ribalta il punto di vista tradizionale: dell’autorità, spostata dal vertice alla base; dell’oggetto, dall’eccezionale al tutto; del valore, dal valore in sé al valore d’uso e, dunque, dei fini, dalla museificazione alla valorizzazione».
Insomma: si afferma il diritto «al» patrimonio culturale da parte dei cittadini; si affida a «tutti i cittadini, alle comunità locali, ai visitatori» un «nuovo ruolo nelle attività di conoscenza, tutela, valorizzazione e fruizione»; si invitano i Paesi sottoscrittori a «promuovere azioni per migliorare l’accesso al patrimonio culturale, in particolare per i giovani e le persone svantaggiate, al fine di aumentare la consapevolezza sul suo valore, sulla necessità di conservarlo e preservarlo e sui benefici che ne possono derivare».
Secondo il ministro Franceschini, ministro per i Beni e le attività culturali, «la ratifica della convenzione di Faro segna un momento fondamentale per il nostro ordinamento che riconosce, finalmente, il patrimonio culturale come fattore cruciale per la crescita sostenibile, lo sviluppo umano e la qualità della vita e introduce il diritto al patrimonio culturale».
Intorno a questa ratifica, però, si è scatenata una polemica feroce, da parte della Lega e di Fratelli d’Italia. Entrambi i partiti parano di «resa» e sostengono che la Convenzione introduca il concetto della necessità di porre limitazioni della fruizione del nostro patrimonio artistico e culturale per non offendere altrui culture ».
Il riferimento di queste polemiche sembra essere l’articolo 4, che impegna le parti firmatarie a questa disposizione: «l’esercizio del diritto all’eredità culturale può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell’interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà».
Il riferimento ad «altrui diritti e libertà» non riguarda però in alcun modo il diritto di censura, secondo quanto riferito al Corriere dal ministro Franceschini: «Nessuna censura è perpetrabile nel nome di questo atto, che mira piuttosto alla maggiore condivisione possibile di quanto abbiamo ereditato dalle civiltà che ci hanno preceduto», ha detto il ministro.
Quando si parla di limitazione dell’esercizio del diritto all’eredità culturale in nome della protezione dell’interesse pubblico si intende, ad esempio, quanto avvenuto nei primi mesi del 2020, di fronte alla pandemia di Covid: in quel caso, il diritto al patrimonio artistico è stato limitato dalla necessità di regolamentare — o addirittura bloccare — l’accesso a musei, teatri, cinema, teatri. Insomma: la convenzione di Faro non chiede affatto di «coprire le statue».
24 settembre 2020 (modifica il 24 settembre 2020 | 16:10)
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