La sorpresa di Monte Calvello e’ il Lago Spino

La sorpresa di Monte Calvello e’ il Lago Spino, a “scomparsa”, che sparisce d’estate, per riapparire d’inverno

Abbiamo risalito la Faggeta e ne siamo rimasti ammirati e ci siamo chiesti ancora una volta per quale ragione stiamo lasciando svanire dalle nostre mani questa enorme ricchezza di natura, arte e cultura
di Antonio De Lucia

L’altro giorno ancora una volta abbiamo ammirato e goduto del valore aggiunto del nostro territorio ed ancora una volta mi sono chiesto perché mai non siamo capaci di riconoscerlo, di valorizzarlo e di viverlo.
Ancora una volta, insomma, ci siamo chiesti per quale ragione stiamo lasciando svanire dalle nostre mani questa enorme ricchezza di natura, arte e cultura.
Abbiamo risalito la Faggeta di Monte Calvello, 900 metri sul livello del mare che domina Pontelandolfo.
La città è ancora fresca orfana di Ugo Gregoretti, una persona ed un maestro che prima, molto prima di tanti altri, aveva capito e amato queste benedette aree interne del Mezzogiorno e vi si era quasi stabilito, in clamorosa contro-tendenza rispetto alla fuga verso la città. Ma crediamo che il suo insegnamento continui a regalare frutti e cerchiamo di spiegarci citando solo il lavoro disinterressato ed amichevole di due ragazzi di Pontelandolfo.
La Faggeta è un vero spettacolo che si estende per ettari ed ettari.

PONTELANDOLFO ANTONIO ED ILARIA

Chi ci accompagna, cioè due giovani guide di “Sannio Trekking”, Ilaria Rubbo e Antonio Toscano, non devono spendere molte parole per invitarci a contemplare la solennità silenziosa di questo bosco, una meraviglia costruita per noi da Dio o “chi per Lui”.

Sono due bravi ragazzi, Ilaria ed Antonio: sono volenterosi, impegnati e preparati; amano la loro città; vogliono essere “testimonial” della sua bellezza.
Una bellezza che è di tutti, ma che non tutti comprendono e capiscono.
Fortunatamente, non sono soli, Ilaria ed Antonio, a fare di tutto per salvare questo scrigno costituito da faggi tanto imponenti quanto solenni; ma, sfortunatamente, chi si ostina a non voler capire il delitto che si commette a calpestarla ed oltraggiarla è altrettanto agguerrito e può contare sulla forza bruta di cui è normalmente dotato un animale selvaggio.
La Faggeta in passato, anche remoto, risalente cioé ai tempi della regina di Napoli Margherita di Durazzo, ovvero al 1381, costituiva una ricchezza materiale per i pastori e i contadini sia di Pontelandolfo che della vicina Morcone; oggi è una delle potenziali mete di un turismo alternativo a quelle del mare e delle spiagge: la Pro-loco e lo stesso Comune di Pontelandolfo, oltre alla Comunità Montana dell’Alto Tammaro, in un territorio che ha tante perle di cui vantarsi, non mancano di sostenere i percorsi del torrente Alenta, per esempio, un’altra grande opportunità che questo angolo di Campania interna offre a piena mani a chi sa apprezzare non solo quello che è scontato. Ilaria ci dice che se non vuoi scendere in canoa l’Alea, puoi invece risalire a cavallo le antiche piste verso la confinante e bellessima Cerreto Sannita. Sono tracciati impervi, naturalmente, ma i cavalli del maneggio vicino, ci dice la nostra guida, sono buoni e bravi e si lasciano montare anche da chi ha un approccio con il mondo equino limitato alla visione di qualche film western.
Di botto, la Faggeta termina e rispunta la luce del sole, non più nascosto dal fitto fogliame: raggiunto il picco, del Calvello, si para davanti agli occhi il panorama mozzafiato che spazia dal Massiccio del Taburno-Camposauro, da una lato, al Monte Mutria dall’altro: altri scrigni di bellezza, come del resto tutto il territorio delle aree interne, che trabocca di ricchezza, per chi sa trovarla, per chi la vuole cercare e per chi non la vuole soltanto deridere ed umiliare.
Se soltanto pensi alle grotte rupestri degli eremiti sul Taburno-Camposauro, oppure al canyon delle Forre di Lavello, dall’altra parte, se non addirittura al Parco Geopaleontologico di Pietraroja scoperto da un polacco, Scipione Breislak un trecento anni or sono, e a “Ciro”, il cucciolo di dinosauro che lì vi si adagiò alcune decine di milioni di anni fa, ebbene se pensi solo a quei doni, per tacere agli esempi d’arte di cultura, ti vengono letteralmente i brividi.
Inaspettatamente, la Faggeta di Monta Calvello aiuta anche a capire come passa il tempo: al suo centro, di botto, proprio nel bosco più fitto ed oscuro ti trovi davanti un immenso buco di qualche metro di profondità: scavato nei tempi andati dai contadini e dai boscaioli, quel buco è la “nevera” (a Benevento con lo stesso nome e per la stessa funzione è denominata via III Settembre, un vicoletto di corso Garibaldi) ovvero il “frigorifero” dell’epoca in cui ancora non era stata “inventata” nemmeno l’elettricità e si confidava sull’altitudine, sulla frescura naturale degli alberi e sul sottosuolo per conservare la neve ed il ghiaccio per l’estate. Ghiaccio che nei giorni più caldi veniva trasportato a valle con i cavalli.
Ancora oggi, ce ne accorgiamo ridiscendendo il picco del Calvello, ci sono metodi naturali per tenere in fresco la propria roba: qualcuno ha pensato bene di immergere una immensa anguria in una fontana (nella seconda foto in basso), che si trova ai margini della Faggeta, alimentata da una fonte freschissima e pura, per gustarne il sapore ad ora di pranzo.
Le due guide di “Sannio Trekking” hanno in serbo per noi un’altra sorpresa: un qualcosa di molto raro, in verità. E’ il Lago Spino (nella prima foto in basso) che sparisce d’estate, per riapparire d’inverno, per via di un bizzaro gioco geologico: Ilaria e Antonio ci dicono che è lago carsico o “a scomparsa” per via delle permeabili rocce calcaree nel sottosuolo.
Ad agosto sembra un normalissimo campo nel quale possono pascolare mucche e pecore; nelle stagioni autunno-inverno ed anche primavera è uno specchio d’acqua grande quanto il lago di Telese, più o meno. sponde sono delimitate da una ricca vegetazione, mentre sui rilievi sovrastanti si agitano le pale di uno dei tanti parchi eolici della zona.
Non siamo risaliti verso i resti della villa romana di Costa Chiavarine, ri-scoperta già da qualche decennio.
Nel corso di una precedente “scalata” al Calvello, nel 2006, su proposta dell’Archeoclub di Pontelandolfo, stilammo per la “La Provincia sannita”, al numero 3/2006, una cronaca di quella giornata.
Ne trascriviamo una parte, perché alcune considerazione di carattere “politico” ci sembrano attuali ancora oggi. Anzi, oggi lo sono ancora di più.
“Pontelandolfo si è più che dimezzato in pochi anni, passando dai 6.498 abitanti del 1951 ai 2.520 del 2001. E la vista di questi monti e valli stringe il cuore per tanto abbandono. Cosa dire, dunque?
Mettiamola così: c’è gente che ancora non ci vuole stare a quello che oggi appare inevitabile.
Antimo Albini è uno di questi: presiede l’Archeoclub di Pontelandolfo e, anche se non lo dà a vedere, è deluso e un po’ infuriato.
Albini si chiede, e con lui molti altri, perché mai Pontelandolfo debba finire così; perchè mai debbano andare perduti secoli di storia, di tradizioni, di usi, di costumi, di memorie. Stamani egli fa da guida ad un gruppetto di turisti della domenica che vogliono ri-scoprire ciò che da sempre è sotto gli occhi di tutti.
Albini scorta me e gli altri al sito archeologico di Coste Chiavarine ed alla Faggeta; lo accompagnano Antonio Orsini, con il suo enorme paio di baffi, e Fulvio Testa, con la sua possente muscolatura.
A Coste Chiavarine, qualche chilometro più su di Pontelandolfo, su una probabile antica strada verso il Molise, dominando le vallate che precipitano da un lato verso il Telesino e dall’altro verso Benevento, nascosta da dirupi, anfratti, burroni, gobbe del terreno, è ricomparsa dalla terra una villa rurale di età imperiale romana.
Un ritrovamento archeologico eccezionale, nel bel mezzo di ciò che apparentemente è il nulla, ma che, in verità, nasconde molto tra le sue pieghe.
Basse mura di cinta, di pietre sovrapposte, ricamano infatti i fianchi della collina: la gran parte sono lunghi una decina di metri; ma un paio, inerpicandosi, si perdono alla vista e spariscono oltre lo scollinamento, una sorta di imitazione della Grande Muraglia cinese. Tra queste linee di confine e di difesa, sbuca, improvvisa, una minuscola costruzione, anch’essa a pietre sovrapposte, una casetta, che pare adatta solo ad ospitare i “puffi” di un celebre cartone animato.
E’, in realtà, il rifugio che il pastore usava per le intemperie e la notte.
Non è ben chiaro come si colloca, in questo contesto, la villa rustica romana del I e II secolo dopo Cristo, riemersa alla luce per il lavoro degli archeologi della Soprintendenza: indagini precedentemente condotte segnalavano infatti l’ager romano a ben cinque chilometri di distanza in direzione nord-est.
A Coste Chiavarine, comunque, sono venuti fuori ben tredici diversi ambienti in un’area di duecento trenta metri quadrati.
Albini ci mostra con amore quelle antiche pietre di duemila anni: la nostra guida snocciola alcune ipotesi formulate sulla scorta del materiale lapideo ritrovato: con una piantina tra le mani, Albini ci indica l’ingresso della villa; il punto dove cominciavano il portico e le scale per accedere al piano superiore.
Non è noto quello che avvenne a Coste Chiavarine dopo la caduta di Roma; quello che è certo che, in epoca altomedievale, la villa si trasformò in una sorta di luogo sepolcrale: sono state, infatti, rinvenuti negli scavi recenti uno scheletro, sei monete in bronzo datate tra il 913 ed il 919 d.C. e due altri elementi in bronzo, la cui funzione resta sconosciuta.
Tutta l’area circostante, la stessa Pontelandolfo, il Sannio tutto è un serbatoio straordinario di natura, di storia e di cultura. Per la gran parte sconosciuta, sepolta dalle nebbie della storia e da quelle del persistente, negativo pregiudizio.
Eppure si tratta di un grave errore: un viaggio a Costa Chiavarine o alla Faggeta o a qualunque altra parte di questo Sannio dà netta la percezione di essere immerso in una risorsa straordinaria.
Paradossalmente, però, da questa risorsa la gente fugge: è duro sopportare l’agonia dei piccoli Comuni, è duro scontrarsi con le mille difficoltà quotidiane del vivere in una realtà con pochi servizi.
Qui la delinquenza è a livelli fisiologici; la natura è splendida; ma spesso è l’intelligenza della politica a mancare.
Queste colline grondano bellezze, ma anche fatica del lavoro nei campi e dolore per gli abbandoni e gli addii.
I “cafoni”, da sempre vilipesi dai “cittadini” e persino da intellettuali del calibro di Benedetto Croce, lasciarono, già nel secolo XIX, queste terre per andarsene anche Oltreoceano: ma qui hanno depositato un pezzo del loro cuore e della loro umanità.
E’ questa gemma che si aggiunge alle altre di uno scrigno che è pieno di alberi, piante, fiori, animali, strade rupestri, antichi manufatti e tesori di un’arte minore.
E’ un’Italia che sparisce, senza mai essere stata trovata.
L’hanno cancellata proprio gli italiani. Perciò Albini ha la bocca amara. E il pensiero torna al passato.
Il 14 agosto del 1861 a Pontelandolfo e nella vicina Casalduni le truppe piemontesi, mentre volevano consolidare il nuovo Regno d’Italia “bonificando” le sacche di resistenza borbonica e le schiere di briganti, dopo avere subito un attacco stile “mordi e fuggi”, si lasciarono andare alla più stupida delle reazioni: il massacro dei civili inermi.
Quel giorno, infatti, si consumò una feroce, immotivata e controproducente azione militare, ispirata dalla bile e non dalla mente, “ove perirono meno i rei che gl’innocenti”, come scrisse un deputato locale, Antonio Mellusi, certamente non anti-governativo.
In quella tragica giornata, si segnò una netta linea di demarcazione tra la speranza nutrita da qualcuno di una vita nuova, dopo secoli di umiliazioni e di miserie sotto i Borbone, e la concreta realtà determinata dai nuovi padroni del vapore.
Le ferite del 1861, se certamente non sanguinano più, hanno lasciato ben visibili lunghe cicatrici, perché la vergogna di uno Stato che si presentò con quel biglietto da visita e che, successivamente, consentì ed anzi favorì la fuga dai piccoli centri del Mezzogiorno, mettendo su l’industria dell’emigrazione ed il mito delle metropoli, impoverendo ulteriormente queste terre persino delle risate dei bambini, ebbene quella vergogna è tuttora presente ed il futuro appare incerto”.

Benevento, 24-08-2020

 

PONTELANDOLFO ANGURIA AL FRESCO

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