Solo colpa di zio Covid-19?
È tutta questione di… responsabilità.
Mi sembra relativamente evidente che a livello mondiale la pandemia stia facendo il suo corso evolutivo. Se vogliamo fare riferimento a ciò che si definisce con la locuzione “immunità di gregge“, sempre dal punto di vista antropologico ed evolutivo, gli anticorpi devono formarsi all’interno dell’intera popolazione del mondo. In altre parole, deve accadere quello che è accaduto con la peste suina, che oggi è conosciuta come “morbillo”.
Il problema iniziale, quello cioè legato all’esplosione pandemica, di provenienza cinese, è stato ovviamente quello della necessità di garantire il maggior numero di sopravvissuti, nella gestione sanitaria dei casi in terapia intensiva. E questo a livello mondiale.
Un secondo problema, necessariamente correlato al primo, è stato quello di decidere se fosse meglio morire di zio Covid-19, oppure morire di fame. Il mondo ha deciso, ovviamente, di salvare il maggior numero di persone, anche se non tutti i Paesi si sono comportati, rispetto a questa necessità, in modo uniforme e con chiari obiettivi.
Ora, se non siamo in vita non è possibile produrre nessuna forma di ricchezza. Ma, se riusciamo a rimanere in vita e non riusciamo a mangiare, è evidente la presenza di qualche problema metodologico nella stessa sopravvivenza. Certo, capisco che pensare ad entrambe le situazioni non sia una cosa facile, specialmente quando, anche in caso di morte di migliaia di persone, vi sono alcune persone che riescono a guadagnarci, e anche molto.
In ultimo, specialmente nella nostra nazione, stiamo assistendo ad una ridicola e folkloristica tenzone para-scientifica fra diversi cosiddetti “esperti“. Vi sono coloro che sono perfettamente allineati alle indicazioni governative (che, peraltro, hanno la caratteristica di affermare e disconfermare dopo qualche ora ciò che è stato detto, o scritto…), e coloro che invece, con una serie di numeri significativi alla mano, affermano che l’emergenza pandemica è sostanzialmente finita, almeno in Italia.
La presenza di due classi di informazioni antitetiche non fa altro che ingenerare confusione in tutti, limitando o impedendo la formazione di una idea gestibile rispetto a queste due opinioni. Si alimenta, invece, una totale sfiducia nei confronti di tutto ciò che è istituzionale, e persino scientifico. A dare manforte a questa progressiva e generale disaffezione verso le comunicazioni istituzionali, sono gli stessi addetti ai lavori. Basti pensare al non distanziamento sociale previsto all’interno degli aeromobili, e quello invece previsto all’interno dei treni.
In questa situazione, il minimo che possiamo attenderci, specialmente da parte della popolazione giovanile (che in quanto tale pensa al proprio presente come occasione di preponderante divertimento), è un comportamento lontano da qualsiasi norma prevista per la pandemia.
Inoltre, assistiamo anche ad azioni legali con le quali si vorrebbe dimostrare che siamo in presenza di azioni anticostituzionali, da quando è scoppiata l’emergenza pandemica. Ora, io non sono un giurista, e molto probabilmente se esistono queste azioni significa che vi sono elementi per pensare diversamente rispetto al governo. Fatto sta, che siamo in presenza di azioni che continuano a screditare l’attendibilità e qualsiasi sentimento di fiducia nei confronti dei nostri politici.
Per quanto concerne la scienza, io sono cresciuto con precisi insegnamenti, quando parliamo di ricerca. Durante la ricerca, sono normalissime eventuali ipotesi contrarie per interpretare un certo dato/situazione, mentre nel corso del tempo queste ipotesi contrarie si riducono, vengono reciprocamente controllate dall’andamento della ricerca stessa, e si giunge ad una conclusione comune. E quest’ultima è, ovviamente, fondata su criteri epistemologici a livello internazionale più che accettati. Nel frattempo, gli scienziati tacciono, proprio perché sanno che è necessario avere dati e prove per poter comunicare conclusioni statisticamente rilevanti e significative.
Ecco, mi sembra che tutto questo non stia accadendo, e chi dovrebbe invece essere molto attento alla comunicazione, parli per evidenziare la strumentalizzazione di altri, cadendo lui stesso nell’identico circolo vizioso. Purtroppo, tale situazione è applicabile a quasi tutte le manifestazioni espressive dei media mondiali.
Possiamo solo attendere che la storia faccia il suo corso, e che alla fine i sopravvissuti a questa situazione mondiale siano nelle condizioni di valutare, ex post, i fatti, come sono davvero avvenuti e come si riveleranno.
Abbiamo solo da sperare che la verità emerga con tempi diversi rispetto alle stragi di Bologna e di Ustica.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
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