«I briganti criminali? »

Il giornalista-scrittore Gigi Di Fiore risponde al saggio di Vigna che ha negato status politico al fenomeno: «Negli studi storici è sempre semplicistico dividere il mondo tra buoni e cattivi»

«I briganti criminali? Una tesi di 160 anni fa»

Gigi Di Fiore

l brigantaggio? Solo una questione criminale, non influenzata da problemi sociali, né da contesti politico-economici o da gattopardismi locali. Non è una tesi molto originale, risale addirittura a 159 anni fa, al dibattito parlamentare nel 1861 a Torino sulle Provincie napoletane in cui il governo, presieduto dal toscano Bettino Ricasoli, sostenne in aula le stesse cose.
Il Sud non era un problema, non era sconosciuto ai più, era solo una questione criminale da risolvere con l’esercito. Era una tesi strumentale, per arginare le critiche delle opposizioni sulla gestione delle ex Due Sicilie. Ma, 159 anni dopo, la ripropone Marco Vigna, finora studioso di Storia della spiritualità medievale e titolare di un dottorato di ricerca all’università del suo mentore Alessandro Barbero.

LE FONTI
Mirate alla tesi finale le fonti utilizzate, consultato quasi solo l’Archivio di Stato di Torino, quando i tre libroni pubblicati anni fa dall’Archivio centrale dello Stato danno il quadro completo delle fonti archivistiche sul brigantaggio post-unitario, Vigna, che viene definito «storico professionista» (e chissà cosa direbbe Benedetto Croce che non volle mai insegnare all’università), si spinge a dire che il brigantaggio è parente stretto delle mafie.

crocco

 

«Il mafioso è lo spurgo del mio naso» disse il capo brigante lucano Carmine Crocco ai professori Salvatore Ottolenghi e Romolo Ribolla. Ma un lavoro così riduttivo non può che trascurare gli approfondimenti di tanti studiosi che hanno scritto fior di volumi sulla storia delle mafie. Come Isaia Sales, che nel suo pregevole Storia dell’Italia mafiosa (Rubbettino, 2015) scrive: «Le mafie hanno avuto bisogno che si formasse lo Stato unitario per assumere un ruolo centrale che prima non erano riuscite a svolgere completamente sotto i Borbone».
Non solo, ma Sales, la cui lettura più ampia consiglio a Vigna insieme con i testi di Umberto Santino, Enzo Ciconte, Antonio Nicaso, Salvatore Lupo, osserva che nella storia italiana lo Stato è riuscito a sconfiggere fenomeni violenti come il brigantaggio e il terrorismo e non le mafie. Chissà perché…
Gramsci? Un filosofo, non uno storico. E anche qui chissà che direbbe Croce. Franco Molfese, bibbia per ogni studio sul brigantaggio, che non era docente universitario? Vigna definisce il lavoro di Molfese «significativo e autorevole».
E meno male. Poi elenca studiosi che hanno approfondito del brigantaggio l’aspetto sociale di ribellione, o quelli che ne hanno evidenziato le caratteristiche politiche.

il capo brigante lucano Carmine Crocco

IL MAESTRO E L’ALLIEVO
Si capisce che Vigna deve molto al suo maestro Barbero, che considera il brigantaggio «ostaggio del movimento neoborbonico», consapevole che solo una polemica di questo tipo può sostenere lo studio che presenta.
Nel flashback sul brigantaggio nel decennio francese (gli anni, in Piemonte, del briganteMayno della Spinetta), Vigna descrive il brigante carnivoro, violento, criminale. E, ignorando i metodi repressivi francesi, seleziona alcune norme del periodo borbonico per giustificare la legge Pica. Qui il capolavoro, che ignora testi universitari, come quello del professore Pasquale Troncone (La legislazione penale dell’emergenza in Italia, Jovene 2001), in cui si evidenziano le violazioni dello Statuto albertino nella prima legge speciale italiana nata per reprimere il brigantaggio.
Forse, Vigna ha avuto come unico obiettivo la demarcazione tra buoni e cattivi operazione che negli studi storici è semplicistica. La cultura contadina del brigante? Carlo Levi è solo un romanziere, ma in alternativa si ignorano gli studi antropologici di Ernesto De Martino, o Manlio Rossi Doria e Rocco Scotellaro. Insomma, oltre 500 pagine prive di tesi e fonti nuove. «I numeri dei morti mi sembrano un po’ troppi per trattarsi di puri e semplici banditi da strada» scrisse Andrea Camilleri, a commento delle cifre ufficiali sulle vittime della repressione del brigantaggio (La bolla di componenda, Sellerio, 1993). Ma il libro di Vigna è il brigantaggio visto da lontano.

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UN SAGGIO INFLUENZATO DALLE TESI DI BARBERO DIMENTICANDO GRAMSCI E SALES, MOLFESE E LUPO MA ANCHE TRONCONE E DE MARTINO

CAMILLERI SCRISSE: «I NUMERI DEI MORTI MI SEMBRANO UN PO’ TROPPI PER TRATTARSI SOLTANTO DI PURI E SEMPLICI BANDITI DA STRADA»

Titolo : Nel dipinto gli scontri tra briganti e militari dell’esercito.