Francia e la libertà di espressione

La determinazione della Francia a porre fine alla libertà di espressione

di Judith Bergman 14 luglio 2020

Pezzo in lingua originale inglese: France’s Determination to End Free Speech
Traduzioni di Angelita La Spada

Le aziende private saranno ora obbligate ad agire come polizia del pensiero per conto dello Stato francese o incorreranno in pesanti sanzioni.

“Con il pretesto di contrastare i contenuti ‘che incitano all’odio’ su Internet, [la legge Avia] crea un sistema di censura tanto efficace quanto pericoloso (…) ‘l’odio’ è il pretesto sistematicamente usato da coloro che vogliono mettere a tacere le opinioni discordanti. (….) Una democrazia degna del suo nome dovrebbe accettare la libertà di espressione.” – Guillaume Roquette, direttore editoriale di Le Figaro Magazine, 22 maggio 2020.

“Cos’è l’odio? Si ha il diritto di non amare (…) si ha il diritto di amare, si ha il diritto di odiare. È un sentimento. (…) Non deve essere perseguito, non deve essere legiferato.” – Éric Zemmour, CNews, 13 maggio 2020.

Chiedere alle aziende private – o al governo – di agire come polizia del pensiero è fuori luogo in uno Stato che afferma di rispettare lo Stato di diritto democratico. Purtroppo, la domanda da porsi non è se la Francia sarà l’ultimo Paese europeo a introdurre tali leggi sulla censura, ma quali altri Paesi saranno i prossimi a farlo.

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Con una nuova legge, il governo francese ha deciso di delegare il compito della censura di Stato alle piattaforme online come Facebook, Google, Twitter, YouTube, Instangram e Snapchat. Le aziende private saranno ora obbligate ad agire come polizia del pensiero per conto dello Stato francese o incorreranno in pesanti sanzioni. (Fonte delle immagini: iStock)

Il 13 maggio, il Parlamento francese ha approvato una legge che impone alle piattaforme online come Facebook, Google, Twitter, YouTube, Instagram e Snapchat[1] di rimuovere entro 24 ore i “contenuti che incitano all’odio” ed entro un’ora i “contenuti di matrice terroristica”. La mancata osservanza della norma comporterebbe multe esorbitanti fino a 1,25 milioni di euro, pari al 4 per cento del fatturato globale della piattaforma, in caso di reiterata inosservanza dell’obbligo di rimozione del contenuto.

L’ambito dei contenuti online ritenuti colpevoli di “incitare all’odio” ai sensi della cosiddetta “legge Avia” (dal nome della deputata che l’ha presentata in Parlamento) è, in linea con le normative europee sui discorsi di incitamento all’odio, ampiamente delimitato e include “l’incitamento all’odio o insulti a carattere discriminatorio per motivi di razza, religione, etnia, genere, orientamento sessuale o disabilità”.

La legge francese è stata direttamente ispirata dalla controversa legge tedesca sulla censura, nota come NetzDG, varata nell’ottobre del 2017, che è esplicitamente menzionata nell’introduzione della legge Avia.

“Questa proposta di legge mira a contrastare la diffusione su Internet dei discorsi di incitamento all’odio”, si afferma nell’introduzione della legge Avia.

“Nessuno può contestare l’esacerbazione dei discorsi di incitamento all’odio nella nostra società (…) gli attacchi compiuti contro terzi per quello che sono, a causa delle loro origini, della loro religione, del loro genere o del loro orientamento sessuale (…) sono qualcosa che ricordano le ore più buie della nostra storia (…) la lotta contro l’odio e l’antisemitismo su Internet è un obiettivo d’interesse pubblico che giustifica (…) disposizioni forti ed efficaci (…) questo strumento di apertura [Internet] sul mondo, di accesso alle informazioni, alla cultura, alla comunicazione può diventare un vero inferno per coloro che diventano bersaglio di ‘haters’ o di molestatori che si nascondono dietro schermi e pseudonimi. Secondo un sondaggio condotto nel maggio del 2016, il 58 per cento dei nostri concittadini ritiene che Internet sia il luogo principale dei discorsi di incitamento all’odio. Più del 70 per cento afferma di aver già dovuto far fronte a discorsi di incitamento all’odio sui social network. Per i più giovani, in particolare, le molestie informatiche possono essere devastanti. (…) Tuttavia (…) Vengono presentate poche denunce, poche indagini vengono concluse con successo, poche condanne vengono pronunciate: e questo crea un circolo vizioso.”

Avendo riconosciuto che “l’odio” online è difficile da perseguire in base alle leggi esistenti perché “vengono presentate poche denunce, poche indagini vengono concluse con successo, poche condanne vengono pronunciate”, ma avendo comunque stabilito che la censura è la panacea ai problemi rilevati, il governo francese ha deciso di delegare il compito della censura alle stesse piattaforme online. Le aziende private saranno ora obbligate ad agire come polizia del pensiero per conto dello Stato francese o incorreranno in pesanti sanzioni. Come in Germania, tale legislazione porterà le piattaforme online a mostrare eccesso di zelo nel rimuovere o bloccare qualsiasi cosa possa essere percepita come un “incitamento all’odio” per evitare di essere multate.

La ratio legis – lo scopo della legge – sembra essere duplice: non solo la normativa intende ottenere la reale censura dei discorsi di incitamento all’odio rimuovendo o bloccando i post online, ma è finalizzata anche a raggiungere effetti (inevitabilmente) agghiaccianti della censura sul dibattito online in generale. “Le persone ci penseranno due volte prima di oltrepassare la linea rossa se sapranno che c’è un’alta probabilità di essere ritenute responsabili”, ha affermato il ministro della Giustizia francese Nicole Belloubet, in una dichiarazione inquietante per un rappresentante del governo di un Paese che ancora sostiene di essere democratico.

Fin dall’inizio, quando il presidente francese Emmanuel Macron ha incaricato il gruppo guidato da Laetitia Avia di preparare la legge, la proposta ha ricevuto critiche da parte di numerosi gruppi e organizzazioni. La Commissione nazionale consultiva francese dei diritti dell’uomo ha criticato la proposta di legge perché aumenta il rischio di censura e La Quadrature du Net, un’organizzazione che opera contro la censura e la sorveglianza online, ha ammonito che “tempi rapidi di rimozione e multe salate per inosservanza incentivano ulteriormente le piattaforme a rimuovere eccessivamente i contenuti”. Article 19, l’organizzazione londinese che si batte per la libertà di espressione, ha commentato che la legge minaccia la libertà di parola in Francia. Secondo Gabrielle Guillemin, consigliere legale di Article 19:

“La legge Avia consentirà efficacemente allo Stato francese di delegare la censura online alle aziende informatiche dominanti, che dovranno agire da giudici e giurati nel determinare quali siano i contenuti ‘palesemente’ illegali. La legge copre un’ampia gamma di contenuti, pertanto, non sarà sempre una decisione semplice.

“Dati i tempi entro i quali le aziende devono rispondere, possiamo aspettarci che commettano errori in fatto di cautela, quando si tratta di decidere se i contenuti siano legali o meno. Dovranno anche ricorrere all’uso di filtri che porteranno inevitabilmente alla rimozione eccessiva dei contenuti.

“Il governo francese ha ignorato le preoccupazioni sollevate dai diritti digitali e dai gruppi che si battono per la libertà di parola, e il risultato sarà un effetto agghiacciante sulla libertà di espressione online in Francia”.

Anche la legge approvata è stata accolta con disapprovazione in Francia. Il 22 maggio, Guillaume Roquette, direttore editoriale di Le Figaro Magazine, ha scritto:

“Con il pretesto di contrastare i contenuti ‘che incitano all’odio’ su Internet, [la legge Avia] crea un sistema di censura tanto efficace quanto pericoloso (…) ‘l’odio’ è il pretesto sistematicamente usato da coloro che vogliono mettere a tacere le opinioni discordanti.

“Questo testo [legge] è pericoloso perché, secondo l’avvocato François Sureau, ‘introduce la punizione penale (…) della coscienza’. È pericoloso (…) perché delega la regolamentazione del dibattito pubblico (…) su Internet alle multinazionali americane. Una democrazia degna del suo nome dovrebbe accettare la libertà di espressione”.

Jean Yves Camus di Charlie Hebdo ha definito la legge “un placebo per combattere l’odio” e ha rilevato che “l’iper-focalizzazione sull’odio online” maschera il vero pericolo:

“Non è l’odio online che ha ucciso Ilan Halimi, Sarah Halimi, Mireille Knoll, le vittime del Bataclan, dell’Hyper Cacher e di Charlie; è un’ideologia chiamata antisemitismo e/o islamismo. (…) Chi stabilisce cos’è l’odio e la sua [differenza dalla] critica? Un vaso di Pandora è stato appena aperto. (…) C’è il rischio di una marcia lenta ma inesorabile verso un linguaggio digitale iper-normativizzato dalla correttezza politica, come definito dalle minoranze attive”.

“Cos’è l’odio?” si è chiesto retoricamente lo scrittore francese Éric Zemmour. “Non lo sappiamo! Si ha il diritto di non amare (…) si ha il diritto di amare, si ha il diritto di odiare. È un sentimento. (…) Non deve essere perseguito, non deve essere legiferato”.

Tuttavia, questo è ciò che fanno le leggi finalizzate a contrastare i discorsi di incitamento all’odio, sia nella sfera digitale sia in quella non digitale. Chiedere alle aziende private – o al governo – di agire come polizia del pensiero è fuori luogo in uno Stato che afferma di rispettare lo Stato di diritto democratico.

Purtroppo, la domanda da porsi non è se la Francia sarà l’ultimo Paese europeo a introdurre tali leggi sulla censura, ma quali altri Paesi saranno i prossimi a farlo.

Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica. È Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.