CARAVAGGIO ESOTERICO
L’amica Caterina dedica questa ricerca al Prof. Carlo Bello, e a tutti coloro che nella scuola pubblica accendono il faro della conoscenza ove la maggior parte semina oscurità ed ignoranza primo baluardo dell’ illegalità.
di Caterina Luisa De Caro
“Prendo in prestito dei corpi e degli oggetti, li dipingo per ricordare a me stesso la magia dell’equilibrio che regola l’universo tutto. In questa magia l’anima mia risuona dell’Unico Suono che mi riporta a Dio”.
Un mondo tutto animato, quello che descrive Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, pieno di vita e di forme di realtà, dove non esiste una divisione tra ciò che è vivente e si muove e ciò che è immobile e sembra privo di vita. Questa visione naturale ha le sue radici nella fine del 500, con la scoperta della ricerca fisica e con la nuova visione della magia, non come semplice dominio dell’esistente, ma come manifestazione panteistica del divino, come materia del movimento e di quelle forze apparentemente immutabili che vibrano suoni ed energie, difficilmente oscure a chi, come tramanda Pitagora, predispone la mente a cogliere il sovrasensibile.
Caravaggio, la cui vita travagliata riproduce al massimo l’espressione pulsante della forza del vivere, sintetizza ed esprime al meglio questa ricerca, radicando nella sua epoca con il seme del suo vissuto una rivoluzione copernicana in ambito alchemico ermetico che difficilmente viene colta dagli inesperti e spesso sottaciuta e scarsamente valorizzata dagli accademici, traendo solo aspetti marginali, estetici della sua opera.
Michelangelo Merisi è ancora poco più che un bambino nel tempo in cui infuria la peste nera, che falcidia la sua famiglia. La condizione di necessità economica lo condusse ad inserirsi giovanissimo a bottega presso il pittore milanese Simone Peterzano, della scuola di Tiziano. Qui secondo alcune fonti, il fanciullo subì violenze sessuali, e fu introdotto agli eccessi dei bagordi, che presto cominciò ad amare ed in cui si tuffava spesso. Queste attitudini lo condussero ad aver carattere polemico e attaccabrighe, oltre che a costruire la sua identità sessuale in modo scandaloso per l’epoca. Tutto questo lo mise in continua ricerca di una dimensione esistenziale compatibile alle sue problematiche ad esprimere la sua grande intelligenza e potenzialità tentando di ricomporre conflitto interiore sul senso della vita e del vivere- È il 1595, quando incontra a Roma il cardinale Francesco Maria del Monte, grande cultore d’arte, ambasciatore del Granduca Di Toscana a Roma, che divenne suo mecenate e committente. Uomo di vasta cultura e raffinato collezionista d’arte, il cui fratello era amico intimo di Galileo Galilei, egli stesso alchimista e scienziato, il cardinal Del Monte inserisce Michelangelo Merisi nel mondo dell’aristocrazia romana dove, alla maniera di Leonardo da Vinci, viene introdotto con il toponimo di provenienza: Caravaggio. Gli Aldobrandini, i Borghese, Barberini, Ludovisi, si contenderanno i suoi lavori.
Caravaggio rimase al servizio del cardinale per cinque anni. L’ambiente dell’aristocrazia romana, ricco di spunti intellettuali, gli darà anche una certa indipendenza economica, ma soprattutto la possibilità di approfondire e accrescere la sua cultura, avvicinandolo all’arte alchemica iniziatica, esteriormente denigrata in quegli anni dominati dalla Controriforma tridentina e tuttavia oggetto segreto di studi e ricerche. Sono gli anni in cui Campanella e Bruno pativano il carcere per aver tentato di diffondere l’arte maestra della conoscenza iniziatica; è l’epoca in cui la rivoluzione Copernicana metteva in discussione la centralità dell’universo, in cui la terra perdeva la sua centralità.
Calvino e Lutero, i grandi riformatori del 500, avevano deprecato l’uso, che la Chiesa romana aveva fatto delle arti figurative, denunciando l’imbarbarimento che avvicinava la chiesa di Cristo alle false dottrine politeiste, panteiste e blasfeme degli antichi, imbarbarendone il messaggio. Calvino, riproponendo la questione iconoclasta che aveva determinato lo scisma tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente dell’anno Mille, riteneva che il culto delle immagini fosse la prova di un indebolimento della dimensione spirituale della religione. In modo contrario e simmetrico, la sede cattolica attribuiva invece alle immagini, il ruolo e il merito di veicolare la memoria, di suscitare il gaudium e di essere “biblia pauperum”, ovvero un libro non scritto, utilizzabile anche dagli analfabeti e dai poveretti per comprendere i contenuti divino-umani delle scritture. Per opporre resistenza all’avanzata del protestantesimo, la chiesa di Roma preparò una strenua offensiva figurativa, e il giubileo del 1600 fu l’occasione (una delle ultime) di riconoscere all’arte una funzione altamente educativa: ecco perché le committenze sui temi sacri aumentarono.
All’inizio del 1586 la Bolla Coeli et terrae di Sisto V, per frenare il dilagare del messaggio protestante e l’inevitabile tracollo della chiesa di Roma, proclamava solennemente che l’uomo non può presumere di elevarsi alla conoscenza degli eventi futuri, che è riservata esclusivamente a Dio, al cui solo sguardo ogni cosa è “nuda e aperta”. In questo modo la Bolla metteva al bando ogni genere di divinazione e proibiva l’astrologia con tutte le scienze esoteriche e iniziatiche, soprattutto l’Ermetismo diffuso dalla scuola fiorentina neoplatonica. Il sapere legato al moto degli astri veniva condannato dal documento pontificio come uno dei prodotti più deleteri della superbia dell’uomo, il quale, anziché ergersi con la propria mente verso conoscenze troppo alte per i suoi limiti, dovrebbe temere e, prostrato a terra (humi stratus), riverire l’immensità della maestà divina, accettando l’inviolabilità del potere del papa e della chiesa di Roma.
La Bolla papale sanciva il tramonto di una stagione in cui le dottrine occulte avevano goduto della più ampia diffusione e fioritura, da cui si erano create opere meravigliose e superbe la cui utopia era quella di ricreare il cielo in terra e la terra in cielo. Il messaggio ermetico e la filosofia di Ficino, che descrivevano l’universo come un cosmo animato di energie e di forze atte a risvegliare nell’uomo la sua appartenenza all’universo stesso, stavano prendendo il sopravvento nella cultura del tempo. Da questa idea emergeva il nuovo ruolo attivo e pratico dell’uomo-mago, protogono del moderno uomo di scienza che, conoscitore i più riposti legami e affinità della Natura, è in grado di inserirsi nel gioco delle forze naturali per trasformarle e utilizzarle. L’uomo-mago del rinascimento riunifica la scienza e l’arte, illuminando con luce sapienziale l’armonia alla base di ogni forma di esistenza umana e la musica come veicolo per risvegliare la parte dello spirito più atta al sovrasensibile.
La Bolla di Sisto V determina la trasposizione della ricerca alchemica ad un livello personale e meno pubblico, dove il messaggio di trasformazione, di elevazione e sublimazione, utilizzando la simbologia insita nell’alchimia.
Questo nascondimento non avviene nella dimensione mitologica classica, direttamente riconnessa al linguaggio greco alessandrino tolemaico, ben rappresentato dagli artisti del 500: la ricongiunzione all’iconografia della religione cristiana doveva trovare nuova forma e nuovo linguaggio. Ecco perché l’innovazione del Caravaggio, lavorando su temi antichi, produce aspetti nuovi e rivoluzionari. I santi cristiani acquisiscono le stesse caratteristiche taumaturgiche nascoste nelle forme degli dei dell’Olimpo, richiamando parti del linguaggio alchemico che ora, con il placet della corte papale e dei suoi rappresentanti, traspongono tale conoscenza nell’iconografia specifica della vita di ogni singolo santo, sotto cui spesso si rivela la forma e il messaggio della divinità pagana (sarebbe più esatto dire: del simbolo) che si ammanta di nuove vesti.
Le committenze, basandosi sul discorso portato avanti dalle opere del Cardano e, più approfonditamente, di Giambattista Della Porta, erano dettate dal bisogno di creare una scenografia che, partendo dal quotidiano, come aveva consigliato la filosofia del grande riformatore Carlo Borromeo, si riconnettessero, seguendo una calibrata visione iconografica con apparente scopo didattico, educativo alla realtà. Questo procedimento poteva permettere la comprensione dei simboli solo a chi fosse in grado di decodificare il messaggio per mezzo delle conoscenze criptiche proprie dell’ermetismo e dell’alchimia intese nella pienezza del loro significato magico, immaginifico.
Tale magia consente di accedere alla conoscenza delle qualità e delle proprietà più nascoste della Natura e può insegnare, con l’aiuto delle cose naturali, … “a far opere, le quali il vulgo chiama miracoli, perciò che superano l’intelletto umano”.
Riprendendo le concezioni neoplatoniche di Plotino, Della Porta afferma che fra cielo e Terra esiste un continuo scambio di virtù, come di un legame simile a una corda tesa di cui, se è toccato uno degli estremi, anche l’altro non può fare a meno di muoversi e vibrare in unico suono e unica natura. Il ruolo del mago consiste nel collegare in modo adeguato le cose terrene a quelle celesti, proprio come l’agricoltore sposa l’olmo alla vite. Grazie a tale attività, egli “cava i secreti, i quali stavano al tutto rinchiusi nel grembo della Natura”.
Le operazioni magiche si mantengono all’interno della Natura, della quale l’arte è ministra. Per assolvere nel modo più conveniente il proprio compito, il mago, oltre a essere un buon filosofo naturale e conoscere le cause, i principî, le qualità delle cose, deve essere medico, astrologo, conoscitore dell’ottica e buon artefice. Egli compie le proprie mirabili operazioni “applicando i debiti agenti a convenevoli pazienti”.
Non più un sapere solamente astratto, o che coinvolga direttamente la natura, come nel caso dei Giardini filosofici o dei percorsi ideali pittorici di Raffaello e Michelangelo Buonarroti, ma un sapere integrato, che ripropone la coscienza realtà e implica la quotidianità del popolo, che vi si riconosce e riconosca le iconografie. Per questo papa Clemente VIII Aldobrandini volle imporre una scenografia maestosa per il giubileo del ‘600, ma che fosse anche capace di discostarsi dalla visione dell’apparato docetico e concettuale della Riforma.
Vettore e garanzia del trionfo avrebbero dovuto essere le arti, tese a testimoniare ancora una volta lo splendore della civiltà e della tradizione cristiana e romana.
Caravaggio fu pregno di queste conoscenze sapienziali, acquisite e ancor più approfondite, prima a Roma e Napoli e infine a Siracusa. Cominciò ad usarne il linguaggio fino a creare un vero e proprio stile che, pur attingendo alle regole canoniche dettate dalla Chiesa, riproponeva sotto vesti nuove quella prisca philosophia, quel sapere antichissimo che rompeva con la tradizione precedente e contemporaneamente vi restava indissolubilmente collegata.
I suoi transiti artistici, le fasi che marcano le sue opere, definiscono e scandiscono questa visione innovatrice. Le esperienze a Roma segnano il modo di trattare temi mitologici, contenendo le conoscenze alchemiche legate al periodo idealista: i due Bacco, la Medusa, e l’opera de ”Il Ragazzo morso dal ramarro”, che esprime in alta cifra la potenzialità conoscitiva dell’ermetismo e delle dottrine ad esso connesso. Già s’era vista in tutta la sua produzione come la negazione della sessualità potesse divenire esaltazione della sensualità: poiché la sostanza, come stavano scoprendo i fisici, a cominciare da Galileo, deve essere colpita dalla forza che trascina; e mossa da questa cambiare lo stato nella quale è ferma.
Il ramarro e la lucertola, nella pittura antica, simbolicamente, hanno la funzione di risvegliare le donne e gli uomini dal torpore del vizio o da un errore amoroso, riportando sulla strada della piena coscienza e della virtù. Questo piccolo rettile, sacro per chi si avvicina all’arte alchemica, ha il compito e la funzione di risvegliare e difendere l’iniziato dal grande serpente del male, ponendolo nelle condizioni di superare la difficoltà, ricordando e richiamando il simbolo potente dello Zolfo e il fenomeno della trasformazione attraverso il fuoco. Questo quadro, insieme a quello della Medusa, esprime al meglio il momento dell’attimo in cui il tempo, quinto elemento alchemico collegato alla scelta, modifica per sempre la scena. Cogliere quell’attimo significa cogliere l’elemento più misterioso e presente insito nella trasformazione in cui tutto diviene.
Il filosofo Della Porta insiste proprio sul passaggio di come la meraviglia nasca dall’ignoranza delle cause. Più le cause sono nascoste e più certi fatti, rari e insoliti, suscitano stupore e ammirazione; quando poi si scoprono e si rendono palesi le cause “si avilisce l’auttorità”. Il mago deve essere molto attivo e solerte, in quanto “agli oziosi e ignoranti non si manifestano i secreti della Natura”.
La luce non è meramente fisica, ma ha valenza allegorico-simbolica: la sua funzione è quella di evidenziare il sacro e il profano come non aveva mai fatto nessun altro pittore; dà modo a Caravaggio di sperimentare il processo stesso dell’illuminazione. La luce mette a fuoco una tematica che prima di allora aveva ricevuto attenzione insufficiente, confinata ad ornamento estetico e simbolo di abbondanza: la nuova pittura conferisce alla natura morta il segno della vita che sfugge lasciando dietro di sé il ricordo del bello e del nuovo, ma che a sua volta diviene nutrimento di quello che ancora ha da essere.
La sublimazione dell’esperienza alchemica è ancora collegata alla Natura animata e stupefacente che si nasconde nella vita, sfuggevole a chi non sa coglierla nell’attimo, con cui il tempo per sua natura è costituito: e ogni singolarità, vista nella sua essenza, ricrea e riporta alla dimensione della causa scatenante. Questo messaggio è quello che esprime Caravaggio mago in tutta la sua drammaticità sia nell’estrema gaiezza (Il Bacco), che nella straziante malattia (Il Bacchino malato) o nello stupor mortis (La Medusa). In ogni tela coglie l’istante come fusione immediata, cioè senza mediazione, di vita e di morte, l’attimo esatto dove i due contrari si incontrano per trasformarsi in altro, per divenire, in costante metamorfosi della condizione di diversità e passaggio, regola fondamentale dell’alchimia che vuole la trasformazione come legge dell’universo pulsante, dove tutto è in continuo divenire.
Sarà a Napoli che Caravaggio, in questo brulicante ombelico del mondo, incrocio di culture e tradizioni frastagliate e vivissime sotto la veste popolare delle tradizioni, saturo di esperienze, entrerà nell’ambiente collegato a piazza Nilo – a santa Maria Egiziaca e la Santa Maria del Pio Monte della Misericordia – per stabilire contatto con quelle chiese che avevano formato i più grandi pensatori dell’epoca a cominciare da Bruno. E proprio come Bruno, Caravaggio vede l’universo animato e animante della forza dello spirito. Coglie le essenze che apparentemente confondono il tutto e svela una realtà nascosta ai superficiali e agli ignoranti. Gli ambienti di piazza Nilo, collegati all’antica tradizione greco-tolemaica, gli conferiscono il modo di accrescere ed esperimentare le sue conoscenze alchemiche collegate allo studio del colore che già si portava dietro da Roma ma che qui si traducono consapevolmente in forze energetiche. Nella ricerca del colore, ogni contenuto deve esser pregno di significanza della materia e dell’argomento che vuol introdurre. È noto come, nella creazione dei suoi neri, includesse polvere di mummie e di cadaveri: la morte come momento della nigredo alchemica. Nigredo che è altro simbolo per il culto della Luna nera, operazione magica della fase in cui il vecchio e il nuovo si incontrano per dar vita alla trasformazione nel tempo del continuo divenire e che dunque si perfeziona alla luce bianca e si esplica e sublima nella massima conciliazione del Rosso, o della luminescenza, che prende il nome di Aura, attributo di cui la divina Sophia, incarnata prima nella Luna, iconografia di Iside, poi nella figura di Atena ed infine in Maria vergine che partecipa e crea attraverso la vita il bagliore del soffio divino. Ecco i gradi di manifestazione dell’antica religione egizia con la riproposizione dei passaggi esistenziali esperienziali per mezzo dello svelamento della luce. Luce che, già per la sua collocazione dall’alto verso sinistra, richiama la luce riflessa della divina Sophia, la sapienza lunare che definisce i connotati dell’unico istante temporale in cui il quinto elemento diviene cambiamento di stato definitivo. È la massima espressione del sole di mezzanotte: il Sole Nero, nel quale ogni cosa manifestata scompare per ritornare all’amalgama primordiale da cui tutto deriva.
Il sole di mezzanotte, raffigurato come Luna che accompagna il cammino nel percorso più difficile, più irto di ostacoli e di debolezze ovvero il sentiero della notte, del sonno, della tenebra che avvolge i nostri più reconditi istinti e debolezze, ci spinge al cambiamento e alla riscoperta della forza vitale che tutto avvolge e accetta. Soltanto attraverso questo Sole che è immanente alla vita umana, che è dentro di Noi e che non può perire, che possiamo trovare la Luce anche quando Luce non c’è. Il viaggio dell’Iniziato non si ferma mai. Non conosce differenza tra giorno e notte, tra mezzogiorno e mezzanotte, è continuo, imperituro, senza sosta.
Il Tempio diviene il Cosmo nella sua totale presenza, permanente e stabile, sebbene il passaggio dalla Colonna di Settentrione a quella di Meridione per l’Iniziato, non deve e non può significare un punto di arrivo, bensì qualcosa di simile ma estremamente differente: un punto di non ritorno. Aver trovato la Luce nell’oscurità significa aver preso coscienza di Sé, ma la lotta con il proprio Io durerà per l’intera vita.
Ecco perché in questo cammino esperienziale le Chiese poste tra i rioni Sanità e Forcella, diventano fondamentali per la preparazione a l’approfondimento dell’arte maestra. Qui viveva il popolo minuto, variopinto; la plebe di Napoli, impressi sul volto i segni delle dominazioni, le memorie di tradizioni differenti, i suoni, i colori.
Da quest’ambiente Caravaggio attinge per scegliere i personaggi rappresentati nei suoi quadri, ragione in più per passare molto del suo tempo nelle bettole e nei postriboli, come aveva fatto a Roma. Qui a Napoli, il maschile e il femminile non vengono visti come tabù; la Chiesa di Roma è più lontana, tutto è fluido e slegato, conforme ad una tradizione di tolleranza e di comprensione che apre ed accetta la diversità come normalità.
In uno di questi ambienti conobbe la donna che lo introdusse all’uso della tropina, un alcaloide che, usato come collirio, ha l’effetto di dilatare le pupille e dare una visione dei particolari molto nitida e ampliata. Questo farmaco una volta inserito negli occhi, specie se usato nella camera buia nella quale l’artista creava le sue opere, faceva apparire i contorni sfumati e i colori come emergenti dal buio, dando modo di ricreare, fisicamente la forza e il processo alchemico del colore e degli stadi di trasformazione di uno stadio ad un altro. Alla tropina Caravaggio aggiungeva altri trucchi, visualizzando attraverso uno specchio e proiettando su di esso una luce, per ottenere riflessi di seconda e terza rifrazione.
La rappresentazione di un istante può concentrare tutto l’effetto di una scelta e delle sue conseguenze: attraverso l’Opera si condensa tutta l’esperienza alchemica e la ricerca del V.I.T.R.I.O.L., l’accedere a quell’ “interiora terrae” che rende la visione della luce scoperta, disvelamento del bagliore della potenza della Sophia.
Questo messaggio è fatto suo, da Caravaggio, a Napoli. Qui entra in contatto con gli spiriti più dotti dell’esoterismo, presso il centro collegato a San Marcellino, nella facoltà di studi scientifici, che diviene il suo punto di connessione con persone di grande livello, tra cui Alessandro di Sangro, il principe di San Severo, che aveva posto in questa zona, conoscendone le energie e il passato, la cappella di famiglia. Questa la condizione nuova, o meglio la rivoluzione copernicana cui ricorre Caravaggio, per riproporre il percorso alchemico del colore come processo di elevazione coscienziale dentro le sue raffigurazioni.
Il colore per gli alchimisti è una qualità estrinseca della materia; il colore è il Pneuma, lo spirito vitale della sostanza. Poiché “il sole è suo padre e la luna è sua madre e il vento, (pneuma) l’ha portato nel suo ventre”. Le variazioni di colore sono il segno visibile della trasformazione che si sta verificando all’interno della materia; riproducendo il colore come simbolo e mezzo attraverso il quale il principio della via diviene in alto e in basso un unicum con la vita stessa, gli alchimisti riconoscono quattro stadi distinti di variazione in un procedimento materiale contenuto nel recipiente: il colore diviene dapprima nero, poi bianco, al terzo stadio giallo e infine rosso (cinabro o porpora sono nomi usati come sinonimi). Il nero equivale alla morte della materia e il bianco alla rinascita nella sua forma purificata; il rosso è considerato lo stadio finale di perfezionamento. Lo stadio più comune è noto come la coda del pavone, altrimenti detto arcobaleno o cielo stellato, solitamente susseguente la nigredo, o annerimento. Il colore è parte intrinseca dell’evento alchemico che emerge da un alambicco ermeticamente sigillato ma nel caso del pittore, il vaso da cui attingere il colore, e farlo esplodere in componenti che fanno assumere alla materia colorazione, prende significati diversi e preminenti in base alla luminescenza. Dalla fase nera, nigredo alchemica, i colori assumono una connotazione sempre più potente fino a scaturire nella trasformazione della singolarità dell’attimo in cui si manifesta l’aura, la luce lunare sapienziale che genera e precede la coscienza. Questa luce lunare è quella che nell’ultima fase del Caravaggio, ricca delle componenti fin qui definite, gli hanno permesso di avvicinarsi al culto della Luna Nera, o meglio al culto della grande madre Iside.
Il personaggio-simbolo che traspare dalla tradizione mediterranea, nelle zone d’ombra degli apocrifi dell’Antico Testamento, è Lilith, la Luna Nera, la ripudiata. Caravaggio inserisce questa presenza come essenza da cui tutto procede per poter giungere alla Luce e pertanto La Nigredo, o Opera al Nero, è la prima grande trasmutazione alchemica. Essa indica la prima tappa nel processo di creazione della Pietra filosofale, quello della putrefazione e della disintegrazione della materia. La realizzazione di questa fase può avvenire solo quando diviene manifesta la luce interiore che illumina e rende chiaro il percorso; solo dopo che coscienzialmente si definisce la realizzazione di sé. Altri simboli che costellano la Nigredo sono il piombo, l’inverno e gli atterriti viandanti alla biforcazione delle strade, cui dedicavano l’immagine della triade sacra. Nigredo, annerimento o melanosi, si associano all’elemento terra e, in linea generale, al piombo, alla putrefazione, decomposizione, separazione, V.I.T.R.I.O.L.; al caos primordiale, alla notte, alla vecchiaia; eppure è questa anche la fase che precorre l’Albedo, l’argento, la distillazione, la purificazione, l’alba, il Plenilunio, il femminile, l’adolescenza; è l’attimo che separa le due fasi di un processo attraverso il quale la vita abbandona gradualmente la materia, lasciando un composto informe e putrido. Il processo di putrefazione trascina la materia in uno stato di fermentazione, che a sua volta porta alla luce una nuova forma di vita.
La nascita dello spirito come sapienza diviene coscienza anche attraverso la santità intesa come accettazione di quel che è e può e deve essere; così nuda e cruda di fronte al mistero. In questo spazio i punti di vista personali si dissolvono, i pregiudizi e i preconcetti vengono estirpati, mentre le vecchie idee vengono spazzate via dall’attimo che stabilisce e definisce il contatto tra quello che c’era prima e che non potrà più essere una volta avvenuto il cambiamento. L’ultima tela di Caravaggio che assume ed esprime queste significanze è la morte di Santa Lucia a Siracusa.
Lucia, la Luce, La luminosa, è apparentemente morta, ma in realtà sta svolgendo il sua funzione alchemica e trasforma intorno a sé tutti coloro che in quest’attimo di eternità sfuggente e ferma progrediscono alla ricerca della luce, trasformando dentro e fuori di sé e per sempre l’attimo di eternità in esperienza esistenziale, toccando il fine. della rota alchemica. Lucia, che per sua natura è duplice, nasconde la pudicizia, ma anche la lascivia, perché protettrice di coloro che hanno perduto la retta via… possiede tutti gli attributi cari ad Iside, la divina, madre e vergine allo stesso tempo… è colei che svela e vela contemporaneamente. Rivela.
Ecco perché Lucia ha la capacità di donare la vista, e viene rappresentata con i propri occhi posti ben in vista. Caravaggio fonde la via dell’ambivalenza della divinità , non solo nel processo alchemico dell’Aura della santità della simbologia specifica, ma ricongiunge in sé, finalmente, il maschile e il femminile androgino, che trovano sintesi nel volto purificato della grande madre centrata sulla figura della fanciulla, ma contornata dalle due donne a completare il trittico perenne e costante della ciclicità della grande Luna… nascosta e presente.
Per questo il culmine dell’opera è raggiunto con la decapitazione fatale del gigante Golia: il vecchio, inteso come persona e immagine di Caravaggio stesso, è morto. Nasce il nuovo, portatore dell’opera e della conoscenza che si rinnova, fanciullo , verso una nuova vita. La pietra filosofale ha fatto il miracolo, rendendo il tutto una cosa sola!
Nel Martirio di Sant’Orsola i tre colori dell’opera sono netti e risplendenti, a sottolineare il nuovo corso, e la Verità si rivela per quella che è.
N. 18 Febbraio 2020