I Seggi di Napoli ovvero la “raunanza della nobiltà”
Tratta dai “Dialogi” di Giulio Cesare Capaccio, questa descrizione dei seggi di Napoli ci fa immergere in una storia antica con evidenza legata alla particolare amministrazione della città ma anche al carattere della locale nobiltà, alle sue abitudini, ai suoi legami, al suo rapporto col re.
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[…] questi nostri nobili, radunati insieme nei loro quartieri ove habitavano, godendo le loro conversationi tra di loro, sedeano e passavano il tempo, in certi lochi delle piazze e strade della cità, che fatti ogni giorni più frequenti, ferono venire in desiderio quei signori, di farli riguardevoli et ingrandirli con le fabriche, acciò che veramente fussero lochi separati e di maggior riputatione. Così, con licenza dei re (e vogliono che cominciasse questi stile da Carlo Primo), tutti procurarono di far qualche edificio notabile, imitando quasi i portidi di’ romani, anzi gli antichissimi portici ch’erano in Napoli descritti da Filostrato, nelli quali, particolarmente, celebra le pitture bellissime che vi erano, dove conversavano per diporto. E così chiamarono seggi, dal sedere, e tocchi, con l’istesso suo significato, dalla voce greca TOKOS, che propriamente è un seditoro, onde Andrea d’Isernia nel Commentario delle Constitutioni del Regno, dimanda se quella constitutione che parla dei militi, comprende i nostri militi, che siedono nei tocchi;e piazze per che nelle strade publiche di alcuni lochi della cità, ferono queste fabriche. Vedrete il primo modo di sedere, in un angolo della casa del Marchese di Lauro, con quella prima semplicità, nella Strada di Nido, dicono hoggi, che di verità dovrebbe dirsi di Nilo, da una statua antichissima che vedrete del fiume Nilo, cìha intorno putti e coccodrilli, e poi han corrotto il nome. Ma poco discosto vedrete la nova fabrica c’han fatto di questo seggio, la qual veramente è ammirabile; come l’altra del Seggio di Capoana, che prima in loco angusto fu fatto, poi di tanta grandezza e tanto splendore, che Francesco Petrarca in una sua lettera, scrive che chi viene a Napoli, bisogna necessariamente che, per veder due teatri illustri, vegga quelli di Capoana e Nido, in quelle piazze edificati. Così furono ingranditi gli altri tocchi ma non con quella magnificenza di fabrica, se bene furono motli, quasi che ogni quartiero havesse il suo, pur so che vi piaceranno quelli di Porto, di Montagna, di Portanova, detti così dai proprii lochi, e tutti hanno una stanza separata, ove i cavalieri si concregano, sì che da seditori ordinarii, di spasso, sono divenuti stanze particolari di nobiltà, per trattarvisi i più importanti negotii del publico. Di manera che sono rimasti cinque nei quali consiste tutta la raunanza della nobiltà alla quale spetta il governo della cità, congiunte con la piazza popolare.
[…] (Capuana e Nido) oltre all’esser più antichi nell’edificatione, sempre vengono nominati insieme, nelle Constitutioni di re Roberto e nei Riti della vicaria, si prohibisce che i nobili di quelli due seggi siano ricevuti in pleggiarie; e nelle Consuetudini nove, nel contrahere i matrimonii, quelle due piazze si producono con quel che appartiene alla successione. E pur van così nominate insieme, per l’unione che fu sempre tra loro, così per habitatione, come per raggion di votare. Per la prima, che secondo habitavano le lor famiglie, se una famiglia di Nido habitava nel quartiero di Capoana, era di quella centuria, se gli piaceva; e se quella di Capoana habitava in quel di Nido, poteva essere in quel seggio annoverata. E questo fe’ che fusse ancora commune il voto; per che quei che sono dell’un seggio, ponno votare nell’altro, così però che se per caso alcun cavaliero di Capoana, per un istesso negozio, votasse a Nido, non potrebbe poi votare un’altra volta a Capoana, e per contrario che nel resto, gli altri seggi che nell’istesso empo o dopo fussero edificati, se bene non han questa comunanza, han però l’istesse prerogative, e sono eguali con quei due, riposti nell’istessa autorità, convenendo in tutti i pesi et honori della città, senza maggioranza, uniformi in tutte le loro attioni. E se bene in alcuni di questi seggi si scorge più favorevole la fortuna, nelle ricchezze, nei titoli, nei vassallaggi, non è però che non possiamo dire che la vicissitudine del tempo dona e ritoglie; inalza et abbassa, come nelle rivolutioni di tutte le cose si scorge manifesto…
[…] Nel principio potete imaginarvi che furono eretti molti seggi, edificati da famiglie già estitne et altre che con altre famiglie si riunirono, come hoggi vediamo quelle dei Santo Arcangelo, unite col Seggio di Montagna, il quale fa due eletti per questa translatione, che però non hanno, eccetto una voce. Ma se volessimo hora erigere un novo seggio, non solo sarebbe difficile, ma impossibile.
[…] Essendo già tanti anni sono, stabilito il governo con tanti ordini e privilegii, in questa forma in che si ritrova adesso, et in che si vive pacificamente, volendosi alterare, si alterarebbe lo splendore dell’antica nobiltà, che sta in possessione di cinque piazze, e sarebbe un porre l’arme in mano al popolo, il quale non potrebbe soffrire, che come siede hoggi nel quarto loco a man sinistra, dovesse scender giù, a tempo che se potesse salire un altro scalino, il farebbe volentieri. Se miriamo all’interesse del re, in quest’ordine di sette eletti, sei nobili et uno popolare, quando in alcuna diffferena sono di pare voto, tre e tre (già che Montagna è un sol voto), l’homo regio inchina dove gli pare e resta padrone; che se giungete un’altra voce, sarà sempre escluso…
In copertina, Napoli dal Mare, di Gaspare Vanvitelli. Fonte foto: dalla rete