Tutta questione di…
L’incontenibile bellezza della riconoscenza
foto stefano cracco
Siamo abituati a pensare che la specie umana sia la più evoluta di tutto il regno animale. Anche la Scienza lo sostiene. Eppure da molti anni io mi permetto di sostenere, e non sono il solo, che forse lo siamo in alcuni aspetti del vivere ma in altri siamo decisamente inferiori ad altre specie considerate lontane da noi nella scala evolutiva.
Come gli uccelli, per esempio.
Lo testimonia questa meravigliosa storia (una favola, quasi) tra un essere umano, Valerio, e un gabbiano di nome Jonathan esattamente come il protagonista del romanzo di Richard Bach.
Jonathan è simbolo di un valore molto importante nella vita degli esseri umani ma, ahimè, troppo spesso sottovalutato: la riconoscenza. Il termine riconoscenza deriva da re-cognoscere, ossia conoscere di nuovo, ravvisare ancora.
La persona – o, forse è il caso di dire, più genericamente l’animale- riconoscente è quella che “ritornando al passato conosce di nuovo il valore di una relazione”, specialmente quando si trova a ricordare la propria esistenza accanto a qualcuno. E’ esattamente quello che fa il gabbiano Jonathan: vola per 150 chilometri per tornare da colui che si è preso cura di lui salvandogli la vita.
Senza riconoscenza il mondo non ha futuro perché si sviluppano menti autonome rispetto all’idea della propria storia e soprattutto delle persone che l’hanno favorita e permessa (anche e soprattutto quando si è trattato di una storia dolorosa). Il rischio è che ogni legame affettivo finisca per essere considerato come un contratto di collaborazione a progetto, determinato nel tempo e quindi destinato prima o poi a terminare.
Le vere amicizie e le vere storie d’Amore (dove per Amore non intendiamo solo quello sentimentale tra un uomo e una donna) si basano sulla riconoscenza: è proprio quando vediamo nell’altro sempre una persona nuova eppure antica, nella quale albergano azioni importanti rivolte a sostenere la nostra fragilità, ora come in passato, che possiamo dire di avere un tesoro prezioso giorno dopo giorno.
E quando c’è riconoscenza nessuno è mai solo: ci sentiamo legati a qualcosa che è sempre più importante per il nostro presente quotidiano ed è fonte di quella capacità di tornare con la memoria e il cuore al passato. Solo così riusciamo a ricordarci ogni volta quanto siano importanti gli amori discreti di coloro che hanno vegliato sulla nostra infanzia e adolescenza.
Sì, sono amori discreti. E spesso nascondono il dolore di una vita che precedentemente non ha ricevuto amore ma che ora si riscatta attraverso il ruolo di educatori che permette loro di donare proprio quello che non hanno ricevuto.
E poiché la vita è sempre più originale della nostra sia pur fervida immaginazione, nessuno di noi può davvero affermare come saranno le cose sulla base del solo passato. Quando, per esempio, interviene la riconoscenza – quella affettiva, realistica e concreta basata su un amore veritiero – si può arrivare ad amare anche il nostro nemico, perché in lui riusciamo a scorgere motivi per essere riconoscenti.
Alessandro Bertirotti, antropologo della mente, è nato nel 1964. Si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È Vice Segretario Generale dell’Organizzazione Internazionale della Carta dell’Educazione CCLP Worldwide dell’UNESCO, membro del Comitato Scientifico Internazionale del CCLP e Membro della Missione Diplomatica, per l’Italia, Città del Vaticano, Repubblica di San Marino e Malta, del CCLP Worldwide presso l’Unione Europea. È docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Genova.
Il suo sito è www.alessandrobertirotti.it