Tesserino verde, tesserino bordeaux e il sogno di Giancarlo
Controstorie Sabato 14 Dicembre 2019
Gigi Di Fiore
Quel tesserino verde, rilasciato il 10 marzo del 1982, è un totem che ha resistito 37 anni. Era di Giancarlo Siani, giornalista pubblicista che fece in tempo ad incollare sul simbolo del suo lavoro solo tre bollini di rinnovo annuale. Quel totem è stato mostrato dal fratello Paolo a Torre Annunziata nella cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria a Giancarlo.
Pubblicista, tesserino verde significa che si fa il giornalista a metà, che se si vuole si può anche fare un altro lavoro in contemporanea. Siani, ammazzato a 26 anni dalla camorra-mafia dei Nuvoletta, voleva invece fare il giornalista a tempo pieno, come già di fatto era. Sottigliezze giuridiche, ma allora anche di sostanza. Sottigliezze da differenze retributive, giuridiche, di considerazione. A quei tempi, nella sala stampa della Questura di Napoli, tanto per fare un esempio, i colleghi anziani facevano accedere solo i giornalisti professionisti.
Professionista, tesserino bordeaux ma vi si arrivava attraverso un tesserino intermedio, non rigido ma di cartoncino, di colore azzurrino. Era quello di praticante professionista, che oggi non si usa più perchè di assunzioni di giovani nelle redazioni se ne fanno poche. Praticante, con almeno 18 mesi di contratto, poi l’esame e l’albo dei professionisti. Era il sogno di Giancarlo Siani, in un’epoca in cui l’accesso alla professione era assai diverso da oggi.
L’abusivo, pagato poco o nulla, senza contratto, era la regola. Siani aveva una tipologia di contratto giornalistico che, pur esistendo ancora, non si usa più perchè oggi gli editori lo considerano anti economico: l’articolo 12. Era il giovane corrispondente nei paesi o nei centri di provincia, che segnalava notizie, le raccoglieva, le scriveva e aveva un (assai piccolo) stipendio mensile. Un forfeit, ridicolo, privo di altri riconoscimenti. Giancarlo era articolo 12 da Torre Annunziata, poi nel 1985 fece tre mesi di sostituzione estiva nel settore Cronaca della redazione centrale del Mattino in via Chiatamone. Doveva essere il viatico per l’assunzione a praticante. Non fece in tempo, la camorra gli spezzò quel sogno aspettandolo sotto casa nel quartiere Vomero di ritorno dalla redazione di via Chiatamone.
Al Mattino lavorava, oggi è in pensione, il recordman del periodo di abusivismo prima dell’assunzione. Si chiama Michele Tanzillo, fece 10 anni senza contratto prima della regolarizzazione. Erano gli stessi anni di Giancarlo. L’abusivismo come viatico-base per chi non aveva santi in Paradiso, quando ancora nei giornali si assumevano praticanti. Era la regola, poi arrivarono le borse di studio e i concorsi della Federazione della stampa, poi si moltiplicarono le scuole di giornalismo dove, sborsando tasse sostanziose, dopo due anni si accede all’esame e si diventa professionisti. Il più delle volte, senza un futuro di lavoro. Professionisti senza redazione.
Se fosse vivo, Giancarlo avrebbe 60 anni. La mia età, tra pochi giorni. Ricordo il periodo, il contesto, ricordo la gioia quando, al Circolo della stampa in Villa Comunale, le signore che lavoravano nella segreteria all’Ordine dei giornalisti (le signore Criscitelli e Mariani) mi consegnarono il tesserino verde di pubblicista, conquistato dopo una gavetta a dieci righe a pezzo e un commento settimanale sulle partite del campionato di calcio di Promozione nella neonata (allora) agenzia sportiva Roto/press.
Il Mattino era lassù, in alto, in via Chiatamone. Un sogno, da circondare, carezzare facendo percorsi di avvio in altre redazioni. Settimanali, piccoli quotidiani, il tesserino azzurrino. L’esame che Giancarlo aveva solo sognato arrivò per me il mese dopo quella morte tremenda che mi gelò. Feci lo scritto per diventare giornalista professionista nell’ottobre del 1985. E la mia iscrizione all’albo ha la stessa età di quel delitto. Naturalmente, in quella sessione, una delle prove scritte era sul delitto Siani. Scelsi quell’articolo, che mi valse il riconoscimento dell’Ordine campano (si chiamava la stelletta ed era un attestato scritto, firmato dal presidente che allora era Cesare Marcucci). Non era per me un merito, ma l’effetto della passione e dell’emozione che misi nell’ avere scritto (non in un giornale, ma alla prova per diventare professionista) quello che pensavo sull’assurdità dell’assassinio di un mio coetaneo-collega.
Oggi Siani sarebbe un giornalista affermato e ascoltato ha detto il ministro Luciana Lamorgese. Sempre che, come altri colleghi nati nel 1959 come lui, non avesse scelto, per stanchezza e disillusione per una professione trasformata, di andarsene in prepensionamento. Sempre che, come tantissimi colleghi dai 60 anni in su, non faccia i conti sull’Inpgi, l’ente di previdenza giornalistico, per la pensione, non osservi con dolore e amarezza le centinaia e centinaia di edicole chiuse in tutt’Italia, i giovani pagati a 3 o 5 euro a pezzo, con l’obbligo di avere la partita Iva. Colleghi senza prospettive di assunzione come era dopo l’abusivismo di una volta, senza i soldi per le tasse delle scuole di giornalismo per diventare almeno professionisti. Colleghi eterni tesserini verdi.
Questo non è un ricordo di Giancarlo, almeno non in senso tradizionale. E’ un 34 anni dopo tra tesserini verdi e bordeaux. Poche garanzie allora, ma con il sogno e la speranza di strappare un’assunzione con tenacia e sgobbando. Oggi, neanche questo c’è. E vedi decine e decine di giovani colleghi, pubblicisti e no, a fare video con telefonini, a scrivere su siti online, a inventarsi videomaker e cronisti in miriadi di tv, sperare. Quella professione, quella che sognava Giancarlo, non esiste più. Hai voglia a dire le notizie, ma proliferano i talk show, che fanno più audience. C’è l’intervista carogna rubata, ci sono le commistioni tra presentatori/ici e giornalismo. Mentre i giornali vendono poco, i prepensionamenti aumentano, gli stipendi diminuiscono, l’ente di previdenza rischia grosso. Un giornalismo in era di trasformazione, con nuove realtà e l’incertezza sul futuro dei giornali di carta.
Era il sogno di Giancarlo mai realizzato, perchè spezzato dalle pistole dei killer della camorra. Un sogno di libertà, di passione, di un lavoro che amava. Chissà, davvero, oggi che penserebbe su come è diventato, come si è trasformato il giornalismo. I ventenni, in preda allo stesso sogno, guardano a lui come un esempio in una realtà dove l’informazione è social e il rigore del dato, della notizia, dell’archivio, della memoria, dell’esperienza, che cercava Giancarlo sembra svanire.
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