Un viaggio lungo novemila chilometri

“Un viaggio lungo novemila chilometri insieme ai miei cavalli”

Paola Giacomini è partita un anno e 5 mesi fa e tornerà a casa il 1 dicembre prossimo
Serenella Bettin – Dom, 17/11/2019 

Lei è Paola Giacomini. Ha 40 anni, viene da Caprie, un piccolo comune in provincia di Torino e vive in sella ai suoi cavalli.

Custode e Tgighereè, che in italiano significa «diritto». Con loro sta facendo un viaggio, lungo novemila chilometri e un anno e cinque mesi. Partita il 10 giugno 2018 da Harahorin, un villaggio a 320 chilometri a ovest della capitale della Mongolia, l’abbiamo incontrata a Verona dove era arrivata per la Fiera Cavalli, appena conclusa.

Da qui ripartirà verso Mantova, percorrerà le rive del fiume Po, arriverà a Reggio Emilia e risalirà alla volta di casa, dove ci arriverà il primo dicembre prossimo.

Cappello tirolese in testa, sciarpa intrecciata di lana colorata, indossa un cappotto lungo, zaino in spalla e scarponi ai piedi. Ha le mani cavalcate dal freddo e la pelle solcata dal vento. Ha iniziato ad andare a cavallo a diciotto anni, oltre ventimila chilometri percorsi in sella e ora il viaggio dalle steppe asiatiche verso l’Italia.

«È stato bello – ci racconta mentre ci incontriamo lungo il suo viaggio – molto più bello di quello che pensavo. A diciotto anni anziché prendere la patente ho preso un cavallo e ora eccomi qua». Per fare questo percorso Paola si è allenata. Partita con una tenda, in ogni luogo dove arrivava, la piantava e sistemava un cavallo a destra e uno a sinistra. Custode è stato così battezzato all’inizio del viaggio perché una notte le ha dormito posandole la testa addosso, l’ha protetta. L’ha scaldata. E da lì il nome. E poi Tgighereè – Diritto, per non perdere mai la strada. Ma la sua cavalla di sempre è Isotta che di anni ne ha 28, con lei ha fatto il Cammino di Santiago. Lungo il viaggio dall’Asia all’Italia ha affrontato il freddo, le intemperie, le bufere di neve, quelle di vento, ha perfino passato quarantotto ore a tagliare gli alberi per aprirsi un varco. Anche a meno venti gradi sotto zero. «In Russia ero vicino al Don – ci racconta – tanto freddo sì, ma avevo un ottimo equipaggiamento, ero in continua compagnia. Poi proprio in quell’area lì sono entrata in contatto con i cosacchi che mi hanno preso con loro, mi organizzavano dei banchetti, con pietanze mai assaggiate prima e mi davano un posto dove potermi fermare. Mi sono venuti incontro nella bufera, ho conosciuto persone magnifiche. I miei due cavalli poi eccezionali. Se ripenso a quando Custode mi ha protetto, dormendomi addosso, ancora mi vengono i brividi. La pelle d’oca». Paola non è mai da sola. Qualcuno lungo il viaggio lo incontra sempre. Qualcuno che la segue in auto. In moto. E anche a cavallo. Il suo itinerario parte grazie a una leggenda. Perché nella Basilica di Cracovia a ogni ora, ogni giorno, ci sta un trombettiere che suona una melodia, Heinaul, che significa «sentinella» e che ricorda un fatto di ottocentocinquanta anni fa, quando i mongoli attaccarono la città e uccisero la sentinella della cattedrale trafiggendola con un dardo alla gola. E così il sindaco di Harahorin, quando è partita le ha consegnato una freccia da portare al sindaco di Cracovia. In segno di pace.

«Il 16 settembre 2019 – ci dice – ho consegnato al sindaco di Cracovia la freccia. Bello, molto bello. Mi hanno fatto una grande festa». E ora? Ora questa notte dorme qui con i suoi cavalli, che stanchi si stanno riposando. Lei, il primo dicembre sarà a casa. Ma l’8 si torna in pista. Al lavoro. Paola lavora negli impianti sciistici e partirà alla volta di Bardonecchia. Nel suo zaino, a proteggerla sempre c’è un’icona che Padre Benedetto le diede, durante un suo viaggio in Kosovo, nel monastero di Decani.