Ritrova il ponte delle Due Sicilie abbandonato da 250 anni
Patrimonio UNESCO abbandonato al degrado e alla dimenticanza collettiva …
Ottopagine News
Un ponte senza targa oggi sommerso dai rifiuti, dalle erbe selvatiche e da fichi nemmeno buoni da mangiare. Durazzano. Il ponte di Durazzano, in provincia di Benevento, è un patrimonio UNESCO abbandonato al degrado e alla dimenticanza collettiva. 250 anni di errori storici, scrive l’architetto napoletano Mario Pagliaro.
“Ho realizzato delle ricerche su questo ponte minore dell’Acquedotto Carolino, sul quale è stato detto tutto e il contrario di tutto. Il “Ponte della Valle di Durazzano”, opera di Luigi Vanvitelli, doveva chiamarsi secondo l’architetto “Ponte di Ferdinando IV”, il re “piccirillo”. E portare l’acqua dalle sorgenti del Fizzo, alle falde del Monte Taburno, attraversando valli e montagne, fino ad alimentare lo spettacolo magnifico di una reggia e del suo parco. Doveva essere emblema del regno delle Due Sicilie
“Quello che è accaduto a Durazzano è inconcepibile. Dimenticarsi così di un patrimonio simile a causa di giochi di potere e una lapide non apposta, una scritta non incisa, una dedica mai fatta giungere”.
Andrea Fantucchio
Questo libro, racconta la storia riscritta di uno dei ponti minori dell’Acquedotto Carolino, uno dei molti monumenti italiani inclusi nella lista Unesco dei Patrimoni dell’Umanità ma ancora avvolti da tanta approssimazione, sia nella storiografia che nella conservazione.
Il “ponte Tagliola”, a Durazzano, nel Sannio, verso la “Terra di Lavoro”, non si chiama così. E’, infatti, un monumento inconsapevole dell’Acquedotto Carolino, vittima della storia quando diventa sostituta del contemporaneo.
Luigi Vanvitelli, che lo creò, lo aveva battezzato “Ponte della Valle di Durazzano” e se fosse riuscito nel suo intento, si sarebbe chiamato “Ponte di Ferdinando IV”. Un ponte dedicato ad un Re, seppur “nasone” o “piccirillo” ma non ad una trappola. La storia, invece, quella fatta dai vincenti o almeno, da quelli che non perdono, gli ha disegnato tutto un altro destino.
La battaglia diplomatica tra Vanvitelli e Bernardo Tanucci, combattuta sul “ponte Tagliola” due secoli fa, lo ha lasciato sommerso tra rifiuti, erbe selvatiche e fichi, nemmeno buoni da mangiare. Soprattutto, perso nelle memorie colte e istituzionali e approssimato negli affetti della comunità che lo possiede.
Tutto questo per una lapide non apposta, una scritta non incisa, una dedica non fatta giungere.
Questo libro, é stata immaginato perché facesse riconoscere tutti gli elementi della “favola”: il ponte, i personaggi che lo conobbero, i tempi ed i luoghi in cui questi vissero. Soprattutto, é stato progettato, consapevolmente, per formati digitali e per una distribuzione gratuita, per compensare l’assenza di affetto, di conoscenza e l’eccesso di approssimazione accademica di cui soffre, da oltre due secoli, questo brano minore del Carolino.
L’obbiettivo di questo libro non è il romanticismo da “odor di stampa”, l’attenzione per le “brossure patinate” o le nostalgie per la polvere. Questa ricerca, invece, vuole essere condivisa con tutti e distribuita da chiunque, insieme ai suoi contenuti, ai suoi link, alle sue interazioni con Google Maps, tutti organizzati insieme per la ri-costruzione di una storia mai letta, un valore non ri-conosciuto, un affetto mai concesso.
Soprattutto, perché sia trattato di pace o almeno di armistizio, tra una comunità ed un ponte che per troppo tempo é stato monumento inconsapevole di se stesso.
Mario Pagliaro, ovvero, colui a cui è venuto in mente di “andar per ponti”:
Quarantotto anni, napoletano ”per nascita”, durazzanese “per madre”, arianese “per padre”, avellinese “per destino”, architetto “per scelta”, designer “per convinzione”, artigiano “ad honorem”, giornalista “senza tessera”, “digitale” ma non virtuale.
Persegue dal ’94 la contaminazione tra Territorio, Artigianato, Design e Digitale. Blogger, ha pubblicato anche su testate giornalistiche locali e nazionali e su pubblicazioni tecniche, politicamente impegnato. Ha in attivo diversi design contest ed ha esposto, tra l’altro, a Tokio, Londra, Colonia ed alla Triennale di Milano.
Il suo motto è: <<in un film di cui non ricordo il titolo, su di un jazzista bianco, di cui non ricordo il nome, il suo maestro disse: “nel jazz non ci sono regole ma sempre una ragione”. Per me lo stesso vale in architettura e in ogni cosa voglia significare.>>