Il gruppo di Lima e il gruppo di Puebla: sfida continentale in America Latina
(Il Mattino 22 ottobre 2019) di Carmine Pinto
La pace sembra finita. Negli ultimi dieci anni l’America Latina ha registrato conflitti criminali su larga scala, nuove feroci dittature, movimenti di piazza. Se il presidente del Cile, Sebastian Piñera, ha parlato di guerra, non si riferiva soltanto alle persone morte durante manifestazioni e saccheggi, ma anche alle trame internazionali, seguendo su questa linea le dichiarazioni dei suoi omologhi dell’Ecuador e della Colombia. Ed è solo l’ultima tappa di una storia iniziata più di venti anni fa, con la fine della Guerra fredda. Mentre crollavano i regimi comunisti in Europa, Castro trasformò Cuba in un paradiso delle vacanze occidentali, mantenendo però la popolazione sotto la ferrea morsa del suo regime. Iniziò poi una strategia frontista, insieme al brasiliano Lula: fondarono un’alleanza delle sinistre latine, il Foro di Sao Paolo, che raccolse dai narco-guerriglieri delle Farc in Colombia fino ai socialisti cileni (anche se molti socialdemocratici lo contrastarono).
Questa politica ebbe un grande successo tra il 1998 e la prima decade del 2000, quando in una dozzina di stati uomini del Foro conquistarono il potere, spazzando via le forze liberali o conservatrici, in alcuni casi (come in Venezuela) anche i socialdemocratici. Le bandiere erano quelle tradizionali: lotta alla corruzione e alla povertà. La pratica presentò due modelli opposti. Un misto di populismo e capitalismo (Cile e Brasile ne erano due opzioni per quanto diverse), cavalcando con successo l’ondata di crescita economica e di redistribuzione economica del continente. Oppure una opzione autoritaria, che andò dal populismo corruttivo (Argentina) o allo narco-dittatura, il Venezuela di Chavez e Maduro.
La reazione a questo successo clamoroso si è delineata negli ultimi dieci anni con la rivincita di forze conservatrici o liberali. Queste utilizzarono le stesse bandiere, corruzione e incapacità, togliendole di mano alle sinistre (Brasile e Argentina), fecero leva sul dilagante rapporto di gruppi marxisti con il narcotraffico (Colombia) o denunciarono tentativi di autoritarismo (Equador). Il risultato fu una travolgente vittoria che spazzò via quasi tutte le sinistre al governo. Il loro punto d’arrivo fu la costituzione del gruppo di Lima, per tentare il colpo grosso: isolare la dittatura venezuelana e favorire un pacifico cambio di regime a Caracas attraverso varie forme di pressione internazionale.
Il Venezuela è diventato il centro dello scontro, Cuba l’antagonista principale. Decine di migliaia di operativi cubani rafforzano il controllo del traballante regime chavista, dai narcoguerriglieri colombiani. Lo scontro diventa decisivo. Caduta Caracas, sarebbe toccato a Cuba. La sfida si gioca tra febbraio e maggio del 2019. Il gruppo di Lima prima tenta di far entrare gli aiuti umanitari in appoggio al presidente Guaidò, poi sostiene una negoziazione con l’esercito. La reazione dei castro-chavisti li spiazza. Questi mostrano la decisione che manca agli avversari nell’uso delle armi, iniziando a sparare sugli aiuti e poi eliminando gli interlocutori del gruppo di Lima. Fanno capire che sono disposti a tutto per mantenere il regime. E tentano una controffensiva.
La partita attuale inizia a luglio. A Puebla, in Mexico, si riuniscono i rappresentanti di una trentina di gruppi politici, quelli più radicali del Foro di Sao Paolo, Cuba regista. Obiettivo: ribaltare l’offensiva dei governi moderati, difendere il regime di Maduro, mettere in crisi il gruppo di Lima, riconquistare il potere dove possibile. La competizione tra Usa e autocrazie asiatiche resta apparentemente sullo sfondo. L’irrazionalità della politica di Trump e le difficoltà strategiche di Russia e Cina rendono protagonisti, per ora, i latini.
Si delineano i tre i principali campi di battaglia di fine anno. Innanzitutto, il Venezuela, dove la partita principale coinvolge le due potenze dei Caraibi: Colombia e Cuba. Per la Colombia, che è uscita vincitrice dalla guerra della cocaina, il Venezuela è la retrovia dei narco-guerriglieri e dei loro alleati politici. Per Cuba è la principale linea di resistenza e di espansione geopolitica. In entrambi i casi, la sfida è mortale. In secondo luogo l’Argentina, dove il conservatore Macry non è riuscito a mantenere la promessa di tirare fuori il paese dal disastro economico e corruttivo del kirchnerismo. Ora sta tentando una disperata rimonta contro l’avversario radicale, una sua sconfitta mette in gioco la parte meridionale del continente. Infine, la guerra delle idee, che vede il gruppo di Lima e il Foro di Sao Paolo al centro di uno scontro politico ideologico di dimensioni continentali tra due narrazioni opposte: Santiago, Lima e Bogotà. Il liberalismo presidenziale contro il populismo centralista/autocratico è il terreno di una interpretazione delle piazze di questi giorni. Si tratta di una vera e propria grande sfida del XXI secolo, che non ha nulla a che vedere con gli slogan della Guerra fredda (che riscaldano intellettuali e militanti europei), ma presenta un grande campo di battaglia della competizione geopolitica globale tra autocrazie e democrazie liberali.