La “Canzone di Zeza”, una storia di amore, inganni e conflitti generazionali
Viaggio alla scoperta di un’antica tradizione del Carnevale campano
di Marina Indulgenza – 04 Febbraio 2017
Quando un napoletano afferma, riferendosi a un esponente del gentil sesso: “Chella è ‘na zèza”, sappiate che non sta facendo ciò che si può definire propriamente un complimento. Riprendendo, infatti, un antico modo di dire, con questo termine si vuole indicare una donna che fa continuamente smorfie o vezzi, che si abbandona a smancerie di ogni genere e che è un’insopportabile chiacchierona, oltre che civettuola.
Il significato di “zèza” risale alla Commedia dell’Arte e, soprattutto, a quella consuetudine di attribuire il nome di un personaggio teatrale a chi assume nella vita di tutti i giorni il comportamento del personaggio stesso. Zeza, infatti, è il diminutivo di Lucrezia, moglie di Pulcinella, e dunque un nome proprio che successivamente è diventato aggettivo e poi aggettivo sostantivato per indicare una donna che aveva le medesime caratteristiche di questo personaggio.
Fu nel corso del Seicento, quando il Carnevale Napoletano raggiunse il periodo di maggiore splendore, che la “Canzone di Zeza” iniziò a diffondersi per le strade della città, recitata da attori improvvisati e accompagnata dal suono del trombone.
La storia è quella dell’amore tra la figlia di Pulcinella, Tolla (o Vicenzella) con Don Nicola, studente calabrese, le cui nozze sono fortemente contrastate dal padre di lei che teme di essere disonorato, mentre sua moglie Zeza, che è di ben altro avviso, vuole far divertire la figlia “co’ ‘mmilorde, signure o co’ l’abbate”. Pulcinella sorprende gli innamorati e reagisce violentemente, ma, punito e piegato da Don Nicola, alla fine si rassegna. Anche se si tratta di un testo “popolare”, si affrontano comunque, seppure in chiave grottesca, tematiche universali quali il conflitto tra le generazioni, la ribellione all’autorità paterna – rappresentata da Pulcinella – e la risoluzione dello scontro col matrimonio che, per certi versi, ricompone l’equilibrio familiare.
Fino alla prima metà dell’Ottocento, la “cantata vernacola […] sul gusto delle atellane che successero alle feste Bacchiche, alle Dionisiche e, quindi, ai fescenini e alle satire” e che “trae argomento dagli amori di un Don Nicola, studente calabrese, con Vincinzella, figlia di Zeza e Pulcinella”, si rappresentò nei cortili dei palazzi, nelle strade, nelle osterie e nelle piazze ad opera di attori occasionali o compagnie di quartiere, che si facevano annunciare a suon di tamburo e di fischietto e ben presto divenne un testo così famoso da essere conosciuto a memoria da tutti i ceti sociali di Napoli. Le parti femminili erano interpretate da soli uomini perché le donne non potevano essere esposte alla pubblica rappresentazione ed è una tradizione che si conserva ancora oggi. Nella seconda metà del XIX secolo, a seguito dell’emanazione di divieti ufficiali che ne proibivano la rappresentazione per le strade “per le mordaci allusioni e per i detti troppo licenziosi ed osceni”, la “Zeza” fu accolta, esclusivamente nel periodo di Carnevale, nei teatri frequentati soprattutto dalla plebe, dove il pubblico notoriamente interloquiva cogli attori nel corso della rappresentazione “con sfrenatezze di gergo e di gesti”. A causa di questi impedimenti, la “Zeza” si diffuse quindi nelle campagne adiacenti e, con caratteri sempre più diversificati, nelle altre regioni del Reame di Napoli.
Al giorno d’oggi la “Canzone di Zeza” è una rappresentazione tipica della Campania e specialmente dei paesi dell’Irpinia: in generale possono cambiare i nomi dei personaggi e le battute dei dialoghi da paese a paese, ma alla base permane sempre lo stesso canovaccio.
Le famose “Zeza” di Bellizzi Irpino e di Cesinali, che sono le più vicine geograficamente, hanno discordanze evidenti dalla versione napoletana nella presenza del coro, nel numero dei personaggi, nei loro nomi (la ragazza si chiama Porzia e il giovane Don Zenobbio, che è anche dottore e cura la ferita a Pulcinella) e nel finale. Oltre ai protagonisti vi sono altre figure di rilievo come Don Bartolo, lo scalettiere, Cosetta, la fioraia che offre garofani e mimose, e il “capozeza”, con la sua sciabola in legno e il suo francese maccheronico.
Nella “Zeza” di Montemiletto e di Capriglia Irpina, la farsa popolare dialettale è recitata unicamente da attori uomini e per anni è stata oggetto di studio di filosofi del calibro di Benedetto Croce. L’azione scenica, totalmente cantata e accompagnata dalla musica, narra la vicenda di Porziella, figlia di Zeza e di Pulcinella, che vorrebbe sposare il Marinaio, mentre il padre la darà in moglie al medico Don Zenobio.
A Solofra la “Canzone di Zeza”, che si rappresenta in tutta la valle del Solofrana da San Severino in su, è un vero pezzo di teatro popolare cantato e accompagnato da nacchere, triccheballacche e tamburelli. Tutta la rappresentazione viene condotta da soli uomini, compreso un “capozeza” che la guida, mantiene rapporti con il pubblico e avvia la sfrenata tarantella che completa la rappresentazione. Zeza è una popolana che ha come preoccupazione principale quella di far “accasare” la figlia all’insaputa del marito, Pulcinella, che è un uomo gretto, un padre patriarcale, chiuso in una falsa mentalità puritana, che tiene la figlia in casa impedendole di “praticare” con chiunque. La donna, infatti, quando lui non c’è, riceve in casa l’innamorato della figlia Vincinzella, l’avvocato Si’ Ronnicola. Una sera però, ritornando a casa all’improvviso, l’uomo scopre i due innamorati e si abbandona ad una sceneggiata minacciando di uccidere il giovane, arrendendosi, però, solo dopo aver riscosso una capace borsa di denaro. Questo “elemento solofrano”, che risponde alla realtà economica del paese per la quale il denaro risolve tutti i problemi, ha il valore di una firma. Resta così il dubbio se entrambi i coniugi non abbiano escogitato una messa in scena per costringere il buon partito a sposare la figlia, a pagare bene Pulcinella e a tenersi in casa i due suoceri.
La “Zeza” di Forino, in parte cantata e in parte recitata, è accompagnata dalla “banda piccola” e da un gruppo di ballerini dai costumi colorati. Accanto ai personaggi classici della “Zeza” si inseriscono sia coloro che rappresentano i “mestieri”, sia la Vecchia di Pulcinella, emblema delle negatività che hanno attraversato la vita della comunità e che ripropone il contrasto tra Quaresima e Carnevale.
A Mercogliano la “Zeza” è una rappresentazione antica nella tradizione del folklore di questo comune. Pulcinella viene chiamato Granturco (forse a ricordare i pupazzi di Carnevale che si facevano appunto col granturco) ed è un padre-padrone vittima dei tranelli di Zeza Viola, la moglie, donna ruffiana e affarista che cerca di combinare matrimoni vantaggiosi per la figlia Vincenzella. Già nel secolo scorso, infatti, attori improvvisati si esibivano specialmente nelle grandi masserie dove, dopo ogni esecuzione, veniva bandita una grossa tavola con formaggi, salami, pane, frutta secca, e numerose caraffe di vino. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale fu introdotto l’uso della questua in denaro per sopperire alla spese di allestimento sempre più care. Nel 1971 la “Zeza” di Mercogliano fu conosciuta a livello internazionale grazie a Pier Paolo Pasolini che la inserì come colonna sonora del suo film “Decameron”.
A Montoro Inferiore il Carnevale è espressione di quella cultura popolare che gli abitanti della cittadina, da oltre cento anni, cercano di tramandare alle nuove generazioni con la rappresentazione della “Zeza con l’intreccio” che unisce la commedia brillante d’amore a un insieme di variopinti archi di fiori e nastri portati dai giovani in costumi tradizionali dell’epoca, avanzando con passi di danza che si tramandano da padre in figlio.
La “Zeza” di Volturata Irpina veniva sceneggiata a partire dal 1865 in occasione del Carnevale e ritraeva nel suo insieme il carattere della condizione rurale voltura rese, evidenziando la povertà in cui viveva la gente del tempo che cercava di migliorare la propria condizione, per esempio attraverso il matrimonio. Si tratta di una commedia musicale, intonata su canti in rime che risuonavano la tarantella, nella quale Zeza faceva di tutto per far maritare la figlia “Vecenzella” con Don Nicola, benestante maestro di scuola, per provare a migliorare la loro condizione di indigenza.
A Pomigliano d’Arco, nel napoletano va in scena ogni anno a Carnevale la “Canzone di Zeza”, rappresentata dall’Associazione “A Sunagliera” di Giovanni Sgammato, lo storico fondatore del gruppo “E’ Zezi”, nato verso la metà degli anni settanta con l’intento, espresso più volte dai suoi fondatori – quasi tutti operai degli stabilimenti industriali della periferia vesuviana di Napoli – di comporre una visione della musica popolare diversa da quella della “classe borghese”, affrontando i grandi temi della corruzione, della migrazione, dell’emarginazione, della precarietà, delle politiche del lavoro, dei diritti dei lavoratori.
A Galluccio, in provincia di Caserta, la rappresentazione della “Zeza” inizia con l’entrata in scena di Don Nicola che viene nascosto sotto il letto da Zeza nel momento esatto in cui Pulcinella rincasa. La donna si arrabbia poi con il marito per il suo atteggiamento repressivo nei confronti della figlia, mentre lei vuole farla divertire con “cento innamorati, principi, baroni, abati e anche soldati”.
Nel salernitano, a San Potito, la scena iniziale della “Zeza” si apre con Pulcinella che dice alla moglie di aver trovato sotto il letto don Nicola e questa gli risponde che invece era il padrone di casa che voleva i soldi della pigione arretrata, mentre Don Nicola fa la sua comparsa solo dopo essere stato visto uscire da scuola da Vincenzella. Tuttavia, l’elemento che maggiormente traspare in questa rappresentazione è il passaggio, per la ragazza, dalla dipendenza del genitore a quella del marito, soprattutto alla fine della farsa quando Don Nicola, mediante un salto temporale, si lamenta dei polsini e del collare che la moglie non lava mentre Pulcinella prende le difese della figlia.
Da : https://www.ecampania.it/avellino-benevento-caserta-napoli-salerno/cultura/canzone-zeza-una-storia-amore-inganni-e-conflitti-generazionali