Sogni europei contro migrazione di massa

Sogni europei contro migrazione di massa

di Giulio Meotti 6 ottobre 2019

Pezzo in lingua originale inglese: European Dreams vs. Mass Migration
Traduzioni di Angelita La Spada

Purtroppo, la mentalità europea rifiuta di affrontare la realtà, come se la sfida fosse troppo difficile da affrontare.

“Si è tenuta la conferenza sul tema ‘Pensare l’Europa’ (…) Lì, mi ha infastidito sentire Tariq Ramadan parlare di Europa come di Dar al-Shahada ossia “casa della testimonianza di fede islamica”. Il pubblico presente era allarmato, ma non ha compreso il messaggio della percezione dell’Europa (…) come parte della casa dell’Islam. Se l’Europa non è più percepita come Dar a-Harb/casa della guerra, ma come parte della casa pacifica dell’Islam, allora non è un segno di moderazione, come qualcuno erroneamente pensa: è la mentalità di un’islamizzazione dell’Europa.” – Bassam Tibi, professore emerito di Relazioni internazionali, presso l’Università di Göttingen.

È una falsa idea marxista tra i giovani qui in Europa che se hai successo e sei tranquillo non può che essere a scapito dell’umanità: “Se io vinco, qualcun altro deve perdere”. Non sembra esserci alcun concetto della “vittoria per tutti”. – “Se io vinco, anche voi potete vincere: tutti possono vincere!” che è alla base dell’economia libera e ha permesso a gran parte del mondo di uscire dalla povertà in modo così spettacolare.

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Il prezzo del relativismo culturale è diventato penosamente visibile in Europa. La disintegrazione degli Stati-nazione è ora una possibilità reale. Il multiculturalismo – costruito su un background di declino demografico, di massiccia scristianizzazione e di auto-ripudio culturale – non è altro che una fase di transizione che rischia di portare alla frammentazione dell’Occidente. (Fonte dell’immagine: iStock)

L’Europa si presenta come l’avanguardia dell’unificazione dell’umanità. Di conseguenza, le radici culturali dell’Europa sono state messe a rischio. Secondo Pierre Manent, un illustre politologo francese e docente presso la l’École des hautes études en sciences sociales di Parigi:

“L’orgoglio europeo o l’autocoscienza europea dipendono dal rifiuto della storia europea e della civiltà europea! Non vogliamo avere nulla a che fare con le radici cristiane e vogliamo assolutamente essere perfettamente accoglienti con l’Islam”.

Manent ha consegnato queste parole al mensile francese Causeur. Ha citato come esempio la Turchia:

“Era molto chiaro che non solo il carattere massicciamente islamico (anche prima di Erdogan) non era un ostacolo ma una sorta di motivo, una ragione per far entrare la Turchia. Alla fine sarebbe stata la prova definitiva che l’Europa si era liberata dalla dipendenza cristiana”

La frontiera meridionale dell’Europa è ora la linea del fronte per questa migrazione di massa; l’Italia rischia di diventare un campo profughi. Negli ultimi mesi, l’Italia ha dovuto affrontare una serie di imbarcazioni provenienti dall’Africa, che hanno messo alla prova la sua politica: innanzitutto la Sea Watch 3, poi la Open Arms e l’Ocean Viking. Fino a poco prima delle elezioni italiane del marzo 2018, i migranti attraversavano il Mediterraneo al ritmo di 200 mila all’anno.

Poiché i ministri europei della sicurezza non hanno raggiunto un accordo sulla crisi migratoria del Mediterraneo, il ministro italiano dell’Interno Matteo Salvini, disposto a rimanere praticamente da solo, ha deciso di chiudere i porti italiani. Sebbene la magistratura italiana abbia tentato di accusarlo di “sequestro” di migranti, la politica di Salvini ha funzionato e gli sbarchi sono crollati. Nei primi due mesi del 2019, 262 migranti hanno raggiunto l’Italia via mare, a fronte dei 5.200 arrivati nello stesso periodo dello scorso anno e rispetto agli oltre 13 mila sbarcati nello stesso periodo del 2017.

Il governo italiano è crollato il 20 agosto; esiste ora la grande possibilità che una nuova coalizione di sinistra pro-immigrazione prenda il suo posto. Una nave che tenta di portare in Italia 356 migranti provenienti dall’Africa, più di quelli sbarcati nei primi due mesi dell’anno, è stata bloccata in mare dopo che aveva recuperato i migranti tra il 9 e il 12 agosto, in attesa del permesso di sbarco. In uno stallo dopo l’altro, le ong hanno tentato di smantellare la barricata di Salvini contro l’immigrazione illegale.

Un’imbarcazione l’ha già fatto. A uno dei capitani della Sea Watch3, una cittadina tedesca, Pia Klemp, è stata perfino offerta un’onorificenza dalla città di Parigi per aver forzato il blocco italiano. Secondo l’altra capitana tedesca, Carola Rackete: “La mia vita è stata facile. (…) Sono bianca, tedesca, nata in un paese ricco e con il passaporto giusto” – come se la sua determinazione ad aiutare i migranti fosse, nelle sue parole, legata alla vita relativamente privilegiata che ha condotto in Occidente.

È una falsa idea marxista tra i giovani qui in Europa che se hai successo e sei tranquillo non può che essere a scapito dell’umanità: “Se io vinco, qualcun altro deve perdere”. Non sembra esserci alcun concetto della “vittoria per tutti”. – “Se io vinco, anche voi potete vincere: tutti possono vincere!” che è alla base dell’economia libera e ha permesso a gran parte del mondo di uscire dalla povertà in modo così spettacolare. Molti giovani vedono solo barriere da abbattere. Pascal Bruckner l’ha definita la “tirannia del pentimento”.

Purtroppo il prezzo del relativismo culturale è diventato penosamente visibile in Europa. La disintegrazione degli Stati-nazione è ora una possibilità reale. Il multiculturalismo – costruito su un background di declino demografico, di massiccia scristianizzazione e di auto-ripudio culturale – non è altro che una fase di transizione che rischia di portare alla frammentazione dell’Occidente. Tra le ragioni di ciò, lo storico David Engels ha menzionato la “migrazione di massa”, l’invecchiamento della popolazione, l’islamizzazione e la dissoluzione degli Stati-nazione”.

Le migrazioni di massa hanno già minato l’unità e la solidarietà delle società occidentali e – unite alla demonizzazione di Israele nella speranza di ottenere petrolio a basso costo e di prevenire il terrorismo – hanno destabilizzato il consenso politico post-1945.

La politica delle porte aperte della cancelliera tedesca Angela Merkel – “Wir schaffen das” (“Ce la possiamo fare”) – ha portato un partito di destra nel suo parlamento. Alternativa per la Germania (AfD) è ora in testa ai sondaggi nelle elezioni regionali nella ex Germania orientale. Il Partito socialista francese, che ha governato il paese sotto il presidente François Hollande sta scomparendo. I diktat di Bruxelles sull’immigrazione e sulla distribuzione delle quote hanno spezzato l’unità dell’Europa e hanno provocato la “secessione” di fatto dei paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia). L’utopia della migrazione in Svezia ha portato in parlamento un partito di destra e l’arrivo di mezzo milione di migranti illegali ha spinto la Lega di Matteo Salvini, un tempo marginale, in cima all’establishment politico italiano.

Questo elenco non include nemmeno la Brexit, il voto britannico a favore dell’uscita dell’UE. Secondo la giornalista tedesca Jochen Bittner, scrivendo sul New York Times lo scorso anno:

“Alla fine del 2015, la campagna Leave iniziò ad attaccare manifesti che mostravano l’esodo dei rifugiati siriani e di altri paesi dei Balcani, utilizzando slogan del tipo ‘Punto di rottura’ e ‘Riprendiamo il controllo’. Con la Merkel favorevole a una politica delle porte aperte, il messaggio ha colpito milioni di britannici e di europei preoccupati. Non a caso, fu in questo periodo che l’appoggio alla Brexit iniziò a rafforzarsi”.

Anziché piangere costantemente per il “populismo” e per il “nazionalismo”, l’Europa non potrebbe cambiare idea?

Attualmente, l’Europa, che aveva promesso di evitare di costruire altri muri dopo il 1989, quando il crollò il Muro di Berlino, ne sta innalzando uno dopo l’altro per difendersi da una situazione senza precedenti. Ci sono le barriere nelle enclave spagnole di Ceuta e Melilla; il muro ungherese del primo ministro Viktor Orbán; un muro a Calais, in Francia; una recinzione austriaca prevista al confine con l’Italia, una recinzione che la Slovenia vuole costruire al confine con la Croazia e una recinzione nella Macedonia del Nord, al confine con la Grecia.

Che piaccia o meno, l’Europa sembra avvertire una minaccia culturale esistenziale legata a questi grandi flussi migratori. Non c’è soltanto la pressione dell’immigrazione illegale, c’è anche la pressione dell’immigrazione legale. Più di 100 mila persone hanno chiesto asilo in Francia nel 2017, una cifra “storica”, e più di 123 mila nel 2018. In Germania, sono state 200 mila le richieste di asilo nel 2018.

Questa immigrazione di massa sta cambiando la composizione interna dell’Europa. Ad Anversa, la seconda città più grande del Belgio e la capitale delle Fiandre, la metà dei bambini delle scuole primarie sono musulmani. Nella regione di Bruxelles, si può avere idea del cambiamento in corso osservando la partecipazione alle lezioni di religione nelle scuole primarie e secondarie: il 15,6 per cento frequenta le lezioni di religione cattolica, il 4,3 per cento quelle di religione ortodossa e protestante, lo 0,2 per cento le lezioni di ebraismo e il 51,4 per cento segue le lezioni di religione islamica. Ora è più chiaro cosa accadrà nella capitale dell’Unione Europea? Non dovremmo sorprenderci che l’immigrazione sia in cima alla lista delle preoccupazioni della popolazione belga.

A Marsiglia, la seconda città più grande della Francia, è già musulmano il 25 per cento degli abitanti e a Rotterdam, la seconda città più grande di Paesi Bassi, lo è il 20 per cento. Birmingham, la seconda città più grande della Gran Bretagna è musulmana al 27 per cento. Si stima che in una generazione, un terzo degli abitanti di Vienna sarà musulmano. “La Svezia si trova in una situazione in cui nessun paese moderno in occidente si era mai trovato”, ha osservato Christopher Caldwell. Secondo il Pew Research Center, la Svezia raggiungerà il 30 per cento dei musulmani entro il 2050; e il 21 per cento nell’improbabile eventualità che il flusso di immigrati si fermi del tutto. Oggi, il 30 per cento dei bambini svedesi ha madri nate all’estero. La città di Leicester nel Regno Unito, è al 20 per cento islamica. A Luton, su 200 mila abitanti, 50 mila sono musulmani. Gran parte della crescita demografica in Francia tra il 2011 e il 2016 è stata trainata dalle grandi aree urbane del paese. In cima ci sono Lione, Tolosa, Bordeaux e la regione parisienne, secondo uno studio pubblicato dall’Institut national français de la statistique et des études économiques. A Lione, ci sono circa 150 mila musulmani su una popolazione di 400 mila abitanti. Secondo un articolo, il 18 per cento dei neonati in Francia porta un nome musulmano. Negli anni Sessanta, la cifra era dell’1 per cento.

Nello scenario più estremo, si stima che nel 2050 le percentuali dei musulmani in Europa saranno le seguenti: Francia (18 per cento), Regno Unito (17,2 per cento), Paesi Bassi (15,2 per cento), Belgio (18,2 per cento), Italia (14 per cento), Germania (19,7 per cento), Austria (19,9 per cento), Norvegia (17 per cento). Il 2050 si profila all’orizzonte. Cosa ci si aspetta quindi tra due o tre generazioni, quando, come ha detto il compianto storico Bernard Lewis, “alla fine di questo secolo” l’Europa sarà islamica?

Purtroppo, la mentalità europea rifiuta di affrontare la realtà, come se la sfida fosse troppo difficile da affrontare. “L’inarrestabile progressione di questo sistema mi fa pensare a un tè a bordo del Titanic”, scrive l’eminente filosofo francese Alain Finkielkraut.

“Non è distogliendo lo sguardo dalla tragedia che si impedirà che accada. Quale sarà il volto della Francia fra cinquant’anni? A cosa somiglieranno le città di Mulhouse, Roubaix, Nantes, Angers, Tolosa, Tarascon, Marsiglia e tutta la Seine Saint-Denis?”

Se la popolazione cambia, la cultura la segue. Come rileva l’autore Éric Zemmour, “dopo un certo numero, la quantità diventa qualità”.

Mentre il potere del Cristianesimo europeo sembra cadere da una scogliera demografica e culturale, l’Islam fa passi da gigante. Non è solo una questione di immigrazione e di tassi di natalità, è anche una questione di influenza. “Nel settembre del 2002, partecipai a una riunione dei centri culturali dei principali Stati membri dell’Unione Europea, a Bruxelles”, ha scritto Bassam Tibi, professore emerito di Relazioni internazionali, presso l’Università di Göttingen.

“Si è tenuta la conferenza sul tema ‘Pensare l’Europa’ (…) Lì, mi ha infastidito sentire Tariq Ramadan parlare di Europa come di Dar al-Shahada ossia “casa della testimonianza di fede islamica”. Il pubblico presente era allarmato, ma non ha compreso il messaggio della percezione dell’Europa (…) come parte della casa dell’Islam. Se l’Europa non è più percepita come Dar a-Harb/casa della guerra, ma come parte della casa pacifica dell’Islam, allora non è un segno di moderazione, come qualcuno erroneamente pensa: è la mentalità di un’islamizzazione dell’Europa…”.

La buona notizia è che nulla è scolpito nella pietra. Gli europei possono ancora decidere il numero di migranti di cui la loro società ha bisogno. Potrebbero mettere in campo una soluzione che è coerente anziché caotica. Potrebbero ancora riscoprire il loro retaggio umanistico. Potrebbero ricominciare ad avere dei figli e lanciare un reale programma d’integrazione per gli immigrati già in Europa. Ma nessuna di queste misure, necessarie per evitare la trasformazione di gran parte del continente e il suo sgretolamento, ha luogo.

È importante ascoltare la previsione di Pierre Manent e rifiutare il modo attuale dell’umiliazione di sé. L’Europa sembra essere afflitta da uno scetticismo sul futuro, come se il declino dell’Occidente fosse in realtà una punizione giustificata e una liberazione dalle sue colpe del passato. Sì, molti errori possono essere stati terribili, ma sono davvero peggiori di quelli commessi da molti altri paesi come l’Iran, la Cina, la Corea del Nord, la Russia, la Mauritania, Cuba, la Nigeria, il Venezuela o il Sudan, tanto per citarne alcuni? La cosa più importante è che almeno l’Occidente, a differenza di molti altri luoghi, ha cercato di correggere i propri errori. Ma ciò che più conta è evitare un’eccessiva correzione e di ritrovarsi in una situazione peggiore di prima.

“Per me, oggi”, osserva Finkielkraut, “la cosa più essenziale è la civiltà europea”.

Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano.