180 anni di infrastrutture

180 anni di infrastrutture
DALLA PRIMA FERROVIA NAPOLI-PORTICI AL SUD SENZA TRENI

Gigi Di Fiore

Quel tre ottobre di 180 anni fa, fu un grande giorno per il regno delle Due Sicilie. Si inaugurava la linea ferroviaria che avrebbe collegato Napoli a Portici. Sette chilometri e 20 metri, che furono percorsi in 15 minuti. Il progetto
era firmato dall’ingegnere francese Armand Joseph Bayar e prevedeva un convoglio con un tender e otto vagoni trainati dalla locomotiva «Vesuvio». Fu la festa di un record, quello della prima linea ferroviaria in Italia. Re Ferdinando
II di Borbone dichiarò, come riportano gli Annali delle Due Sicilie: «Questo cammino ferrato gioverà senza dubbio al commercio, la nuova strada deve riuscire di utilità al mio popolo».
Il progetto prevedeva linee successive per Nocera e Castellammare, poi per Avellino fino all’Adriatico.
Ma non tutto andò come, in quel 1836, si prevedeva. La prima ferrovia d’Italia fu uno dei primati del regno delle Due Sicilie, quei primati da tempo al centro di polemiche e contrastanti opinioni.
Un Mezzogiorno all’avanguardia poi sorpassato dagli altri Stati preunitari se, tanto per prendere ad esempio proprio le linee ferroviarie, 23 anni dopo l’inaugurazione della Napoli- Portici il Piemonte aveva 850 chilometri di binari,
il Lombardo-Veneto 522 e le Due Sicilie ferme a 99. Come a dire si era iniziati bene, perdendosi per strada.
Molte le ragioni, anche se a leggere le statistiche europee di quegli anni era l’intera Italia ad essere sottosviluppata rispetto al resto d’Europa. Sulle linee ferroviarie come nella produzione industriale: la Germania produceva
600mila tonnellate di ghisa, un milione la Francia, tre milioni e 722mila la Gran Bretagna e l’Italia si barcamenava al nord con appena 17mila tonnellate e nel Mezzogiorno con 1500.
Le ferrovie erano al servizio dei commerci e delle industrie, ed era naturale che, per la loro posizione geografica più vicina ai mercati dei Paesi europei, gli Stati del nord Italia privilegiassero i loro collegamenti ferroviari. Tanto è vero che, al momento dell’unificazione, lo Stato sardo-piemontese aveva concentrato le sue linee tutte sul continente. In Sardegna non esisteva neanche un metro di ferrovia. Un dato che dimostra quanto, in quegli anni, il treno venisse strettamente collegato agli interessi commerciali.
Spiega il professore Piero Bevilacqua: «Lo squilibrio, grave e evidente, era tra l’Italia e i grandi paesi europei, quello tra nord e sud era contenuto in un ambito modesto in un paese che sul piano dello sviluppo industriale appariva
ancora complessivamente arretrato».
Ma con l’unificazione lo squilibrio divenne questione meridionale, in un mercato e una produzione al sud non più difesi dalle barriere doganali.
«Il Mezzogiorno, inoltre, per la sua collocazione geografica, non godeva di quella contiguità fisica con gli stati europei in corso di industrializzazione, di cui venivano sempre più ampiamente avvantaggiandosi regioni come la
Lombardia, la Liguria, il Piemonte» scrive ancora Bevilacqua.
Dall’unificazione, molte ricette sono state inventate per eliminare le differenze economico-sociali tra nord e sud accentuate dall’apertura dei mercati nazionali e da alcune scelte dei governi della storia italiana. Con l’unificazione
le Due Sicilie dei primati non sono riuscite a tenere il passo con la concorrenza industriale delle altre zone d’Italia. Leggi speciali, piani di industrializzazione, interventi straordinari, spesso attuati con pregiudizi sul Mezzogiorno, hanno avuto effetti alterni e mai risolutivi. Restando alle linee ferroviarie, salta all’occhio che permanga una differenza nord-sud da sanare. Sui 24502 chilometri di binari nazionali, ben 1188 sono in Veneto, 1895 in Piemonte, 1740 in Lombardia. Nel Mezzogiorno, solo 852 chilometri in Calabria, 347 in Basilicata, 1095 in Campania. E la famosa Sardegna, che partiva da zero al momento dell’unificazione, di linee ferroviarie ne ha soltanto 427 chilometri. Numeri che fanno riflettere, dimostrando difficoltà strutturali e investimenti sperequati nei 158 anni di storia unitaria italiana. Solo negli ultimi mesi, la famosa Alta velocità, ma con i treni più vecchi, è arrivata
in Calabria. Le linee più rapide si fermano a Salerno, sulle direttrici per Milano, Torino e il Veneto. Per non parlare poi dei collegamenti trasversali, quelli tra est e ovest della penisola.
L’Alta velocità per Bari è ancora in fase di realizzazione. E proprio le linee ferroviarie restano l’esempio di come i divari tra le regioni d’Italia siano effetto anche di scelte politico-economiche.
Festeggiamo il primato della Napoli-Portici, ma 180 anni dopo sarebbe auspicabile che i collegamenti ferroviari diventino efficienti e uguali in tutte le regioni d’Italia. Questione di scelte nazionali. Inutile, oggi, dare la colpa ai
Borbone se le ferrovie al sud sono meno efficienti che al nord. L’unificazione ha 158 anni, eppure nessuna bacchetta magica sembra aver risolto limiti e ritardi. Sulle linee ferroviarie, come in altri settori.

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