La strage della famiglia Cignoli
Tristemente nota, la strage della famiglia Cignoli ebbe luogo a Torricella Verzate, nell’Oltrepò Pavese, nel corso della Seconda Guerra d’Indipendenza. Solo perché sospettati di essere in combutta col nemico, una intera famiglia composta da 9 persone, semplici contadini, finì davanti al plotone d’esecuzione.
Nella stessa mattina del combattimento di Montebello, il 20 maggio del 1859, il V corpo d’armata austriaco, agli ordini del generale Stadion, aveva avviato una ricognizione verso Casteggio e Voghera. Sull’ala sinistra, la seconda divisione comandata dal generale Urban mosse da Broni procedendo lungo la strada Piacenza–Voghera. Nel corso dell’avanzata, una sua pattuglia, fatto prigioniero l’uscire di San Giulietta e servendosene come guida, perquisì due casolari vicino al paese di Torricella catturando nove uomini. L’aver trovato nella loro cantina, a Torricella, un vecchio fucile da caccia, ormai inservibile, ed un po’ di polvere da sparo, furono elementi sufficienti perché tutti fossero ritenuti spie dei piemontesi. I contadini non si ribellarono, erano convinti che fossero rimasti come prigionieri, invece giunti al cospetto del generale Urban furono fucilati.
Il generale austriaco ordinò ai contadini di marciare discendendo un sentiero secondario sino alla strada principale, poi ordinò ai suoi soldati di sparare. Morirono così Antonio Cignoli, 50 anni, Gerolamo Cignoli, 35 anni, Carlo Cignoli, 19 anni, Bartolomeo Cignoli, 17 anni, Antonio Setti, 26 anni, Gaspare Riccardi, 48 anni, Ermenegildo Sampellegrini, 14 anni e Luigi Achilli, 18 anni, mentre il sessantenne Pietro Cignoli, ferito, fu trasportato all’Ospedale di Voghera e raccontò tutto, spegnendosi cinque giorni più tardi.
L’episodio destò clamore. Si trattò a tutti gli effetti di una strage programmata per seminare il terrore tra la popolazione. Persino Cavour, venuto a conoscenza dell’episodio, lo denunciò immediatamente attraverso i canali diplomatici scrivendo: “Enormità simili non hanno bisogno di commenti. È stato un assassinio tanto infame quanto atroce del quale si potrebbero trovare esempi soltanto tra i barbari e i selvaggi”.
L’intento di Cavour, nell’impossibilità di procedere all’arresto di Urban, era certo quello di additare il feldmaresciallo austriaco al disprezzo internazionale come criminale comune e, fors’anche, di attirare le simpatie dell’opinione pubblica europea verso la causa piemontese. Quella circolare ebbe un effetto devastante e duraturo sulla reputazione di Urban che, da quell’anno, fu circondato dalla fama di comandante umanamente insensibile, quanto militarmente incapace. Fama che, diciassette anni più tardi, lo spinse al suicidio.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Fonte foto: dalla rete
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