“La Svezia è in guerra”
di Judith Bergman 19 agosto 2019
Pezzo in lingua originale inglese: “Sweden is at War”
Traduzioni di Angelita La Spada
Nel 2017, un rapporto della polizia svedese, “Utsatta områden 2017” (“Aree vulnerabili 2017”), mostrava che in Svezia c’erano 61 aree di questo tipo, con 200 reti criminali, costituite da circa 5 mila delinquenti. La maggior parte degli abitanti erano immigrati non occidentali e i loro discendenti.
A marzo, il Centro forense nazionale svedese ha stimato che dal 2012 il numero delle sparatorie classificate come omicidi o tentati omicidi è aumentato di quasi il 100 per cento.
“La Svezia è in guerra e sono i politici ad essere responsabili di questo. Per cinque notti di fila, molte automobili sono state date alle fiamme nella città universitaria di Lund. Tali atti irresponsabili sono avvenuti in centinaia di occasioni in vari luoghi della Svezia, negli ultimi quindici anni. Dal 1955 al 1985, non è stata bruciata nessuna auto a Malmö, Göteborg, Stoccolma o a Lund. (…) Nessuno di questi criminali è affamato o non ha accesso all’acqua potabile. Tutti hanno un tetto sopra la testa ed è stata offerta loro l’istruzione gratuita. (…) Non vivono in case fatiscenti. (…) Si chiama educazione, e migliaia di ragazze e ragazzi oggi ne sono sprovvisti nelle case svedesi.” – Björn Ranelid, scrittore svedese, Expressen, 5 luglio 2019.
Nel 2018, la Svezia ha registrato un numero record di sparatorie letali, 306 in tutto. Quarantacinque persone sono state uccise e 135 sono rimaste ferite in tutto il paese; la maggior parte dei decessi sono avvenuti nella parte meridionale della Svezia, dove si trova Malmö. A marzo, il Centro forense nazionale svedese ha stimato che dal 2012 il numero delle sparatorie classificate come omicidi o tentati omicidi è aumentato di quasi il 100 per cento. Il Centro ha inoltre rilevato che l’arma maggiormente utilizzata nelle sparatorie è il fucile d’assalto kalashnikov. “Si tratta di una delle armi più fabbricate al mondo e utilizzata in molte guerre”, ha dichiarato il team manager del Centro, Mikael Högfors. “Quando non servono più (…) vengono introdotti clandestinamente in Svezia”.
Nei primi sei mesi del 2018, secondo la polizia, quasi ogni altra sparatoria ha avuto luogo in “un’area vulnerabile”. Nel 2017, un rapporto della polizia svedese, intitolato “Utsatta områden 2017” (“Aree vulnerabili 2017′), mostrava l’esistenza di 61 di tali zone in Svezia, con 200 reti di criminalità, costituite da circa 5 mila criminali. La maggior parte degli abitanti erano immigrati non occidentali e i loro discendenti.
Nel rapporto del 2017, la polizia aveva scritto che i conflitti etnici globali si replicavano nelle aree vulnerabili:
“… la magistratura [svedese] e il resto della società [svedese] non comprendono questi conflitti né hanno risposte su come possono essere risolti. La polizia, pertanto, deve avere una maggiore conoscenza del mondo e una migliore comprensione degli eventi per interpretare ciò che sta accadendo nelle aree. La presenza di jihadisti di ritorno, di simpatizzanti di gruppi terroristici come lo Stato islamico, al-Qaeda e al-Shabaab, e di rappresentanti delle moschee di orientamento salafita, contribuisce alle tensioni tra questi gruppi e altri residenti nelle aree vulnerabili. Dall’estate del 2014, quando un Califfato venne proclamato in Siria e in Iraq, le contraddizioni settarie sono aumentate, soprattutto tra sunniti, sciiti, cristiani levantini e nazionalisti di origine curda”. (p. 13)
Il 3 giugno scorso, la polizia ha diffuso una nuova lista che rivela l’esistenza odierna di 60 di queste zone, invece delle precedenti 61. Ciò non significa, tuttavia, che la situazione sia migliorata. Tutt’altro.
Nel 2019, le sparatorie continuano ancora a ritmo serrato. A Malmö – una città di più di 300 mila abitanti, un terzo dei quali è “nato all’estero”, secondo le statistiche della città – il 10 giugno, un uomo di 25 anni è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco davanti a un ufficio dei servizi sociali, mentre lo stesso giorno alla stazione centrale di Malmö, la polizia ha sparato a un uomo che avrebbe detto di avere una bomba nella sua borsa e che secondo quanto affermato si comportava in maniera minacciosa. Quella sera, due uomini sono stati uccisi nel quartiere di Lorensborg, a Malmö. Più tardi, quella stessa notte, due esplosioni hanno colpito la città.
A causa dell’aumento del numero di sparatorie, gli impiegati comunali ora si sentono talmente a disagio a lavorare in città che il Comune di Malmö ha pubblicato delle linee guida su come i dipendenti municipali – soprattutto quelli che lavorano nell’ambito dell’assistenza domiciliare, della riabilitazione e degli alloggi a breve termine – possono rimanere al sicuro in città mentre espletano le loro mansioni lavorative.
Sotto il titolo, “Sicurezza personale – suggerimenti e consigli su come evitare di ritrovarsi in situazioni indesiderate”, il Comune consiglia ai suoi dipendenti di “Pianificare il vostro itinerario – conoscere la vostra zona (…) cercare di ridurre al minimo i tempi da quando parcheggiate la vostra bici/auto fino a quando non arrivate a destinazione”. Inoltre, “prima di lasciare un edificio, date un’occhiata all’esterno e all’ambiente circostante per evitare di ritrovarvi in una situazione indesiderata (…) tenetevi lontano da persone considerate potenzialmente minacciose o pericolose e aumentate la distanza, se non ci sono altre persone nelle vicinanze”.
Un dipendente comunale, che ha ricevuto le linee guida, ha accusato il Comune di ipocrisia: “Ai media, il Comune dice che va tutto bene, anche se non è così. Poi, invia questo genere di messaggi ai propri impiegati”.
Le line guida del governo municipale sulla sicurezza sembrano appropriate per una zona di guerra civile, come una volta era Beirut, piuttosto che per la città di Malmö, un tempo pacifica.
Beirut viene in mente anche nella città svedese di Linköping, dove ai primi di giugno un’esplosione ha devastato un edificio residenziale, come accade in guerra. Miracolosamente, nessuno è rimasto ucciso nell’esplosione, ma 20 persone sono rimaste ferite. La polizia sospetta che l’episodio sia collegato alle gang. Poche settimane dopo, due uomini sono stati uccisi nel quartiere di Skäggetorp, a Linköping – che risulta essere nella lista stilata dalla polizia delle “aree vulnerabili”, conosciute come “no-go-zones”.
In seguito, il 30 giugno, in altri episodi legati alle bande, ci sono state tre sparatorie in tre differenti sobborghi di Stoccolma. Due persone, una delle quali è stata colpita alla testa, sono morte. Uno degli uomini assassinati, un rapper di nome Rozh Shamal, era stato precedentemente condannato per aggressione, rapina e per spaccio di stupefacenti, tra le altre cose. Quest’anno, solo a Stoccolma, sono già state uccise a colpi d’arma da fuoco undici persone – quante ne sono state uccise complessivamente nel 2018. Quest’anno in Svezia, più di venti persone sono state finora colpite a morte.
“Questa situazione è inaccettabile”, ha affermato il capo del dipartimento operativo nazionale della polizia (Noa), Mats Löfving. “In molti casi, sono state utilizzate armi automatiche militari. Assistiamo a una riduzione del numero di persone ferite in atti di violenza armata, ma il numero degli omicidi non diminuisce”.
L’1 luglio, il capo della polizia nazionale Anders Thornberg ha dichiarato che la situazione è estremamente grave”. Tuttavia, egli ha affermato, la polizia non ha perso il controllo delle gang e il principale obiettivo è quello di fermare l’aumento del numero di giovani criminali. “Per ogni giovane che viene ucciso ce ne sono altri 10-15 nuovi, pronti a subentrare”, ha asserito Thornberg. Solo pochi giorni dopo, tuttavia, egli ha aggiunto che gli svedesi dovranno abituarsi alle sparatorie nel prossimo futuro:
“Riteniamo che [le sparatorie e la violenza estrema] possano continuare per 5-10 anni nelle aree particolarmente vulnerabili”, ha detto il capo della polizia. “Si tratta anche degli stupefacenti. Le droghe sono radicate nella società e la gente comune le compra. C’è un mercato in cui le bande continueranno a combattere”.
Ulf Kristersson, leader del partito dell’opposizione Moderaterna, ha definito la situazione “estrema per un paese che non è in guerra”.
Gli edifici bombardati e le sparatorie non sono tutto ciò che affligge la Svezia. Inoltre, le auto vengono regolarmente incendiate. Nella piccola e pittoresca città universitaria di Lund, vicino a Malmö si sono di recente registrati numerosi episodi di auto in fiamme. La polizia non ha ancora identificato i sospettati [di questi atti vandalici]. “Al momento, assistiamo a un aumento degli incendi delle auto, e ciò è chiaramente preoccupante”, ha dichiarato Patrik Isacsson, responsabile della polizia locale di Lund. Ha notato che gli incendi in genere si intensificano durante i mesi estivi, ma questi episodi sono anche aumentati nel corso degli anni. “Noi non sappiamo ancora chi siano gli autori, pertanto, posso solo fare delle congetture, ma questo tipo di incendio doloso di solito è appiccato da persone giovani. Che tali incendi avvengano durante l’estate può essere dovuto al fatto che i giovani sono disoccupati e ce ne sono molti senza un impiego”.
Ingela Kolfjord, una sociologa del diritto della Malmö University, ha così commentato: “Sono assolutamente convinta che si tratta di giovani che non hanno trovato il loro posto nella società, che sanno di non essere accettati, che il clima si è inasprito e che sono costantemente visti come ‘l’altro’. Le auto incendiate non sono soltanto un modo per esprimere il loro malcontento, ma anche un modo per mostrare che sono frustrati, disperati e arrabbiati”.
Lo scrittore svedese Björn Ranelid non è d’accordo. “La Svezia è in guerra e sono i politici ad essere responsabili di questo”, ha scritto sull’Expressen.
“Per cinque notti di fila, molte automobili sono state date alle fiamme nella città universitaria di Lund. Tali atti irresponsabili sono avvenuti in centinaia di occasioni in vari luoghi della Svezia, negli ultimi quindici anni. Dal 1955 al 1985, non è stata bruciata nessuna auto a Malmö, Göteborg, Stoccolma o a Lund. (…) Quando una sociologa della Malmö University spiega che i crimini sono una conseguenza del fatto che i giovani sono frustrati (..) dice cose senza senso. (…) Ripete cose che potrebbero essere dette da un pappagallo. Nessuno di questi criminali è affamato o non ha accesso all’acqua potabile. Tutti hanno un tetto sopra la testa ed è stata offerta loro l’istruzione gratuita per nove o dodici anni. (…) Non vivono in case fatiscenti. Tutti loro (…) hanno avuto uno standard materiale più elevato nelle loro case rispetto a diverse migliaia di giovani e bambini che sono cresciuti a Ellstorp, a Malmö, dove ho vissuto. dal 1949 al 1966, insieme ai miei genitori e a due fratelli, in 47 metri quadrati, in due piccole stanze e una cucina”.
E Ranelid ho così concluso:
“Si chiama educazione, e migliaia di ragazze e ragazzi oggi ne sono sprovvisti nelle case svedesi. Non è una questione di denaro o di dove si nasce nel mondo. Non ha nulla a che fare con la politica o con l’ideologia. È una questione di etica, moralità e convivenza tra le persone”.
Il fenomeno delle auto in fiamme, frequente e diffuso, è solo uno dei nuovi aspetti della vita nella ex città idilliaca di Lund. A gennaio, un cosiddetto minore non accompagnato proveniente dall’Afghanistan, Sadeq Nadir, ha cercato di uccidere diverse persone nella città investendole con un’auto rubata. Sebbene il giovane abbia detto di essersi convertito al Cristianesimo, il materiale trovato nel suo appartamento ha mostrato che voleva fare jihad e diventare un martire. Ha dichiarato alla polizia che il suo intento era quello di uccidere. L’episodio è stato inizialmente classificato come un tentato attacco terroristico, ma poi l’accusa formulata è stata cambiata in tentato omicidio di dieci persone. Anche se Sadeq aveva ammesso la sua intenzione di uccidere, la Corte distrettuale svedese non ha ritenuto che il giovane potesse essere condannato per terrorismo o per tentato omicidio. Il Tribunale ha argomentato che l’imputato non stava guidando “abbastanza velocemente” da causare un concreto rischio di morte. Nella stessa ottica, sebbene fosse stato appurato che Sadeq aveva scritto dei testi sul jihad e sul martirio e aveva detto di agire per Allah, la Corte non ha rilevato che il giovane avesse agito per motivi di terrorismo religioso. È stato meramente dichiarato colpevole di aver causato pericolo ad altri e di averli minacciati.
Ma che cosa ne pensa il governo svedese di questa situazione violenta e instabile? Il primo ministro Stefan Löfven ha condannato le recenti sparatorie:
“Abbiamo considerevolmente rafforzato diverse sanzioni, tra cui le pene per la detenzione illegale di armi ed esplosivi come le bombe a mano. Abbiamo altresì conferito alla polizia maggiori poteri per (…) le telecamere di sorveglianza e la raccolta di informazioni”.
Il 2 luglio, il governo ha presentato una serie di proposte per contrastare la violenza armata, comprese pene più severe per detenzione impropria di materiali esplosivi e nuovi poteri da conferire ai funzionari doganali per bloccare pacchi sospettati di contenere armi o esplosivi. Secondo l’opposizione, le proposte sono arrivate troppo tardi. “Si poteva farlo anche un anno fa. Non ci sono mai state così tante sparatorie in Svezia. Penso che sia ovvio per la maggior parte della gente che quanto fatto dal governo non è abbastanza”, ha dichiarato Johan Forssell, membro del partito dell’opposizione, Moderaterna.
Solo il 6 giugno, in occasione della Festa Nazionale svedese, il premier Stefan Löfven, pur ammettendo che la Svezia “ha ancora gravi problemi sociali”, aveva osservato: “Pochissime cose erano migliori in Svezia” prima:
“Ma pur pensando ai vecchi tempi come a un idillio, con cottage rossi e prati verdi, pochissime cose erano migliori prima. Durante la celebrazione della Festa Nazionale, credo che dovremmo festeggiare proprio questo, quanto abbiamo conseguito come paese. Abbiamo costruito un paese forte, in cui ci prendiamo cura gli uni degli altri. [Un paese] dove la società si assume la responsabilità e nessun uomo è lasciato solo”.
Purtroppo, molti svedesi probabilmente si sentono terribilmente abbandonati a se stessi in un paese che assomiglia sempre più a una zona di guerra.
Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica. È Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.