Giornata del ricordo del 14 agosto ’61

L’eccidio di Pontelandolfo nello scritto, due anni dopo, di Teodoro Salzillo

di Gigi Di Fiore ‘&1

E’ per delibera, ormai dal 2011, “città martire”. Pontelandolfo nel Sannio ricorda ogni anno, di questi tempi, l’eccidio drammatico del 14 agosto 1861. I fatti, ormai, sono noti a molti, soprattutto perchè, in occasione dell’anniversario dei 150 anni di unità d’Italia, ne raccontarono i dettagli molti grandi quotidiani nazionali. Una pagina oscura, non la sola purtroppo, del nostro Risorgimento.

Arrivarono i bersaglieri, spediti dal luogotenente del re a Napoli, generale Enrico Cialdini. Arrivarono per eseguire un “diritto di rappresaglia” contro l’intero paese dopo l’uccisione di 41 militari, compreso il loro comandante tenente Bracci. Nel sonno e all’alba massacrarono gli abitanti, che non erano riusciti a fuggire. Almeno 164 morti censiti nelle stime riportate allora dai giornali, quasi tutti irrinonoscibili perchè il paese fu distrutto dalle fiamme e solo tre case rimasero in piedi, salvate dai bersaglieri perchè di proprietà di altrettanti liberali.

La storia è storia e di questa pagina si sono occupati molti docenti universitari, alcuni diminuendone la portata. Nel dicembre del 1861, quattro mesi dopo, dell’eccidio si fece cenno nel dibattito parlamentare sulle Province napoletane. Appassionato fu l’intervento del deputato milanese Giuseppe Ferrari.

Sul pensiero dei contemporanei di allora a quegli eventi e su quanto accadde emergono ancora documenti, libri dell’epoca. Scavi edili di oltre 30 anni fa a Pontelandolfo, fecero scoprire una fossa comune con centinaia di resti di ossa. Una ricerca sui registri parrocchiali, come riporto nel mio “La Nazione napoletana” ha fornito altre conoscenze sulla tenuta dell’elenco dei morti in quel periodo. C’è anche una bella e interessante tesi di laurea di Gaetano Ferrara, all’Università di Fisciano.

Nuove testimonianze, come furono quelle del diario del canonico Nicola Nola di Venafro, stampato dal Comune con l’aiuto degli eredi, di cui già parlai su questo blog molti mesi fa. Ora, in un’elegante ristampa anastatica curata da Lorenzo Terzi, acuto archivista e studioso, l’editore Thesaurus ha pubblicato un libro di Teodoro Salzillo, che fu stampato nel 1863, due anni dopo l’eccidio: “Roma e le menzogne parlamentari nelle Camere de’ Comuni di Londra e Torino”.

Alle pagine 133 e 134, Salzillo, che aveva guidato nel Molise bande di irregolari contro i garibaldini e poi era stato anche all’assedio di Gaeta, scrive, dimostrando che i contemporanei di quell’eccidio sapevano e ne discutevano: “In Pontelandolfo e Casalduni chi si trovò fuori l’abitato rimase salvo, e chi era dentro le case, dovè morire abbrustolito, perchè gli aguzzini Piemontesi, colà spediti da Cialdini, a colpi di baionetta facevano rientrare gli abitanti nelle loro case, che già l’incendio divorava”.

Poi aggiunge, inserendo cifre: “E di qual delitto, dimandiamo noi, erano rei OTTOMILA cittadini? Cinicamente ci si risponde: perché non volevano la libertà”. Un documento ulteriore, almeno una nuova testimonianza indiretta sull’evento come le tante di ufficiali piemontesi che parteciparono alla guerra civile, tra il 1860 e il 1870, nella “Bassa Italia”.

Ma il libro di Salzillo contiene un’altra chicca da non perdere: l’introduzione di Lorenzo Terzi, che riproduce una sua ricerca d’archivio sulla figura di Salzillo che, anche da questo scritto, appare fervente difensore della Nazione napoletana e ammiratore della dinastia Borbone. E invece, tra le carte esaminate e riprodotte da Terzi, emerge una figura ambigua che, a Roma durante l’esilio del re Francesco II e anche dopo, offriva informazioni e spiate alla polizia e al prefetto.

Processato per la sua partecipazione alla guerra contro l’esercito piemontese, Salzillo fu liberato anche per intercessione del prefetto di Terra di Lavoro. Si risposò e morì nel 1904. Personaggi e testimoni di quei tempi convulsi. Forse minori, ma utili a conoscere atteggiamenti, confusione e anche ambiguità di chi visse il trapasso fondamentale dall’autonoma Nazione napoletana allo Stato italiano del regno di Vittorio Emanuele II di Savoia. Più fonti e conoscenze si posseggono, più si riesce ad avere un quadro completo. E’ l’obiettivo dello storico.

Lunedì 8 Agosto 2016, 12:15
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