AGOSTO, mese di stragi e repressione
Ricordiamo, con immutato dolore e partecipazione, le innumerevoli stragi di Stato (dovremmo scrivere del “regno Savoia”) che di fatto sancirono, col sangue, l’Unità d’Italia. Lo facciamo in questa importante pagina che il quotidiano “Il Roma”, vero quotidiano di Napoli, coraggiosamente mette a disposizione delle voci del Sud nella rubrica “Meridionalismo”, che tornerà a settembre dopo la pausa di agosto.
Doverosamente commemoriamo quindi alcune delle efferatezze compiute dai bersaglieri piemontesi, aiutati da turpi truppe mercenarie (tra le quali si distinse quella feroce ungherese) compiute ad agosto e lo facciamo per amore dei nostri avi affinché non si obliino il loro eroismo e l’amor patrio. Sacrifici immani di cui dovrebbero tenere memoria coloro i quali spesso tradiscono il doloroso passato con l’aggravante di offendere e violare la nostra Terra svendendo ideali e promesse al malaffare istituzionalizzato o meno.
Ed è anche per questo che è impossibile dimenticare gli eccidi perpetrati ad Auletta, nel salernitano il 30 luglio 1861, a Bronte in Sicilia il 2 e 3 agosto del 1860, a Pontelandolfo e Casalduni nel beneventano il 14 agosto 1861, tutti con un unico comune denominatore che possiamo riassumere in invasione, annessione, umiliazione, colonizzazione.
Stupri, violenze, assassinii, saccheggi, spoliazioni furono il leit motivo che accomunarono le stragi di agosto ( e non solo quelle), oltre le quali, i “fratelli d’Italia”, pensarono bene di concludere i crimini con l’ultima aberrante legge che decretò la fine del fenomeno del brigantaggio, vero e strenuo atto di ribellione e patriottismo soppresso nel sangue nella maniera più violenta mai vista.
La legge 15 agosto 1863, n. 1409 che riguardava la procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Province infette e della renitenza alla leva, altrimenti detta LEGGE PICA dal nome del suo promotore, il deputato abruzzese Giuseppe Pica – fu una legge emanata dal neonato Regno Italiano Sabaudo in beffa agli articoli 24 e 71 dello Statuto Albertino che garantivano il principio di uguaglianza di tutti i sudditi dinanzi alla legge e la garanzia di un giudice. Le pene, anche per un semplice sospetto, andavano dalla fucilazione ai lavori forzati a vita, ad anni di carcere, con attenuanti per chi si fosse consegnato o avesse collaborato con la giustizia. Una barbarie senza fine che vide la fucilazione di interi nuclei familiari, sevizie e stupri, assenza di libertà di stampa, proibizione della transumanza del bestiame che avrebbe potuto avvantaggiare le fughe dei briganti e quindi conseguente aggravamento della miseria di poveri contadini che si videro negati l’unica loro fonte di ricchezza. La legge , detta anche “licenza per ammazzare i meridionali”, rimase in vigore fino al 31 dicembre 1865 dopo ben 3.600 processi, dodicimila arrestati e ben 5.212 fucilati e non fece alcuna distinzione tra briganti, assassini, contadini, manutengoli, complici veri o presunti tanto che nel 1864 un prete di cultura giacobina ( e quindi non borbonico), Vincenzo Padula ebbe a scrivere:
« Il brigantaggio è un gran male, ma male più grande è la sua repressione. Il tempo che si dà la caccia ai briganti è una vera pasqua per gli ufficiali, civili e militari; e l’immoralità dei mezzi, onde quella caccia deve governarsi per necessità, ha corrotto e imbruttito. Si arrestano le famiglie dei briganti, ed i più lontani congiunti; e le madri, le spose, le sorelle e le figlie loro, servono a saziare la libidine, ora di chi comanda, ora di chi esegue quegli arresti. » Una pagina ignobile del rinomato corpo dei bersaglieri dei Carabinieri che si macchiarono di orrendi delitti per i quali addolora appurare la fierezza di averli compiuti scorrendo le pagine del loro sito internet.
Una piccola curiosità, per quanto fastidiosa ed irritante: la legge Pica si applicò anche per coloro i quali erano affiliati alla Camorra. Ovviamente intendiamo la Camorra ribelle, quella non allineata alla connivenza con i poteri piemontesi perché è importante ricordare che il neonato Stato italiano, per mezzo di Liborio Romano,(prefetto di polizia, cospiratore ai danni dei Borbone e fido di Cavour, una figura imbarazzante e controversa alla quale la toponomastica ha dedicato strade), non aveva avuto problemi a finanziare e a far germogliare la camorra assegnando a Salvatore De Crescenzo, un piccolo e relativamente inoffensivo (fino a quel momento) guappo, il compito di mantenimento dell’ ordine pubblico per favorire, senza colpo ferire, l’ingresso dell’invasore Garibaldi, nel 1860 , in città. In tal modo egli divenne , assieme ai suoi affiliati ,una guardia dello Stato, regolarmente assunta e retribuita. E lo Stato piemontese con la legge Pica, apparentemente,dopo averla finanziata e fomentata perseguì la camorra, in perfetto stile disonorevole italiano che ricorda lo stesso schizofrenico ed amorale comportamento degli Usa che finanziano i soldati dell’Isis per rovesciare governi legittimi per poi, ottenuto lo scopo di appropriarsi dell’economia di quella Nazione, combatterli.
Ed è per questo e per tanti altri motivi che senza un giusto processo di revisionismo storico (che smetta di mistificare e incensare come “Padri della Patria italiana” dei veri assassini in veste di esecutori, mandanti, complici o conniventi), da parte delle Istituzioni, non potrà mai esserci per noi pace. Pace che dovremmo regalare invece a chi è morto per combattere per la sua Terra, per i suoi amati e per una Patria che riconosceva in quello che un tempo era chiamato il glorioso Regno delle due Sicilie.
Patrizia Stabile per il Roma