L’ ape è il primo fra gli insetti utili

CopertinStoria_naturale_e_coltivazione_dell_apeRICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “STORIA NATURALE E COLTIVAZIONE DELLE API ” DI M.B.CRIVELLI -Milano-1864
Da pag.VII A XI

PREFAZIONE

L’ ape è il primo fra gli insetti utili che rimonti insino ai tempi storici dell’uomo: nel mondo allora conosciuto, lo si trova indiviso compagno di lui sino dai più remoti tempi. Se ne parla in più luoghi dagli antichi autori, vantandosene assai i frutti che si traggono dalla sua industre operosità, e rappresentando i poeti e i filosofi come il simbolo della forza congiunta alla dolcezza così troviamo in più luoghi anche nelle Sacre Carte.
Selvatica o barbara l’ape ab-antico come le abitudini prime dell’uomo, liberamente essa pure ove meglio le piacesse fermava la propria dimora; ma, appena i popoli si furono inciviliti e perciò in ordinato vivere sociale stabilironsi, l’ape chiamatavi o spontaneamente loro associandosi, e dai monti, dai colli e dalle selve li seguì negli orti e nelle ville ove anch’essa ingentilissi.
La conoscenza dell’ape e l’arte di ben coltivarla, per raccogliere in abbondanza i preziosi prodotti dalle sue fatiche, non che quanto fu scoperto in proposito dagli Elleni e dai Greco-siculi quando tenevano il dominio del mondo, pervennero agli antichi Romani che li soggiogarono, i quali, apprezzando il buono e il bello, ove trovavanlo, raccolsero il tutto religiosamente e miglioraronlo secondo le loro ingegnose viste; disgraziatamente le isolate memorie dei primi, di un valore però solo critico-erudito, andarono totalmente per noi perduti, rimanendoci tuttavia, ciò che veramente vale, quelle dei secondi, le sole che presentino un vero interesse economo-agronomico.
Siccome i Romani non credettero dover separare dalle favole non che dagli assurdi quanto si scrisse dai Greci su questa materia, in particolare ciò che risguardi la storia naturale del melifero insetto, in tanto culto, quasi idolatria, avevano il genio di quella nazione; così i loro agricoli scrittori e poeti pure ridondanti di cotali strane immagini a noi le trasmisero.
É indubitato che l’apicoltura appo i Romani è la più regolare che si conosca de’tempi andati; da quegli uomini saggi che erano, sommi maestri in ogni arte, veniva da loro molto apprezzata; si considerava a buon dritto qual parte integrante dell’economia rurale, come fonte salutare di nutrizione, qual ottimo farmaco in diverse malattie; sicchè sempre ed ovunque gli alveari ornavano i cortili, gli orti e i giardini delle villeggiature del patrizio come i modesti casolari del plebeo.
Ma oggidì ci duole dover dire, che questa industria sotto il cielo italico è quasi al tutto dimentica: non ritiensi oggimai, almeno col fatto, qual parte integrante l’economia rurale; quando si eccettuino pochi intelligenti apicultori, i cui metodi li tolsero di pianta dalla francese ed alemanna apicultura.
Del resto, in generale, non si erra asserendo che tra noi le api si tengono e non si coltivano: il lavoro essenziale che si fa per esse non va più oltre dello apprestarle le dimore che vengono imposte agli sciami, e l’appropriarsi i duplici loro tesori ammassati con gravi proprie fatiche e stenti, non che a prezzo di tante vittime in modo barbaro e ingratamente, dando ad esse in compenso la morte asfissiandole. E questa nostra trascuranza è poi appo noi doppiamente dannevole, e perché di presente abbiamo il gran vantaggio sopra gli antichi, noi specialmente Italiani, dell’essersi moltiplicati col progresso dell’arte agricola i semi vegelali e relativa coltura, dai cui fiori l’ape ne, succhia. il nèttare; e perché la nostra patria vantasi possedere l’ape giallo-dorata che per sue particolari qualità gli apicultori di oltr’alpi, in ispecie gli Alemanni, dansi a farne acquisto premurosamente anche con non lievi sacrifizi.
Vergogna nostra che, cotanto privilegiati da natura, questo ricchissimo ramo d’industria-agricola, punto o poco curandolo, lo veggiamo progredire e prosperare in Francia, in Isvizzera e principalmente nella dotta Germania. E onde non si abbia a tacciare il nostro asserto di troppo gratuito come, in ispecie, la Germania superi tutti nella coltivazione delle api, e quanto da essa siamo noi lontani per coltura di questo ramo agricolo-industriale, è prezzo dell’opera farvelo toccar con mano con qualche esempio, fosse possibile per almeno destarvi ad una bella emulazione.

Udite: il regno d’Hannover situato al nord della Germania presenta un’estensione territoriale di ettari 3 827 345, su cui sonvi senzapunto esagerare 300 000 arnie d’api, il cui prodotto annuo di cadauna, a detta del pastore evangelico Kleine, sarebbe di risdalleri 5, ossiano L. 19 45, le quali danno la somma complessiva di L. 14 835 000.
All’ incontro presso noi sopra un’estensione territoriale di ettari 25 243 398, in proporzione all’Hannover, aver dovremmo 4 976 090 Arnie di api, le quali anche attribuendo a cadauna il reddito annuale poco meno di due terzi del suesposto, cioè di L. 13, il prodotto totale ammonterebbe a L. 356 89 470! Invece, sapete a quanto si calcola il prodotto attuale del!’Italia, sia in miele che in cera? Soltanto 81/2, milioni di lire italiane, cioè nemmeno il quarto di quello che potrebbe dare .
Che se nella Francia, in Isvizzera e in particolare nella Germania progredisce e prospera l’apicultora, si è che esse, specialmente quest’ultima , vantano numerose le apistiche associazioni, punto non influenzate da commerciali speculazioni, ma puramente tendenti al vicendevole scambio di scientifiche partecipazioni ed esperienze che giovar ponno alla migliore coltivazione del melifero insetto ; a ciò prestano un immenso servigio i parziali Congressi che in ognuna di loro tiensi nel corso dell’anno; i quali predispongono ad intervenire all’annuo generale, che ha sua sede, per turno, in una delle città principali dello Stato. In esso si può dire convengono quasi tutte le graduazioni dell’umano consorzio, non eccetto il gentil sesso: colà tutte le condizioni confondonsi: non si conoscono se non gli amici i coltivatori delle api.
Anche rapporto a scritti che trattano della storia naturale e coltivazione dell’ape, Francia, Svizzera e Germania, in ispecie, ne possiedono un numero sorprendente.
Di quest’ultima primi fra tutti, e pel loro intrinseco valore generalmente apprezzati, siccome compilati dietro particolari esperienze ed accurato esame, onde seguendo i loro dettami puossi senza tema di errare applicare all’apicultura, sono quelli dei parrochi Dzierzon e Oettl, del pastore evangelico Kleine e del barone Berlepsch; aggiungasi ad essi il periodico Die Bienenzeitung (Gazzetta delle api), la quale conta già venti anni di vita, le cui annate dal 1844 al 1861 furono ridotte e sistematicamente coordinate in due grossi volumi che ponno chiamarsi l’emporio dell’apistica scienza.
I compilatori di questi sono il professore Schmid e il pastore evangelico Kleine: eglino si occuparono con indefesso zelo e fino intendimento, nulla trascurando per rendere possibilmente gradito cotal lavoro, che indubbiamente riesce a loro somma lode e a compiacenza e soddisfazione de’numerosi collaboratori del periodico in discorso, i quali per certo non avrebbero trovati migliori interpreti delle scientifiche loro opinioni.
In possesso di questi preziosi scritti, rari tra noi, all’intento di far risorgere l’arte di coltivare le api, abbia mostimato bene esporre, o, per dir meglio, compendiare da essi, non omettendo però altri buoni libri di diverse nazioni, raccogliendo imparzialmente il buono ovunque lo trovammo, tutto quanto risguarda la storia naturale dell’insetto, non che il modo di coltivarlo. Giova però sapere, che noi assai poco edotti in zootomia, vuoi i disegni, come le descrizioni dell’ape, le abbiamo copiate precisamente dai surriferiti libri; sicchè tutti gli errori e il merito loro debbono interamente a quelli attribuirsi.
Non sappiamo se con questo libro avrem raggiunto il savio intento propostoci di saper fruire dai fiori tutto il loro possibile nettareo succo mediante l’ape, chè solo ella che sembra si piccina e dappoco può estrarlo, e quel che più importa far rivivere tra noi una viva fonte agricola: tuttavia, come foste cortesi nell’accogliere la nostra Istruzione popolare per allevare i bachi da seta, speriamo vorrete far buon viso anche a questo tenue lavoro, il quale colla migliore intenzione di giovarvi timidamente vi presentiamo.

Milano, 24 giugno 1864