E non chiamateli più BRIGANTI
Agosto 1861. L’esercito piemontese, in nome del Regno d’Italia, massacra due paesini del Sud per rappresaglia contro i «cafoni». Ma cosa nascondeva davvero la lotta ai rivoltosi? Oggi un libro e un film ripercorrono quei giorni oscuri. Quando anche la Chiesa…
Corsi e ricorsi storici», aveva ragione Vico. A 138 anni dall’Unità d’Italia, a «ricorrere» è quella storia nella storia del Risorgimento che nei libri di scuola viene sbrigativamente liquidata con la formula di «lotta al brigantaggio». «È una brutta storia che va riscritta. Il brigantaggio fu solo il pretesto per distruggere la proprietà ecclesiastica e confiscare i beni della Chiesa, a danno delle famiglie contadine e a vantaggio del borghese agricolo, secondo l’espressione di Antonio Gramsci. Nel Sud non cerano di certo 80-90 mila briganti, eppure l’esercito piemontese dichiarò guerra al Meridione». Pasquale Squitieri questa «brutta storia» l’ha portata sullo schermo con il film da poco uscito nelle sale Li chiamarono… briganti in cui si racconta l’eroismo dell’ex bracciante agricolo Carmine Donatello Crocco, reduce dal disciolto esercito di Garibaldi, e del suo compagno di strada, Nicola Suma, giovane «fuorilegge». «I contadini, come dimostra la storia di Donatello Crocco, non erano contro l’Unità d’Italia, perciò non potevano essere a favore della colonizzazione piemontese. I massacri dei contadini al Sud sono la vergogna dello Stato unitario: il risultato fu il depauperamento e l’emigrazione di sei milioni di meridionali. Oggi la Bonino parlerebbe di deportazione».
Dal cinema all’editoria. Qualche settimana fa su Sette Enzo d’Errico recensiva il libro di Gigi Di Fiore, 1861 Pontelandolfo e Casalduini. Un massacro dimenticato. Su quelle stragi è apparso un altro libro, Agosto 1861, memorie di quei giorni, scritto questa volta non da un giornalista, ma da un ingegnere di Pontelandolfo, Carlo Perugini, e pubblicato da La Scarana di Benevento. Qualche anno fa un libro del genere sarebbe stato archiviato tra i testi di «storia minore» o locale. Agosto 1861 racconta una parte non secondaria della prima «guerra civile» italiana e come si giunse al massacro dei «cafoni» da parte dell’esercito piemontese, ma, soprattutto, attraverso la cronistoria dei fatti fa intuire come il Regno d’Italia non nacque dall’unione degli italiani ma dalla loro divisione. La «storia minore» è il lato oscuro della «storia maggiore».
Il libro di Perugini non è né un saggio storico, come in parte è quello di Di Fiore, né un romanzo storico, qual è il libro di Annibale Paloscia, Storia saffica di Lucistella, di un giornalista inglese, di un ufficiale evirato e di una tarantola (altro testo che racconta i tragici fatti del 1861 a Pontelandolfo); è, invece, la rielaborazione fedele del diario di Antonio Pistacchio, il perito agronomo pontelandolfese che visse quel torrido agosto di 138 anni fa e ne raccontò gli eventi in un manoscritto utilizzato a fini di giustizia.
È’ noto: la storia non si fa con i «se». Ma il diario di Pistacchio, raccontando giorno per giorno i fatti, mette in luce quanto fosse possibile evitare il massacro finale. «Cialdini», dice Squitieri, «era un militare alla von Clausewitz, lui fucilava. Il fatto è che risposero con l’esercito a un problema di polizia».
La vicenda durò due settimane. Il 1° agosto il ricatto dei briganti che chiedevano «ducati ottomila e due some d’armi» altrimenti il paese sarebbe stato messo a sacco.
Il 14 agosto ci fu il sacco, fatto però dall’esercito italiano. Tra l’inizio e la fine dei fatti di Pontelandolfo ci sono tipiche storie della «disunità d’Italia»: il sindaco e il parroco, contadini e proprietari, nuovi padroni e vecchi abusi. Del paese rimase in piedi solo la splendida ma muta torre medievale. Poi nel 1890 il ritrovamento nell’archivio della pretura di Pontelandolfo del documento di Antonio Pistacchio: «Don Rocco», dice l’ingegnere Perugini che coltiva il vizio della curiosità storica, «decise di dare diffusione a un così importante documento facendone una copia manoscritta conforme all’originale. A quel tempo, Don Rocco lavorava come usciere di pretura a Pontelandolfo prima di trasferirsi a Ficulle (Terni), dove morì suicida il 1° giugno 1902.
Il manoscritto venne poi custodito da don Gaetano Perugini e dai suoi eredi ma presto se ne persero le tracce. Nel 1970 la copia manoscritta del diario ricopiata da don Rocco Caterini venne rinvenuta a Pontelandolfo dove tuttora viene gelosamente custodita. Io ne ho ricavato una copia in Cd rom».
Dal diario emerge la distanza tra la popolazione e lo Stato, rappresentato dai militari. È in questa «distanza», tipica del nostro Risorgimento, che la Chiesa, dapprima, si potè inserire per preparare e incitare alla rivolta. Ma in un secondo tempo «sarà proprio la Chiesa», dice Squitieri, «per ragioni politiche non solo italiane, a invitare i parroci a far prendere i briganti».
La rappresaglia dei piemontesi fu la risposta al massacro di Casalduni dove briganti e contadini uccisero 45 soldati: «I soldati italiani entrarono in paese come una furia. Erano comandati dal colonnello Negri, che doveva eseguire l’ordine del generale Cialdini: “che di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra”».
I soldati uccisero, stuprarono, incendiarono. Anche così è iniziata la storia dell’Italia unita. «Oggi questa storia va riscritta», dice ancora Squitieri, «perché il Sud possa recuperare la sua memoria e la sua cultura, ma soprattutto per essere più italiani, non per esserlo meno. Gli errori vanno capiti. Possibile che si potesse fare l’Italia contro la Chiesa? Il primo a capirlo è stato Gramsci, il primo vero revisionista. Poi, come ha scritto giustamente Angelo Panebianco, nel dopoguerra sono venuti i due internazionalismi del Pci e dei cattolici. E l’Italia è stata dimenticata».
Giancristiano Desiderio
Tratto da : “SETTE –Settimanale del Corriere della Sera- 8 luglio 1999 n° 27 “
Presentazione dell’opera
Liberamente tratto dal diario di Antonio Pistacchio, perito agronomo, nato a Pontelandolfo che visse in prima persona e narrò i giorni roventi dell’ Agosto 1861 in cui l’esercito Piemontese, per ordine del generale Cialdini distrusse Pontelandolfo e Casalduni come rappresaglia contro il fenomeno del brigantaggio meridionale. Il diario originale redattio come documento di giustizia. Fu trascritto dall’ usciere di Pretura don Rocco Caterini e in questa edizione e’ stato attualizzato usando una forma narrativa più scorrevole senza alterarne la freschezza e l’originalità