Università truccata?
È tutta questione di… ipocrisia.
Catania non è la perla della situazione, ma solo parte degli ingranaggi.
Non è una novità, anzi, lo sappiamo da sempre che le cose procedono in questo modo, con una costante e continua opacità fra i vari gangli delle Istituzioni.
Ognuno di noi, sia genitore oppure professore, vuole il meglio dei propri figli oppure allievi. Ogni docente, ad ogni livello e in qualsiasi processo educativo, individua i migliori, coloro che potrebbero davvero e bene interpretare la prosecuzione dei propri principi, siano essi pedagogici che scientifici. È del tutto naturale, quindi, fare il possibile perché allievi individuati come migliori possano diventare i propri eredi scientifici. Di fronte a due persone, una delle quali è conosciuta da tempo, perché l’ho vista crescere al mio fianco, rispetto ad un’altra a me sconosciuta, è giusto, ovvio e sano scegliere la prima. Così fa l’Uomo, per difendere se stesso, per la comunità nella quale vive.
Dunque, sono i concorsi, in loro stessi e come sono strutturati, ad essere una vera e propria presa per i fondelli. E questo lo sanno tutti, persino i magistrati. E, per fare in modo che i propri allievi, quelli avuti accanto in anni di collaborazione e abnegazione, possano essere i vincitori, si fa di tutto. Ed è giusto, proprio per essere loro riconoscenti, per il denaro e il tempo spesi, per le ricerche e gli aiuti nelle ricerche senza che il loro nome venisse pubblicato. Si tratta di gavetta? Forse, ma certo si tratta di formazione, di educazione al mondo accademico internazionale, che è costituito da rapporti di forza e rapporti di stima. Proprio come accade ovunque, né più e né meno.
Ecco dovrebbe dunque esistere un sistema di cooptazione diretta, di chiamata diretta, senza nessun concorso pubblico fasullo ed inutile, sia per coloro che sono in commissione, sia per coloro che vi partecipano. Una chiamata diretta, anche sulla base di lettere di referenze a favore del candidato alla chiamata, proprio come avviene nei Paesi anglosassoni.
Ecco, questo sistema, certo competitivo e comunque basato sulla propria fama, affidabilità e storia personale, potrebbe certo eliminare quegli accordi nascosti, perché gli accordi ci sono, portando avanti, alla luce del sole, coloro che di volta in volta possono essere all’altezza di far parte dell’accademia, da tutti i punti di vista. Non si deve, infatti dimenticare, che per un docente educare e formare un giovane, possibile accademico, è sempre un investimento di tempo, energie e sapere. In questo modo, ogni docente fornirebbe a tutti le stesse opportunità di partenza, stando a guardare quali sono i migliori, e con il sistema della cooptazione li incoraggerebbe a diventare il preferito perché migliore, e non per altre motivazioni. Certo, si instaurerebbe una sorta di agonismo fra gli studenti, basato proprio sulla necessità di dimostrare al docente in cattedra che vale la pena spendersi per lui, in vista di una possibile carriera accademica, ma l’agonismo nell’ambito di situazioni lavorative può essere uno stimolo positivo.
Questo penso, e questo ho scritto. E forse le cose andrebbero meglio.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).