I combattenti dello Stato islamico

I combattenti dello Stato islamico rientrati in Europa e scomparsi

di Soeren Kern
11 luglio 2019

Pezzo in lingua originale inglese: Europe’s Missing Islamic State Fighters
Traduzioni di Angelita La Spada

SVT ha intervistato i funzionari di cinque municipalità svedesi – Göteborg, Stoccolma, Örebro, Malmö e Borås – dove risiede la maggior parte dei 150 miliziani dell’Isis che sono tornati nel paese e ha rilevato che questi Comuni sono a conoscenza del rientro di 16 adulti e 10 minori.

“Gli Stati Uniti chiedono a Gran Bretagna, Francia, Germania e ad altri alleati europei di riprendere oltre 800 combattenti dell’Isis catturati in Siria e di processarli. (…) L’alternativa non è buona ed è che saremo costretti a rilasciarli…”. – Da un twitter del presidente degli Stati Uniti Donald Trump del 16 febbraio 2019.

Il Wall Street Journal, in un recente editoriale, “The West’s Foreign Fighter Problem”, ha osservato che i governi europei si trovano in una posizione davvero difficile: rimpatriare e processare i loro jihadisti o rischiare che questi ultimi spariscano senza lasciare traccia e compiano nuovi attacchi in Europa.

3962

“È particolarmente preoccupante che il governo federale [tedesco] non abbia adottato ulteriori misure per impedire il rientro incontrollato dei combattenti clandestini dello Stato islamico”, afferma Linda Teuteberg, segretario generale del Partito Liberale Democratico (FDP) tedesco. E ha aggiunto che il governo “non sa ancora come affrontare il problema degli ex combattenti tedeschi dell’Isis”, compreso quello dei “tedeschi detenuti nelle zone di guerra e degli oltre duecento ex simpatizzanti dello Stato islamico che sono tornati in Germania”. (Fonte dell’immagine: Olaf Kosinsky / CC BY-SA 3.0-de via Wikimedia Commons)

Il governo tedesco ha perso le tracce di decine di tedeschi che negli ultimi anni si sono recati in Iraq e in Siria per unirsi allo Stato islamico. La rivelazione arriva tra le paure crescenti che alcuni di questi combattenti stiano facendo ritorno in Germania senza farsi scoprire dalle autorità.

Secondo Welt am Sonntag, il ministero dell’Interno tedesco, in risposta a una domanda posta dal segretario generale del Partito Liberale Democratico (FDP), Linda Teuteberg, ha rivelato che le autorità tedesche non hanno informazioni su dove si trovino almeno 160 tedeschi che sono andati a combattere con l’Isis. Il ministero ha dichiarato che mentre alcuni sono stati probabilmente uccisi nei combattimenti, altri si sono nascosti e potrebbero cercare di trasferirsi in Germania.

“In vista della protezione molto frammentata delle frontiere esterne dell’Unione europea, è particolarmente preoccupante che il governo federale [tedesco] non abbia adottato ulteriori misure per impedire il rientro incontrollato dei combattenti clandestini dello Stato islamico”, ha detto la Teuteberg a Welt am Sonntag. E ha aggiunto che il governo “non sa ancora come affrontare il problema degli ex combattenti tedeschi dell’Isis”, compreso quello dei “tedeschi detenuti nelle zone di guerra e degli oltre duecento ex simpatizzanti dello Stato islamico che sono tornati in Germania”.

La segretaria generale dell’FDP ha affermato che il ministero dell’Interno dovrebbe elaborare un piano su come gestire il problema degli ex miliziani dello Stato islamico che rientrano nel paese e su come ritenerli responsabili delle loro azioni, rafforzando, ad esempio, la capacità giuridica di indagare in merito ai crimini di guerra commessi all’estero e di perseguirli.

Degli stimati 1.050 tedeschi che negli ultimi anni si sono recati in Iraq e in Siria, circa un terzo (350) è tornato in Germania. Si ritiene che altri 220 siano stati uccisi sui campi di battaglia. Secondo fonti del governo citate dal programma televisivo tedesco Tagesschau, circa 120 sono detenuti in Iraq e in Siria. Inoltre, almeno 138 bambini, figli dei combattenti tedeschi dell’Isis, sono detenuti in Iraq e in Siria. Nessuno sa dove si trovino gli altri.

Il governo tedesco ha minimizzato le preoccupazioni della Teuteberg in merito al ritorno “inosservato” dei miliziani dell’Isis:

“Date le differenti misure (comprese le liste dei criminali più ricercati o le barriere all’ingresso) che rendono il rientro incontrollato molto più difficile, si presume anche che in futuro l’ingresso all’insaputa delle autorità di sicurezza tedesche dovrebbe rimanere un’eccezione”.

Tuttavia, è risaputo che i combattenti dell’Isis sono entrati in Europa – Germania compresa – senza essere notati, fingendosi migranti: la maggior parte dei terroristi autori degli attacchi del novembre 2015 a Parigi, in cui persero la vita 130 persone e altre 360 rimasero ferite, sono arrivati in Europa spacciandosi per migranti, secondo gli inquirenti dell’antiterrorismo. La maggior parte degli assalitori erano ben noti alla polizia e almeno nove erano sulle liste dei terroristi. Una volta passati attraverso i confini porosi dell’UE nell’Europa meridionale, sono riusciti a viaggiare impunemente in tutta Europa.

I combattenti scomparsi dell’Isis sono un problema europeo. Uno studio del luglio 2018 condotto dall’International Center for the Study of Radicalization (ICSR) del King’s College di Londra ha stimato che più di 5.900 individui – 3.379 uomini, 1.023 donne e 1.502 minori – originari dell’Europa occidentale si sono uniti allo Stato islamico. Altre 7.250 persone dell’Europa orientale hanno ingrossato le file del gruppo.

Secondo le stime dell’ICSR, circa 1.765 combattenti dell’Isis sono tornati in Europa occidentale e 784 hanno fatto ritorno in Europa orientale. Almeno 800 miliziani sono detenuti nei campi di detenzione curdi nel nord della Siria. Secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, nei campi sono rinchiusi altresì circa 700 mogli dei combattenti e 1.500 dei loro figli. Non è chiaro quanti jihadisti siano stati uccisi sul campo di battaglia e quanti si siano nascosti.

In Austria, ad esempio, dei 250 combattenti dell’Isis, ne sono rientrati 93. In Belgio, dei 500 miliziani, ne sono tornati 123. In Gran Bretagna, su 850 foreign fighters, sono 425 quelli di ritorno. In Danimarca, di 145 combattenti jihadisti, ne sono rientrati 72. Dei 1.900 miliziani francesi, 400 hanno fatto rientro in patria. In Italia, dei 129 foreign fighters, ne sono tornati 11. Nei Paesi Bassi, dei 300 individui partiti per unirsi allo Stato islamico, ne sono rientrati 60. Dei 210 combattenti spagnoli, sono 30 quelli di ritorno.

Secondo il Servizio di sicurezza svedese (Säpo), dei 300 individui che hanno lasciato la Svezia per andare a combattere per l’Isis, 150 circa sono tornati a casa. Si ritiene che un centinaio di questi miliziani sono morti sul campo di battaglia e il governo non dispone di informazioni su dove si trovino gli altri.

Tra i 35 e i 40 combattenti sono rientrati a Stoccolma, ma il Comune non ha contattato nessuno di loro e potrebbe non sapere nemmeno dove vivono, secondo un reportage dell’emittente televisiva pubblica svedese SVT.

Il canale tv ha intervistato i funzionari di cinque municipalità svedesi – Göteborg, Stoccolma, Örebro, Malmö e Borås – dove risiede la maggior parte dei 150 miliziani dell’Isis che sono tornati nel paese e ha rilevato che questi Comuni sono a conoscenza del rientro di 16 adulti e 10 minori.

L’apparente apatia è stata attribuita alla mancanza di legislazione. “Siamo pressoché l’unico paese dell’Unione europea a non avere una legislazione che contrasti la partecipazione e la cooperazione con le organizzazioni terroristiche”, ha affermato Magnus Ranstorp, esperto di antiterrorismo presso l’Università della difesa svedese, a Stoccolma. “Ovviamente siamo vulnerabili”, ha aggiunto. “Quelli che sono pericolosi e circolano per le nostre strade possono svolgere attività di reclutamento e possono perfino pianificare azioni terroristiche”.

Inoltre, centinaia di foreign fighters jihadisti che sono detenuti in Siria rappresentano una “bomba a orologeria”, perché potrebbero fuggire e minacciare l’Occidente, a meno che i loro paesi d’origine non facciano qualcosa di più per riportarli a casa, secondo le autorità curdo-siriane, sostenute dagli Stati Uniti, che controllano i campi di detenzione in cui sono rinchiusi i miliziani stranieri dell’Isis.

“Sembra che la maggior parte dei paesi abbia deciso di aver chiuso con loro, di lasciarli lì, ma questo è un grosso errore”, ha affermato Abdulkarim Omar delle Forze democratiche siriane. “I loro paesi d’origine devono fare di più per perseguire i combattenti stranieri e riabilitare le loro famiglie, altrimenti ciò sarà un pericolo e una bomba a orologeria”.

Nel febbraio scorso, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha invitato i paesi europei a rimpatriare e perseguire i loro combattenti stranieri:

“Gli Stati Uniti chiedono a Gran Bretagna, Francia, Germania e ad altri alleati europei di riprendere oltre 800 combattenti dell’Isis catturati in Siria e di processarli. Il Califfato è pronto a cadere. L’alternativa non è buona ed è che saremo costretti a rilasciarli. …

“Gli Stati Uniti non vogliono vedere questi combattenti penetrare in Europa, dove si prevede che vadano. Noi abbiamo fatto e speso molto. Ora tocca ad altri fare il lavoro che sono capaci di fare. Ci stiamo ritirando dopo una vittoria al 100 per cento sul Califfato!”.

Ad aprile Trump ha twittato:

“Abbiamo 1.800 prigionieri dell’Isis presi in ostaggio nelle battaglie finali per distruggere al 100 per cento il Califfato in Siria. Si deve decidere cosa fare con questi prigionieri pericolosi. (…) I paesi europei non ci stanno affatto aiutando, sebbene tutto questo sia stato fatto per la loro sicurezza. Rifiutano di riprendersi i prigionieri dei loro paesi. Non va bene!”

Il 24 giugno, l’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha chiesto che tutti i foreign fighters detenuti in Iraq e in Siria vengano rimpatriati, indagati e perseguiti, o rilasciati. “È inaccettabile la detenzione continua degli individui non sospettati di crimini, in assenza di basi legali e di una revisione giudiziaria regolare e indipendente”, ha affermato l’Alto Commissario ONU.

La riluttanza dell’Europa a riprendersi i combattenti dell’Isis si basa su un mix di fattori legali, finanziari e politici. Alcuni paesi hanno iniziato a rimpatriare i figli dei jihadisti dello Stato islamico, su base individuale, ma riprendersi i foreign fighters e le loro famiglie è del tutto impopolare e comporta rischi politici.

In Francia, ad esempio, il primo ministro Édouard Philippe ha di recente dichiarato di preferire che i jihadisti francesi siano rimpatriati anziché rischiare che si sottraggano alla giustizia. Dovrebbero essere “processati, condannati e puniti in Francia piuttosto che volatilizzarsi per pianificare altre azioni, anche contro il nostro paese”, egli ha affermato in un’intervista del 30 gennaio scorso a France Inter. I suoi commenti hanno scatenato una reazione immediata. Valérie Boyer del partito di centro-destra Les Républicains ha detto al parlamento che il governo deve “impedire il ritorno dei jihadisti che hanno tradito la Francia e hanno combattuto contro la nostra civiltà”.

L’eurodeputato Nicolas Bay, che è anche membro del Comitato esecutivo di Rassemblement National (RN), il partito di Marine Le Pen, ha aggiunto:

“Con il loro impegno a fianco di gruppi che hanno dichiarato guerra al nostro paese, avendo compiuto ignobili attacchi sul nostro territorio, questi jihadisti [francesi] hanno deliberatamente scelto di rompere con la Francia e nulla giustifica che venga loro accordata alcuna protezione.

“Piuttosto che preparare il loro ritorno, il governo dovrebbe fare tutto il possibile per impedire loro di tornare in territorio francese! Devono essere giudicati dalle autorità competenti irachene e siriane”.

Il primo ministro Philippe ha fatto successivamente dietrofront. In un’intervista del 6 marzo a BFM TV, egli ha dichiarato:

“Non vogliamo riportare indietro nessuno. La dottrina francese è sempre stata che i combattenti francesi che vanno nelle zone di combattimento combattono contro di noi. Quando sono detenuti devono essere giudicati e, se necessario, puniti in loco [in Iraq o in Siria]”.

Il Wall Street Journal, (WSJ) in un recente editoriale, “The West’s Foreign Fighter Problem”, ha osservato che i governi europei si trovano in una posizione davvero difficile: rimpatriare e processare i loro jihadisti o rischiare che questi ultimi spariscano senza lasciare traccia e compiano nuovi attacchi in Europa. Il WSJ ha scritto:

“A febbraio il presidente Trump ha twittato che gli Stati Uniti ‘chiedono a Gran Bretagna, Francia, Germania e ad altri alleati europei di riprendere’ i loro combattenti dell’Isis e di processarli in patria. Indonesia, Marocco, Russia e Sudan hanno iniziato a farlo mesi fa, ma i governi europei occidentali si oppongono.

“Piegandosi alle pressioni politiche interne, politici europei come il ministro dell’Interno del Regno Unito Sajid Javid si sono impegnati a respingere i membri dell’Isis e perfino a privarli della cittadinanza. Funzionari francesi e tedeschi esprimono pubblicamente scetticismo in merito all’idea di accogliere i terroristi imprigionati. I paesi che hanno criticato gli Stati Uniti per Guantanamo Bay ora chiudono un occhio sulla detenzione dei loro cittadini altrove. …

“Le Forze democratiche siriane trattano i detenuti con umanità, ma non possono tenerli lì per sempre. Il gruppo alla fine non avrà altra scelta che lasciare andare i prigionieri – il che fa sì che una gestibile minaccia per la sicurezza diventi un rischio ben peggiore. Questi agguerriti combattenti sono particolarmente pericolosi e vista la loro conoscenza pratica e il rispetto che incutono potrebbero comandare tra gli aspiranti jihadisti.

“Molti combattenti che vengono rilasciati entrerebbero celatamente in Iraq confondendosi tra i sunniti e preparandosi per un risveglio dell’Isis. Altri potrebbero sfruttare i vuoti di sicurezza in Libia o in Somalia o rimettere in moto i conflitti in altre regioni instabili. Forse il rischio maggiore è quello che qualcuno di loro tornerà in Occidente di nascosto, tra i migranti. I paesi che esistano a riprendersi i propri cittadini ora dovrebbero rendersi conto che potrebbero ritornare a casa comunque – clandestinamente”.

Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York.