Gregoretti-Pontelandolfo, amore eterno
Un cordone ombelicale forte ha tenuto legato Ugo Gregoretti al grembo della sua Pontelandolfo, il paese che lo ha cullato nello splendore della sua carriera. L’intreccio affettivo tra il regista capitolino e la comunità sannita ha inizio nei primi anni Sessanta quando il padre Lucio, presidente dell’azienda autofilotranviaria di Napoli e Vice Presidente della Confederazione Nazionale di Trasporti, in visita a Pontelandolfo ospite del fraterno amico architetto Gentile, estasiato dalla maestosità della torre che sovrasta il paese, come l’amore a prima vista a tutti i costi la volle per se’. Il buon Lucio riuscì nell’intento, la monumentale costruzione eretta nel XIV sec. ad opera dei Gambatesa a protezione del castello era sua. La famiglia Gregoretti abita tra le mura secolari della torre medievale fino all’inizio degli anni Ottanta. Fu a seguito della morte di Lucio che la vedova Gregoretti perse l’entusiasmo contagioso del marito e decise, con tanto dispiacere del figlio Ugo, di mettere in vendita “la tana della famiglia Gregoretti” come amava definirla il maestro. Ma il cordone ombelicale non si spezza, dopo decenni di forzata separazione, Ugo e Pontelandolfo incrociano nuovamente le proprie strade, questa volta per sempre. Trascorrono più di venti anni quando Gregoretti rimette piede nell’amato paese ed è nel 2010 che viene sancito l’amore eterno sulle pagine del provvedimento consiliare assunto dal Comune per il conferimento della cittadinanza onoraria ad Ugo Gregoretti. E’ l’inizio di una nuova vita per entrambi, Pontelandolfo vive di Gregoretti, Gregoretti di Pontelandolfo, i due si prendono per mano e fanno tante cose insieme che non avranno mai fine, fino a ieri, fino all’ultimo ciak del maestro sul set della sua vita straordinariamente vissuta da protagonista nel mondo dell’arte letteraria, teatrale, radiofonica, televisiva e cinematografica italiana. Il maestro non c’è più, lascia in eredità ai posteri la sua ricchezza interiore, i suoi insegnamenti, le sue opere immense, il suo stile velato da acuta ironia, il suo essere quello che era, in un parola semplicemente un grande.
Gabriele Palladino