Il corpo imperfetto e la trans-formazione
7 Giugno 2019
The unpronounceable symbol (later dubbed “Love Symbol #2”) [fonte Wikipedia]
Qualche giorno fa scrivevo un articolo sul rapporto con il corpo e la quantità di odio che riserviamo alla nostra apparenza fisica. Mi rendo conto che un capitolo a parte di questa riflessione è quello legato a una recente narrativa, cosiddetta “di genere”, che agisce come nuovo supporto di rifiuto del corpo, in una maniera a ben vedere subdola, e a servizio di una visione ancora una volta patriarcale.
La discussione spesso verte sul punto della “identificazione” con un dato sesso, in opposizione a quello con cui si è nati da un punto di vista cromosomico (XX o XY, salvo i più rari casi di persone intersessuali). La conclusione a cui si arriva è che se si hanno certe preferenze o un certo carattere, si appartenga a un dato genere piuttosto che a un altro. Un bambino che ami giocare con le bambole, indossare vestitini rosa o portare i capelli lunghi viene definito “effemminato” (in modo da neutro a dispregiativo) mentre una bambina a cui piaccia la matematica, giocare a calcio o coi soldatini è un “maschiaccio”.
Non viene data l’opzione che a prescindere dal proprio cromosoma si possano avere preferenze e gusti che intersecano percorsi non tradizionalmente accettati dalla divisione patriarcale della società. Ne consegue che un modello di comportamento e scelte personali non conforme alle aspettative spinge alcune persone a sentirsi a disagio con sé stesse al punto che per sentirsi autorizzate a comportarsi come gli è congeniale, si sottopongono a terapie a dir poco invasive sia ormonali che chirurgiche. Il desiderio è quello di mostrarsi in modo tale da essere percepite del sesso a cui desiderano appartenere, rifiutando in ultima analisi il loro corpo per qual è.
Essendo cresciuta in un ambiente ad alta percentuale omo o bisessuale e annoverando una forte predominanza di omosessuali maschi e femmine tra la mia cerchia di amici più cari, ho potuto riscontrare che le preferenze anche in fatto di occupazione, vestiario, intrattenimento eccetera non seguono affatto una direzione omogenea e comune, e ciascun essere umano ha i suoi gusti, spesso anche in apparente contrasto a una rigida idea di genere. Dalla donna tutta trucco e rossetto ricercatrice di fisica molecolare, al pittore che una sera si mette il mascara e l’altra è tutto giacca di pelle e stivali da cowboy. Penso a Prince, che avrebbe oggi compiuto 61 anni, con le sue fantastiche mise, e ancor prima a David Bowie, che ha preso di petto tutto questo, creando uno spazio espressivo finalmente ricco di ossigeno per almeno un paio di generazioni.
Il problema nasce soprattutto quando questa enorme pressione a soddisfare un canone va a colpire ragazzi in età prepuberale o puberale, dove è comunque tutto un gran casino tra tempeste ormonali, necessità di identificazione e appartenenza, bisogni affettivi. Ultimamente molti ragazzini vengono assecondati o addirittura spinti a intraprendere una strada di mutamento ormonale che ha conseguenze mediche molto pesanti, in parte davvero non abbastanza testate da essere sicure. È assurdo che una ragazzina pensi che il suo corpo sia sbagliato solo perché preferisce la compagnia dei coetanei maschi o che un ragazzino si senta inadeguato se si sente più a suo agio con le sue amiche, al punto che per poter vivere nella comunità delle persone che predilige debba anche copiarne l’aspetto.
Mi ha colpito moltissimo la storia di una madre costretta a trasferirsi a Valencia con il bambino dai gusti “femminei” perché discriminato in Italia, mentre in Spagna è suo diritto scegliere come vuole essere presentato in classe e ha preferito essere Lori ed essere femmina. Mi ha molto colpito che il bambino stesso spiegasse che per lui era uguale venire chiamato al maschile o al femminile, nel senso che il maschile non gli dava fastidio, laddove la madre già parlava di un futuro problema di medicalizzazione e trasformazione degli aspetti mascolini in femminili. Chi ha detto che Lori non voglia un giorno essere Lorenzo? Solo perché ama il rosa e gli piaceva guardare la Sirenetta? E i genitori dei suoi compagni di scuola in Italia che impedivano ai figli di frequentare la famiglia di Lorenzo? Credevano che un bambino diverso da quell’asfittico modello maschile tutto pistole e macchinine potesse contagiare i loro figli? Che vergogna.
Sono convinta che questa sia una mera questione patriarcale, e un falso problema che risiede esclusivamente nelle strutture sociali. Si può essere “femminei” o “mascolini” senza per questo dover cambiare sesso. Che ragione c’è? Perché mai ognuno di noi non può essere chi è, e amare ciò o chi ama, senza dover passare attraverso una definizione di categorie e sottocategorie con infinite denominazioni? A maggior ragione quando una semplice informale dichiarazione di “identificazione di genere” permette accesso a chiunque in ambienti un tempo dedicati e quindi in certe condizioni anche protetti.
Credo che sia ora di finirla con questa ossessione di adesione perfetta a un modello precostituito e deciso a tavolino di quali corpi siano giusti e quali sbagliati. Ogni corpo è giusto com’è, e ciascuno di noi ha diritto di essere come gli pare e di amare chi gli pare, senza che ci siano imposizioni di genere riferiti a una socialità patriarcale. Fine del discorso.
Monica Mazzitelli
Le donne visibili –https://www.pontelandolfonews.com/monica-mazzitelli/senza-oggetto-o-aggettivo-solo-corpi/