Sono cristiano e cattolico
Tutta questione di… chiarezza e coraggio.
La prima parte di questo mio articolo è scritta come cittadino italiano, laico. La seconda parte, come cristiano, cattolico e credente.
Recentemente ho dovuto fare una telefonata al mio direttore spirituale. È stato l’unico modo che avevo a disposizione per poter comprendere, forse più a fondo e più intimamente, il comportamento di questo papato. E farlo dal punto di vista temporale, contingente.
Non nascondo alcune difficoltà di comprensione e legittimazione di questo Papà, specialmente rispetto alle continue esternazioni di stampo politico. Latinoamericano e indisponente. O meglio, come ha detto il mio direttore spirituale, “irritante“. Promuove azioni, e lui stesso le compie, “operazioni” e concetti che sono in apparenza qualunquisti, pressappochisti e diplomaticamente contrari alla sua stessa missione. E quindi mi sono chiesto perché faccia tutto questo. Mi sono risposto, come laico, nel modo seguente.
Innanzitutto, è latinoamericano. Proviene quindi da una regione del mondo particolarmente martoriata, sia in chiave politica che economica, all’interno della quale la povertà è vissuta quotidianamente accanto allo sfarzo della ricchezza, senza nessuna vergogna. E purtroppo devo dire che è vero, visto che io stesso ho toccato con mano questa situazione, tanto in Colombia quanto in Brasile.
In secondo luogo, è particolarmente legato alla Teologia della liberazione, e cerca quindi di connubiare il messaggio evangelico con la dimensione più prettamente sociale della contemporaneità globale, lasciando in secondo piano l’intimo e personale rapporto che ogni individuo è in grado di stabilire con il Padre. In realtà, secondo questa prospettiva, ogni sua esternazione è rivolta al mondo intero, e non necessariamente alle situazioni che accadono in Italia, anche se questo non appare del tutto evidente. Parla la lingua degli ultimissimi, non solo degli ultimi. Si occupa di grandi temi, ma anche di comportamenti spiccioli: si è mai sentito un Papa tenere un discorso sul senso peccaminoso del “chiacchiericcio“, quello delle comari? Prima d’ora, mai.
Utilizza una dialettica terra terra: parla alla gente con linguaggio comune della gente. Redarguisce i vescovi dicendo loro, senza mezzi termini, che se la riforma dei processi di nullità del matrimonio non sta decollando è proprio a causa dell’ostruzionismo dei vescovi stessi.
Dice sicuramente cose sgradite (e pare le dica anche con un linguaggio aspro), a quella parte di Curia romana con le scarpe di Prada, così da segnare una distanza tra l’altezza del pensiero teologico, che tuttavia abbisogna di denaro, e la bassezza della folla che avrebbe bisogno di denaro, ma deve farsi piacere la povertà, perché Cristo era povero.
In terzo luogo, mi sembra che sia un uomo abituato a parlare con il cuore, cercando soluzioni semplicistiche al posto di condurre un ragionamento di mediazione che necessariamente è tipico della complessità politica del mondo nel quale tutti noi viviamo. È come se, da un questo punto di vista, Papa Francesco fosse praticamente inserito in una bolla di sapone che volteggia in alto e dalla quale giudica e valuta il mondo restandone però distaccato.
Per ultimo, mi chiedo anche se, accanto a lui, ci siano consiglieri in grado di mitigare le sue esternazioni del tipo “bianco o nero“, in qualcosa di più equilibrato, senza lasciare in secondo piano in messaggio evangelico.
Penso dunque che faccia bene Francesco Papa ad occuparsi della piaga della pedofilia, dell’omosessualità clericale, degli investimenti finanziari dello IOR, di cardinali elettricisti e di altre cose tipiche di uno Stato che dovrebbe forse pensare più alle anime nel loro rapporto con la Sacra Scrittura (ricordando, magari con più cuore, quanti sono i cristiani quotidianamente uccisi nel mondo). Sono tutte questioni tipiche di uno Stato temporale ben piantato su questa martoriata terra. E potrebbe così lasciare alle stesse anime la libertà di decidere autonomamente chi votare nei parlamenti degli uomini.
Ed eccoci alla seconda parte della mia riflessione. Ripeto, come cristiano, apostolico romano e credente.
Io credo che lo Spirito Santo decida l’elezione del Papa, ogni volta che i cardinali sono riuniti in conclave e nelle condizioni di ascoltare ciò che proviene dal Cielo, sotto forma di ispirazione e di preghiera. E questa convenzione è fede. Punto. Lo Spirito Santo, per volere divino, permette, dalla creazione del mondo, la presenza del male, e quindi, anche quando la storia ha rivelato papi decisamente riprovevoli (Alessandro VI, uno fra i tanti…), è stato necessario averli, secondo un disegno misterioso che all’uomo di fede non è dato comprendere fino in fondo. Questa impossibilità di capire è tipica anche rispetto al dolore. Non esiste un motivo per giustificare il dolore, e pure esso è presente nel mondo. Per un uomo di fede, questo dolore è funzionale al libero arbitrio, con il quale si continua scegliere di credere e con la preghiera si chiede aiuto per la propria debolezza. Quindi, sulla base di queste ragioni, la presenza di questo Papa è necessaria nel momento storico che il mondo sta vivendo, anche se io non sono in grado di comprenderne il significato più profondo.
Il suo comportamento e le relazioni che esso suscita, mi fanno pensare a come Gesù era recepito, quando aveva iniziato a predicare la buona novella. Era apprezzato solo dai poveri, dai malati, dai disperati, ed è finito in croce. Cristo non piaceva, perché parlava agli ultimissimi, come ho già detto. Perché diceva che loro sarebbero stati i primi. Perché redimeva la Maddalena e non si sottometteva ai potenti. Insomma, diciamoci la verità: Francesco è una figura scomoda come scomodo era Cristo. Francesco Papa in croce non lo possono mettere, ma forse alcune cariche ecclesiastiche farebbero a meno della sua presenza ingombrante e per loro spesso imbarazzante, con grande entusiasmo, mentre cercano in ogni modo di metterlo in cattiva luce e di congiurare a suo danno.
Inoltre, per concludere, per un uomo di fede, la storia dell’umanità è come un arazzo del quale si vede esclusivamente il rovescio, ossia quell’intricato insieme di fili che non danno luogo a nessun disegno di senso compiuto. Quanto sarà stata provvidenziale la sua presenza in questo momento storico, lo sapremo solo in futuro, quando riusciremo a vedere meglio il disegno che la provvidenza sta tracciando in questo difficile momento mondiale.
Ecco, ho pensato molto a quello che avrei scritto, ma ora mi sento sollevato di averlo pubblicamente dichiarato.
Era un peso che avevo nel cuore.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).