Sant’Eligio Maggiore e la curiosa storia dell’orologio con una sola lancetta
Sant’Eligio Maggiore è oggi seminascosta tra i vicoli nei pressi di Piazza Mercato, una delle chiese gotiche più antiche di Napoli, tra segreti e oscure storie.
Oggi la chiesa di Sant’Eligio Maggiore è seminascosta tra i vicoli tra il corso Umberto ed il porto, ma un tempo, quando fu costruita, dominava Piazza Mercato. E’ la chiesa gotica più antica di Napoli, costruita nel 1270 nei pressi del luogo in cui pochi anni prima era stato decapitato Corradino di Svevia, fu voluta da tre potenti della corte di Carlo I d’Angiò, che decisero di affiancarla ad un ospedale.
Prima di rimanere inglobata nei vicoli che oggi la circondano, ha assistito nei secoli ai tanti eventi luttuosi che hanno caratterizzato la storia della piazza, ha visto la prigionia di Masaniello e la morte di Eleonora Pimentel Fonseca, e quella di tanti altri giustiziati nella Napoli di ogni tempo.
Tutti questi secoli di storia l’hanno arricchita progressivamente e ne hanno via via, secondo il gusto ed i tempi, trasformato l’immagine. Nel XVI secolo, sotto la dominazione spagnola, Don Pedro de Toledo istituì anche nell’ospedale un educandato femminile, dove le ragazze venivano avviate all’attività infermieristica dell’ospedale stesso.
Del complesso fanno parte anche due chiostri costruiti con pilastri di piperno, uno dei quali ornato da una fontana seicentesca.
All’interno oggi si leggono pesanti rimaneggiamenti dei restauri intervenuti a seguito della seconda guerra mondiale, ma si conservano anche importanti opere che testimoniano l’importanza e la ricchezza della chiesa nei secoli: un dipinto di Massimo Stanzione, uno del fiammingo Cornelius Smet, che qualcuno sostiene ritoccato da Michelangelo, e uno ancora di Francesco Solimena.
E fin qui niente di strano, una storia come tante quella di Sant’Eligio, forse un po’ più ricca perché qui erano soliti essere ospitati i reali, quando dovevano assistere a qualche evento che aveva luogo a Piazza Mercato, ma per il resto per nulla di dissimile dalle tante storie delle innumerevoli incantevoli chiese di Napoli.
Ma si sa, a Napoli niente è come sembra e spesso anche le cose più banali celano misteri ed oscure storie.
Ed è così anche per Sant’Eligio. Infatti nel corso del quattrocento, addossato alla chiesa, fu eretto un arco che collegava il campanile con un edificio adiacente la struttura. Si tratta di un arco a due piani : il secondo decorato con stemmi aragonesi, si dice, ospitasse una stanzetta in cui i condannati a morte trascorrevano le ultime ore prima di essere giustiziati, il nostro curioso orologio, invece, è posizionato sul primo piano di stile gotico. Su una delle due facce dell’arco l’antichissimo orologio è caratterizzato dall’avere una sola lancetta, sull’altro lato dell’arco, invece, è nella cornice di un più tradizionale orologio a due lancette che si celano oscure storie.
La prima ha una lunga tradizione e riguarda una leggenda del cinquecento tramandata da Benedetto Croce. Si racconta che le due teste scolpite nella sua cornice altri non siano che Antonello Caracciolo ed una sua giovane vassalla. Il terribile duca, invaghito della giovane, non riuscendo a conquistarla, fece con una scusa incarcerare il padre, ricattandola e chiedendo la sua mano in cambio della vita del padre. La famiglia, non potendo accettare tale angheria piuttosto che cedere alla violenza, si rivolse direttamente al re Ferdinando d’Aragona che condannò il duca a sposare la giovane Irene fornendole di sua tasca una ricca dote e quindi lo fece decapitare.
La seconda storia che ruota attorno all’unica lancetta dello strano orologio è decisamente più recente e va ricercata nella tremenda esplosione della nave Caterina Costa esplosa nel porto di Napoli poco prima della sua partenza il 28 marzo 1943. L’esplosione avvenuta alle 15:00 lasciò traccia della sua forza in tutti i dintorni del porto fin nel cuore dell’orologio, che si fermò per una lamiera che lo raggiunse fermandone gli ingranaggi. Per anni, fino al 1993 quando fu restaurato, l’orologio segnò quel terribile orario come memoria per tutti i napoletani che di lì si trovavano a passare.
Ma prima di lasciare Sant’Eligio, sempre perché a Napoli nulla è come sembra, è il caso di ricordare un’altra antica usanza che unisce oggi la quasi dimenticata chiesa con la modernissima stazione della metropolitana linea 1 Museo. Infatti, qui è conservata la testa del cavallo in bronzo, la cosiddetta testa Carafa, che era parte di una statua equestre posta davanti Sant’Eligio attorno alla quale si facevano girare i cavalli infermi. Il rito attorno alla statua equestre fu presto vietato già in epoca sveva. Re Corrado, infatti, fece fondere la statua eccetto la testa, che prima di proprietà della famiglia Medici passò poi ai Carafa. Tuttavia memoria di questo legame tra Sant’Eligio, considerato protettore di questi animali, ed il rituale della guarigione dei cavalli restarono i numerosi ferri che come x-voto per la guarigione venivano inchiodati al portone della Chiesa.
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