Ridotti così…
Tutta questione di… prospettiva.
È notizia di questi giorni che la Camera ha approvato la proposta di legge costituzionale per la riduzione dei parlamentari. Da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi, oltre alla fissazione del limite massimo alla nomina dei senatori a vita, stabilito in 5 membri.
È ben vero che si tratta soltanto della prima delle due letture conformi, previste dalla nostra Costituzione per le modifiche al testo della Carta e che, dunque, è presto per cantare vittoria. Ciò nondimeno, il fatto che i due rami del Parlamento si siano espressi positivamente sulla questione di un’autoriduzione numerica dei propri componenti (con il rischio che molti degli attuali parlamentari al primo mandato possano non essere rieletti) è un segnale importantissimo. Anzi, direi che è determinante, in questo preciso momento storico-sociale, in cui gli italiani sono chiamati e costretti a subire gli effetti negativi dei precedenti governi. Questa è la situazione reale del Paese: difficile collocazione lavorativa dei giovani e ricollocazione di coloro che si trovano ad aver perduto la propria occupazione in età matura, ostacoli all’accesso al lavoro per le donne, un regime di tassazione non contemperato alle esigenze dell’impresa, fattori, questi, che determinano la contrazione su investimenti in forza lavoro, e blocco degli lavori pubblici. E mi fermo.
È naturale che, in un complesso di quotidiane difficoltà esistenziali, economiche e finanziarie, si formino e serpeggino sentimenti di solitudine, paura, iniquità, abbandono ed anche voglia di riscatto. Ed è in questo coacervo di sentimenti che ognuno di noi, individualmente considerato e tutti noi collettivamente, domandiamo allo Stato la contrazione dei costi della politica, cominciando proprio dal taglio del numero dei membri componenti le più alte Istituzioni. È ovvio che, nel compiere una operazione del genere, il Legislatore deve comunque salvaguardare l’equilibrio degli assetti democratici. Siamo una repubblica parlamentare, a democrazia non diretta, ma, comunque, partecipata e quindi è necessario mantenere costante la rappresentanza e la rappresentatività degli elettori.
Ciò fermo restando, è senz’altro un segnale molto importante aver mosso i primi passi verso la riduzione dei parlamentari. In un’epoca in cui la politica ha assunto un significato spesso lontano da quello originario e la vis dei nostri padri costituenti è andata perduta; in cui l’assenza di responsabilità patrimoniale per le scelte politiche assunte è divenuta, per molti nostri rappresentanti, il cavallo di Troia per compiere scelte sulla base di logiche partitiche; in cui la transitorietà del mandato elettivo ricevuto ha contribuito a sentirsi esentati da una piena consapevolezza della fortissima incidenza che le scelte politico-istituzionali hanno nella vita quotidiana dei cittadini. Ecco, in questa epoca lo status di politico induce chi si trova ad averlo a non percepirsi distinto dalla massa. E questo avviene non per il peso specifico della sua posizione politica, bensì per l’area di esenzione dal sindacato altrui, e che deriva dal suo ruolo politico e dallo status.
Ed è in questa erronea percezione che si forma l’idea che il “fare politica” sia lo scivolo verso una vita colma di privilegi. E poiché una reiterata convinzione fa sì che questa diventi un fatto reale, con il corso del tempo i privilegi della politica sono diventati sempre più evidenti, perché il giovarsene ha dato loro corpo visibile, un corpo che ingrassa per inerzia con il solo passare del tempo.
Adesso è giunto il tempo di arrestare questo processo, che si riscontra in tutti i corpi istituzionali, ormai macchine sempre più pesanti e costose. La politica non può esigere che gli italiani si sacrifichino ad oltranza, senza mostrar loro che anche lei sa limitarsi. Per il semplice motivo che non si può mangiare a quattro palmenti stando di fronte ad un uomo a cui, autoritariamente, si impone il digiuno.
Dunque, ottima scelta quella di Camera e Senato nell’aver approvato la proposta di legge costituzionale per una sensibile riduzione dei componenti entrambe le Camere pur, tuttavia, lasciando inalterata l’esigenza di rappresentatività. L’attuale Parlamento ha dato una grande prova di coraggio politico. Mutilare una sua parte a vantaggio collettivo. Un vantaggio che si tradurrà non solo in risparmio economico, ma anche in maggior celerità d’azione e diminuzione dei margini di mobilità tra gruppi parlamentari.
In questo snodo storico, registriamo una prima mossa verso una evoluzione costruttiva.
La speranza è che arrivi al suo compimento.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).