Pontelandolfo : Borghi Antichi e Contrade
Il territorio di Pontelandolfo da sempre ebbe un ruolo di primo piano nell’economia dell’area, lungo le principali vie di collegamento dell’Appenino Centro Meridionale.
Già in epoca romana l’area era attraversata da un’imponente via militare fatta costruire dal console Tiberio Numicio (via Numicia) durante le campagne per l’espansione romana nel meridione.
Dopo la caduta dell’impero e la frantumazione del sistema viario romano, la strada continuò ad avere un’importanza fondamentale nell’ambito dei collegamenti lungo l’Appennino centro meridionale, divenendo una delle principali vie di transumanza, percorse dai pastori che in primavera conducevano le greggi e le mandrie verso i monti dell’Abruzzo e in autunno verso le estese pianure pugliesi.
In tempi più recenti, considerata la particolare posizione geografica dell’area al confine tra il Regno di Napoli e la Città di Benevento, dal 1809 al 1857, Ferdinando IV di Borbone
istituì nel territorio di Pontelandolfo una dogana per le granaglie.
L’economia dell’area, quindi, fu fortemente legata alla presenza di quest’arteria nodale per i collegamenti tra nord e sud dell’Appennino: nell’intero territorio comunale sorsero diverse tabernae dove i viandanti potevano sostare, molte delle quali costituiscono alcuni di quei borghi rurali che ancora oggi è possibile individuare sul territorio.
Molti altri borghi, infine, sorsero a seguito della frammentazione del feudo di Pontelandolfo, avvenuta nel decennio francese, quando circa i 2/3 della popolazione s’insediò in varie frazioni rurali, direttamente all’interno dei fondi da loro coltivati, diversamente da quanto avveniva nel resto dell’Italia Meridionale dove il 90% della popolazione viveva nell’aggregato urbano.
Sorti in maniera spontanea sul territorio direttamente a contatto con i campi, alcuni di questi borghi ebbero anche un considerevole sviluppo, nel tempo per la presenza di attrezzature comuni e di riferimento nell’ambito di un territorio dall’economia prevalentemente agricola, quali i mulini, come di seguito illustrato.
Con l’Unità d’Italia, l’abolizione delle frontiere da una parte e la costruzione della linea ferroviaria, dall’altra, il territorio perse quel ruolo fondamentale lungo le vie di collegamento dell’Appennino che l’aveva da sempre contraddistinto; scemati i valori locativi delle case e dei fondi, perdute le piccole industrie e le varie speculazioni che vi si esercitavano, annientata la dogana, restò ai cittadini soltanto la coltura del suolo .
I borghi, molti dei quali ormai disabitati, si caratterizzano per la comune tipologia, di piccoli casolari a due piani costruiti in pietra.
Di seguito si illustrano alcuni tra i più significativi dei sessanta borghi che sono sull’intero territorio comunale.
CONTRADE
Pucino (C.da S. Caterina)
L’antico borgo di Pucino ebbe un ruolo di primo piano nell’economia locale essendo ubicato lungo il Regio Trattura Pescasseroli-Candela, antica via di transumanza percorsa dai pastori che in primavera conducevano le greggi e le mandrie verso i monti dell’Abruzzo e in autunno verso le estese pianure pugliesi.
Acqua del Campo – S. Maria degli Angeli
Il nome del borgo, Acqua del Campo, deriva dalla presenza nell’area di numerose e ottime sorgenti di acqua pura. All’interno del borgo, ancora oggi vi è una chiesetta dell’’800, S. Maria del Borgo, le cui origini sono legate ad un’antica leggenda.
La legenda narra che sul colle in località Castellone vi era un tesoro di inestimabile valore, il cui nascondiglio era presidiato da sentinelle perpetue, mentre all’interno il tesoro era protetto dal diavolo sotto le sembianze di un cavallo alato bianco. Si poteva entrare in possesso del tesoro solo se sul posto fosse stata condotta un’anima innocente e immacolata. Così, un giorno, un giovane coraggioso, volendo impossessarsi di questo inestimabile tesoro, incurante dei rischi cui andava incontro, decise di sfidare le forze demoniache. A tal fine portò con se un gattino che furbamente volle ritenere del tutto immacolato. Giunto alla grotta, approfittando del buio riuscì ad eludere le due sentinelle e ad addentrarsi nell’anfratto. Attraverso un percorso angusto, calpestando resti umani e carogne di animali si inoltrò nella grotta. Allora l’ira del diavolo scatenò una pioggia torrenziale e un vento fortissimo, mentre un grosso masso ostruì l’unica via di fuga. Il giovane, sentendosi perduto, invocò l’Arcangelo S. Michele, che ingaggiata una lotta con le forze demoniache riuscì a portare in salvo il malcapitato. Secondo la leggenda, a seguito di questo episodio fu costruita una Cappella dedicata a S. Michele Arcangelo, oggi Santa Maria degli Angeli.
Ciaccione (C.da Gugliete)
Nell’antico borgo Ciaccione è ancora oggi un’antica macina, mentre nei suoi pressi sono la fontana detta dell’Orso –oggi ridotta allo stato di rudere-, oltre a caverne naturali e capanne utilizzate dai pastori come ricovero che già rifugio e luogo di appostamento per i briganti, durante gli scontri con l’esercito piemontese, nel lontano 1861.
A poche centinaia di metri sono le sorgenti del torrente Lente. Nell’invaso da cui sorgano le acque del torrente vi è un grosso masso su cui secondo la leggenda vi sono delle impronte lasciate dal diavolo. Dall’antico borgo, infine, un suggestivo percorso che offre una mirabile vista su Pontelandolfo, tutta la valle sottostante fino alla città di Benevento, conduce verso i monti.
Sticco
L’antico borgo è da sempre noto per la presenza di un antico casolare in pietra meglio conosciuto dagli abitanti del luogo come Il Municipio. Qui, un tempo, si riunivano i vecchi saggi del posto per raccogliere le istanze da sottoporre all’autorità locale. Mentre negli anni roventi dell’Unità d’Italia, durante le rivolte contro l’esercito piemontese, Il Municipio funse da taverna-locanda, luogo di riposo e ristoro per i briganti che si battevano contro il nuovo Regno. Qui, infatti, era solito rifugiarsi il Brigante di Sticco, Michele Rinaldi, che ebbe un ruolo fondamentale nell’organizzazione dei briganti contro le truppe del Regno. Si racconta che il Brigante era solito trascorrere le rigide notti, quale rifugio sicuro nella cavità di una roccia poco distante dall’antico casale. Una notte una violenta tempesta si abbatté sulla zona ed un fulmine colpì in pieno la quercia all’interno della quale aveva trovato riposo il brigante mettendo così fine ai suoi giorni. All’alba del giorno successivo, al posto dell’antica quercia, si racconta che apparve una pietra sulla quale era incisa una croce apposta dagli stessi briganti, molto devoti della Madonna.
Petrillo
Il borgo di Petrillo ancora oggi è assai noto per una triste vicenda accaduta durante la seconda guerra mondiale. Nella notte del 13 settembre 1943, infatti, il borgo fu pesantemente bombardato da un aereo alleato, uccidendo buona parte della popolazione.
Marziello
Il borgo fu teatro degli scontri contro i soldati dell’esercito unitario. Qui cinquanta partigiani, avvertiti dagli amici pastori che erano di vedetta lungo il sentiero che da Marziello conduceva nella piana del Lago Cianciane, tesero un agguato ai bersaglieri del generale Cialdini, che aveva ordinato di stroncare nel sangue qualsiasi rivolta. I 500 bersaglieri, colti di sorpresa, furono decimati dal fuoco nemico, ma data la superiorità numerica, riuscirono a contrattaccare costringendo i briganti ad indietreggiare.
Questi, asserragliatisi in un antico casolare in pietra, riuscirono a resistere all’attacco dell’esercito piemontese vincendo la battaglia.
Per rappresaglia le truppe piemontesi nei giorni successivi passarono a ferro e fuoco l’intero centro di Pontelandolfo. Furono fucilati senza alcuna distinzione uomini e preti, l’intero abitato di circa 4500 abitanti fu saccheggiato ed infine incendiato, senza alcuna pietà, segnando una delle pagine più cruente dell’Unità d’Italia.
Cianfrone
Anche quest’ultimo borgo fu teatro di una tra le più truci vicende che si succedettero all’indomani dell’Unità d’Italia a seguito dei ripetuti scontri tra briganti e l’esercito del nuovo Regno.
Pochi mesi dopo l’eccidio del 14 agosto 1861, infatti, un pastorello, in cambio di una lauta ricompensa denunciò alle truppe piemontesi dieci pastori spacciandoli per i briganti cui i bersaglieri stavano dando la caccia. I dieci furono barbaramente trucidati.
Una legenda narra che sul pastorello si abbatterono le maledizioni delle mogli e dei figli dei dieci pastori uccisi. Così nel borgo molti uomini furono colpiti da morte atroce ed improvvisa, altri si ammalarono improvvisamente. Nel giro di uno o due anni, il villaggio divenne completamente disabitato e abbandonato all’incuria del tempo. Oggi non vi è ormai traccia dell’uomo, tutto ciò che resta dell’antico insediamento giace sotto una folta vegetazione pressoché impenetrabile.
ricerche condotte dal sig. GABRIELE PALLADINO.