Ricerca e elaborazione testi del Prof.Renato Rinaldi Da: “ Monografia di Pontelandolfo” di Daniele Perugini- Campobasso 1878
PAG 13 -21
STORIA
DELL’ANTICO PAGO, DETTO POI CASALE DI S. TEODORA E SUE VICENDE INTERMEDIE.
Ognuno dalla Storia conosce, che ad eccezione delle poche Città Sannitiche quei popoli feroci habitabant vicatiim (Vedi il Sigonio citato da Troyli Vol. II. pag. 419 Vichi erano abitazioni in luoghi aperti con vie. Liv. lib. IX cap. 13) sulle alture dei monti. La superficie, di cui scriviamo non conteneva alcuna di quelle Città, nè fu teatro di grandi avvenimenti, o la storia li tace. Dopo le ultime guerre tra Romani e Sanniti, quest’ultimi furono distrutti, e le Città loro ed i vichi ( iPotevano essere Vichi dei Sanniti le antichissime dirute fabbriche nei così detti Castelli – lavarino, Avellana, e Piana Palombo, ed in quest’ultimo forse vi erano dei fornelli per estrarre il rame per la fabbrica delle armi, essendosi ivi ritrovata una quantità di ossido di rame) incendiati da non potersi più riconoscere il Sannio nel Sannio istesso, offrendo da per ogni dove squallore e desolazione.
Divenuto il Sannio nel dominio de’ Romani tra le molte colonie ivi dedotte, vi fu quella che nell’anno 572 di Roma, avanti Gesù Cristo 180, i Consoli P. Cornelio e M. Bebio quivi dedussero (Livio lib. XL. cap. 18 ).
Componevasi di quarantamila Capi di famiglia di Liguri Apuani detti bebiani dal Console conduttore; in qua] parte però del Sannio questa colonia avesse stabilita la principal sua sede fino al 1833 era ignoto alla storia: ma in quell’anno nelle vicinanze di Circello si rinvenne una tavola di Bronzo che il Cav. D. Giosuè d’Agostini di Campolattaro gelosamente conservò.
È questa la tavola alimentaria, o per dir meglio la descrizione dei fondi che si davano in ipoteca per sicurtà del Capitale impiegato per alimentare i fanciulli poveri della mentovata colonia Bebiana. Vien marcato in quali Paghi erano siti i fondi: i loro nomi; la loro confinazione e valore.
Quanti paghi si appartenevano a quella Colonia ci è tuttora ignoto, perché la tavola di bronzo è monca nella maggior parte della prima colonna. Fin dove si fosse estesa non ancora è determinato, e rispettando sempre le dotte congetture del lodato P. M. Garrucci, a noi sembra che non poteva il f. Tammaro descrivere il confine occidentale delle terre assegnate, poiché vi esistono tanti altri antichi monumenti che a quell’epoca rimontano oltre il Tammaro e specialmente nelle pianure di Ponte confinante con Benevento e propriamente al di là dello sbocco del fiume Alende evvi a nostro credere l’avanzo incenerito del Pago romano, come dimostreremo nella monografia di Ponte, e del pari vi sono all’Oriente verso Lucera (Da un antichissimo manoscritto pubblicato dall’ab. Ughelli It. Sac. Vol. IX. col. 791 edit. Rom. si legge « Cogitabat enim Princeps quod si in « Luceria non reciperetur ad Castruni Bibiani quod pro eo tenebat « surgeret, et ibi se receptaret. » ), e che a quella Colonia sono relativi, come fra poco diremo.
Tra i Paghi ricordati dalla Tavola di bronzo tre volte vien nominato il Pagurn Herculaneum. Nella colonna seconda linea 15 a 23 si legge, che Nerazio Corellio, Nerazio Marcello, e Gn. Marcio Rufino davano in ipoteca i fondi Pacciani, et casa Aureliani, ed i fondi Marciano, Satriano, Juliano, Avilliano, Vitelliano, Nasenniano, e Marcelliano confinanti con Suellio Flacco; non che il fondo Curiano e Satriano confinante con un altro di Tezio Etrusco per 56,440 Sesterzii.
Nella detta colonna seconda linea 56 si dava in ipoteca da Giulia Ecate il fondo Clodiano confinante con Turpillio Lupo.
Nella col. 3. lin. 17. Caio Valerio Pietate ipoteca i fondi Erculejani confinanti con l’Imp. Ces., e nella linea 21.” la Rep. Bebiana assoggettava i fondi Juliani majoris, minoris et mediani Labeonice Turriculae .
E finalmente nella detta col. 3. lin. 34. Ottavio Libico dava in ipoteca il fondo Petilliano cum casis et parietinis ecc. ed erano tutti nel Pago Erculaneo.
Noi quindi crediamo, che nel luogo descritto col nome Sorgenza, e Ciscara ebbe vita il Pago Herculaneum dei Bebiani. Le seguenti ragioni ci fecero così giudicare.
1.”Ognun conosce che le ceneri o le ossa di quegli antichi eran depositate nei fondi di loro pertinenza. Le iscrizioni di sopra cennate ci accertano che i Corellii, e gli Aurelii, furon sepolti nei fondi ove le iscrizioni si son rinvenute; ma questi esistevano nel Pago Erculaneo. Dunque il Pago suddetto ebbe vita nel luogo ora detto Sorgenza.
2.” La denominazione dei fondi del detto Pago coincide perfettamente con quella di estese contrade poste nel tenimento. Di fatti le contrade Juiliani, Avilliano, oggi Avellana, e Clodiano, oggi Serra di Clodio danno altri indizi. Il primo però distinto in maggiore, minore e medio è quello che più decide. Chi nel maggiore non riconosce la vasta estensione del fendum Julianum, poi Julietum, secondo l’Alberti, oggi S. Maria del Guglieto? Il medianus cum Labeonis Turriculae è chiaramente quella bella ed estesa contrada di sopra descritta Castellone o Torre, nominata sempre Juliani nelle antiche pergamene, alla cui estremità evvi una collina su di cui si veggono antiche fabbriche di gusto Romano, ed oggi ancora di Juliani si appella, e Torre. Finalmente il fondo Julianì minore è sito al sud-ovest del Pago antico quasi tenendo il medianus nel mezzo, e che prima dicevasi quella contrada Juliete o fontana Romana, ed oggi: Fontana Romana o Gugliete.
3.” La esistenza del suddescritto luogo di tante abitazioni, terme, tempi, statue e sepolcri, e quello che sembra più decisivo è il rinvenimento della clave di bronzo e degli altri frammenti della statua di Ercole, come sopra, ultimamente ritrovati. (In fine, parlando dei giuochi popolari, si vedrà, che i prediletti sono quelli, che ad Ercole erano sacri)
Abbiam voluto in questa pagina esprimere un nostro divisamento, rispettando sempre quelle dimostrazioni che con più validi monumenti ed argomenti in prosieguo potranno fornirsi alla Storia.
Come finì questo Pago non ci è noto, e se trovammo ridotte in pezzi le statue de’ numi del gentilesimo non ci sarebbe forza a credere, che per mano de’ barbari que’ preziosi monumenti dell’arte ebbero a perire, mentre potevano gli abitanti stessi, chiamati alla verità della Religion Cristiana incenerire ed abbattere i tempi ed i numi; ma l’osservare che alla stessa sorte soggiacquero tutte le altre fabbriche del Pago, le terme, le fontane e le abitazioni, le fucine che ad ogni palmo dimostrano i segni del fuoco divoratore, con ogni fondamento ci fan credere, che il Pago finì con tutti gli altri quando finì Bebio stesso.
« Quando Saugdan, o Seodan capo de’ Saraceni devastò e mise » a fuoco ogni cosa intorno a Benevento (P M. Garrucci, Antichità dei Liguri Bebiani. Erchemperto dal Pratilli vol. 1, pag. 115 – dice «Beneventana regio funditus desolata est.» ) » nell’anno di nostra salute 880.
Ma nell’anno seguente » Agareni totam supradictam Beneventanam crudeliter laniabant, ita ut desolata terra, olim cultoribus, restibus, vepribusque repleta fatisceret ( Anonimo Salernitano cap.149).
Lo stesso toccò a Sepino, Boiano, Alife, Telese ed Isernia.
Ma quando il Pago fu dai Saraceni distrutto non lo è da supporsi tuttora nel gentilesimo immerso, attesa la sua vicinanza in Benevento, che fu sollecito ad abbracciare la santa nostra Religione, e molto più per la vicinanza con Morcone, ove nell’anno 675 di nostra salute fu da Benevento eletto per Curato della Chiesa di S. Basilio, S. Barbato, poi Vescovo di Benevento. (Vedi Paolo Diacono de Festis Longobard:lib. 2 e 5 vol-IIIpag.44)
Sepolto il Pago nelle rovine, e cancellata la idea di quelle antiche grandezze, non venne però abbandonato da quei servi o coloni che vi erano addetti per la coltura delle terre e per gli altri incarichi, come dai loro cognomi si rileva ( Vedi in fine –Att.Famiglie). I proprietari però o mancarono, o ne fecero un dono alla Chiesa Metropolitana di Benevento. Di fatti miseri abituri nella parte superiore furono eretti, ma ben pochi, e devesi supporre, che molte di quelle famiglie passarono altrove ad abitare, e specialmente nel Castello vicino di Morcone, ove speravano trovare asilo: altre restarono ad abitare quei luoghi, che contenevano le ceneri dei loro maggiori, cancellando per sempre il nome di Pagus Herculaneus diedero
Origine al casale di S.Teodora
Sorgeva una chiesa dedicata a questa Santa nel mezzo dell’antico Pago distrutto. La eleganza e grandiosità dei pezzi d’intaglio degli angoli, della porta ed i fregi diversi, che punto non corrispondono con le nuove fabbriche erette, dimostrano esser quello un tempio sacrato ai numi del gentilesimo, e poi rifatto, ed a S.Teodora dedicato come Chiesa Matrice, e che diede il nome al Casale novello.
Che siffatto Casale si fosse da se stesso mantenuto e retto fino al XIII secolo, e come dipendente e suddito della Chiesa Metropolitana di Benevento è chiaro nella storia; ma come questo dritto quella acquistato avesse, restò nelle tenebre dei secoli, ed ogni nostra cura fu vana (Forse per dedizione, ond’essere protetti)
.Ed in fatti a 20 settembre 1273 innanzi al Giudice di Benevento Marco Saducti ed Eletto Capoferri (Era questi l’Arcivescovo di Benevento. Vedi Stefano Borgia Mem. storiche Vol. III. pag. 78) e di Notar Matteo e testimoni comparve. « Nobilis vir Matheus de Pontelandulpho »filius nobilis viri Domini Manfridii domini Pontislandulphi ( De’ feudatari Manfridio e Matteo sarà parlato in seguito art.Feudalità) qui promisit et obbligavit…..nec non et homines Casalis Sancte Theodore vassallos ejusdem Majoris Ecclesie non offendere, nec offendi facere nec molestare vel mole¬» stari facere in personis et rebus eorum per se, vel per » heredes suos, seu quoscumque alios, nec etiam esse in consilio, » auxilio et tractatu, quod dicta major Ecclesia et dictus Dominus » Electus et successores ejus nec non et quod dicti homines Casalis » proedicti S. Theodore Vassalli predicte Majoris Ecclesie, et ipsum » Casale offendantur et molestentur per eum, vel per quoscumque alios in personis et rebus eorum (È stata trascritta con i medesimi errori, come si legge nel Borgia) .
Dunque gli abitanti del Casale null’avevano di comune con quelli del Castello, di cui parleremo.
Nel descrivere il luogo dove giacevano, ed in parte ancor sono sepolte le antiche fabbriche dicemmo, che trovandosi in una spaziosa ed amena pianura, era tale allora: ma l’attuale suo stato non è così. Varie delle circostanti colline furono dissodate, vedove di alberi e di frutici dimostrano i sottoposti massi calcari, ed alle falde della collina ad occidente delle rovine un fiume di acqua limpida e fredda venne a sorgere, che serpeggiando attraversa la pianura, e passando circa un tiro di fucile a mezzodì della diruta Chiesa di S. Teodora, rende quella contrada poco salubre, anzi un aere malsano premeva su quel Casale, e forse tra gli altri motivi fuvvi ancor questo, che indusse i pochi abitanti ad unirsi ai castellani di Pontelandolfo, sottraendosi col fatto dalla giurisdizione laicale della Chiesa Metropolitana di Benevento.
Quando però quella sorgiva si fosse aperta, portando seco l’altro cateclismo del Torrente Resicco, il quale accrebbe lo spavento in quegli abitanti, e quando questi ne uscirono, non ci vien detto dalla storia. Per le dimostrazioni che faremo nell’art. idrografia possiam ritenere, che questi fatti avvennero nel 1349, e nel 1456.
La Chiesa però di S.a Teodora o fu campata dai tremuoti,o fu nuovamente ristaurata, poichè nel volume terzo degli incartamenti relativi alla Chiesa Collegiata di Pontelandolfo, si conserva una lettera del fu Arciprete D. Giovanbattista Vignali del 15 ottobre 1701 diretta al Cardinale di Benevento,tra l’altro vi si legge: « Il decreto da farsi il nuovo » tetto alla Chiesa di S.Teodora stimo non si adempirà » fino alla primavera, onde per divozione di» questo popolo supplico V.a E. a far grazia concedere » licenza che si possa abilitare alla celebrazione».
Ed il rescritto al margine del fu Cardinale Orsini, poi Benedetto XIII fu il seguente: «Ci contentiamo… stante l’altare ad formam, non volendo più sopportare, che gli altari siano costrutti come le mangiatoie dei buoi». Dunque in quell’epoca la Chiesa esisteva, e la rovina della medesima avvenne posteriormente. Di fatti non sono molti anni, che in quelle rovine fu rinvenuta una statua di legno della Santa alta circa palmi cinque, che si conserva da D. Francesco Fusco, e quantunque rosa dal tempo, si vede però così rozzamente intagliata, che sembra piuttosto opera di pastori che di un artefice (Ora non più esiste perchè distrutta dall’incendio del 1861 ).
Opera dei secoli d’ignoranza! (I ruderi della Chiesa suddetta si trovano in un fondo degli eredi del fu Nicolangelo di Rubbo. Nella maggior parte coverti da ammassi di pietra. S’ignora con qual dritto. Il detto fondo fu acquistato dal fu D. Francesco Gugliotti, il quale spinto da una religiosa curiosità incominciò a far togliere quel muccliio di pietre, e fu scoverto il muro di mezzodì; ma preso da malattia e quindi da immatura morte restò tutto in abbandono. Speriamo che suo figlio Francesco Paolo continuasse lo sgombro per rinvenire qualche iscrizione).
Questo è quanto possiam dire del Casale suddetto, e sebbene la pianura sia quasi priva di abitazioni, non essendovene che cinque, pure nel dintorno, e nella parte superiore verso la collina al nord molte case rurali vi esistono.