Ricerca e elaborazione testi del Prof.Renato Rinaldi Da: “Monografia di Pontelandolfo” di Daniele Perugini – Campobasso 1878 – riedizione 1998
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Antichità. – Nell’agro di Pontelandolfo da per ogni dove si osservano avvanzi di antiche fabbriche distrutte: i rottami di mattoni, di embrici, di marmi frammisti ad ornati, e molte monete romane, ed idoli di bronzo, e di oro, e statue di greca scuola dimostrano che un popolo civile ed intelligente fuvvi ad abitare. Le contrade però che meritano considerazione maggiore sono le seguenti:
1.a Un miglio circa al nord dell’attuale Castello evvi un’amena e spaziosa pianura denominata Sorgenza (1) circondata d’ogni intorno da colline coverte di alberi, quivi da per ogni dove si ammirano ruderi di Romana costruzione, e come diremo ad un antico Pago si apparteneva.
(1) Come diremo nell’art. idrografia le acque che ora attraversano la detta pianura non esistevano, e sursero col tremuoto del 1349 dal che ne venne il nome Sorgenza, e le acque furono dette del Conte Carlo di Gambatesa, che allora ne era il feudatario. – Vedi articolo feudalità – La contrada poi limitrofa alle antiche fabbriche dette oggi Ciscara il suo vero nome era Piscarire dalle antiche peschiere che vi erano, e così veniva chiamata negli antichi atti.
Nel 1821 l’Intendente allora di questa Provincia Sig. Gammarota, sotto la direzione dell’Ingegnere Petrillo fece scavare in una parte di quelle antiche rovine nel fondo allora de’ Sig. Ungaro, oggi di D. Francesco Gugliotti nella superficie di circa dieci moggia legali; e sebbene lo scavo non fu regolare, pure si osservavano le strade lastricate: le abitazioni disposte in ordine da oriente ad occidente, ed una quantità di fontane, peschiere, e bagni lastricati e contornati di marmi di vario colore, e tra questi il rosso e verde antico, statuario e di Calabria, e le stanze adiacenti eran dipinte a fresco con vivi colori simili a quelli della distrutta Pompei . Tanto però si osservava alla profondità di palmi sei circa, perchè la terra discesa dalla soprastante collina aveva sepolti quegli avanzi, che in quello stato mostravano la loro grandezza.
Molte, per non dir quasi tutte le abitazioni avevano i pavimenti o di marmo variocolore o alla musaica formati di piccioli pezzi di pietra o di marmo bianco, o di colore diverso esprimenti fregi alla greca o geroglifici, ma il tutto fu vandalicamente sconvolto e distrutto, poichè sotto quei pavimenti, che costarono tanti sudori esistevano grandi mattoni, e sotto di essi correvano vari condotti di piombo, che in gran copia si rinvennero, come del pari molte corniole e cammei ed una quantità di monete di rame e di argento di tempi diversi e fino alla decadenza dell’Impero Romano; e tuttavia s’incontrano non solo monete, ma pezzi ancora di bronzo, di marmi, di vetri di due linee di doppiezza: varii idoletti di bronzo e due di oro, molte cantaia di condotti di piombo, e le fabbriche e quegli avanzi di belle pitture sui pezzi d’intonaco marmoreo vandalicamente distrutte ancor si osservano tra quelle macerie.
Le acque poi, che animavano quelle terme, e quelle fontane (Che vi siano state molte fontane si desume dagli ornati corrispondenti di teste, delfini ed uno di questi esiste ancora fabbricato su di un arco del Casino Mastropietro alla Cavarena, ed un altro, dai medesimi ridotto a mortaio! Ignoranza! E noi abbiam ritrovato una quantità di conchiglie di mare sparse per quei luoghi. In un pezzo di marmo rotto rinvenuto da Donato Ruggiero si leggeva: B. Frigor…… forse Balneum Frigorificum.) venivano dalla sommità dei monti per mezzo di un acquedotto lungo due miglia circa, di palmi due largo e circa tre alto (Tuttavia si osserva per molti tratti l’accennato acquedotto cavato nei monti di massa calcare, specialmente nel luogo ora detto Ariagilla. Forse ereditò questo nome da Area incisa corrotto poi col cambiamento della lingua, perchè quivi precisamente fu cavato nella viva pietra.), e quella sorgiva tuttavia esiste col nome di acqua S. Ermo, e forse prima dicevasi Acqua delle Terme, perchè quelle andava ad animare.
Nel 1831 dalla capitale ci conferimmo qui a diporto; sapemmo che nel fondo de’ sig. Mastropietro si era scoperto un semitorso di marmo di una statua colossale. Era buttato vicino al muro di un casino, ove l’ignoranza faceva insulti al greco scarpello. Era priva della testa, di un braccio, e di una gamba. Ne valutammo il pregio, e lo acquistammo per dargli un asilo. Condotto in Napoli, ed i primi artisti Cavalieri Angelini e Calì la ritennero per capolavoro, ed ora è nella sala dei capo d’opera da restaurarsi nel Real Museo Borbonico. Rappresenta un Apollo.
Un’altra statuetta elegante di marmo pario rappresentante una Diana del pari senza testa da noi conservavasi in Napoli con vari frammenti di altre statue, anche quivi ritrovate; ma il morbo del 1836, ci cancellò dalla mente e dal cuore le statue e le antichità. Furon perdute.
Per amor di brevità tralasciamo la descrizione di un pavimento del Tempio ove fu ritrovata la detta statua di Apollo, e che noi scovrimmo. Una grada a mezzodì di smisurati pezzi d’intaglio: una scala sotterranea, che ancora esiste sepolta. Sul pavimento vedevansi due colonne di mattoni circolari tra loro aderenti ancora frammiste ad avanzi d’incendio, altre stanze poco lungi con pavimenti alla musaica di vario colore, ed uno ultimamente riscoverto da D. Giuseppe Paoletti, e che facemmo ricoprire; e finalmente un altro, che nel fondo di Nicolangelo di Rubbo esisteva, esprimente un guerriero a cavallo, e che pensammo destinare pel Museo Reale; ma non fummo a tempo, poichè l’affittatore del fondo, e la moglie del suddetto di Rubbo continuando lo scavo di un grande condotto di piombo nello scorso anno, fracassarono il musaico, sotto del quale diramavasi, e per nove cantai a di quel metallo distrussero il più bello monumento che forse vi esisteva. Spedimmo subito una persona in Cerreto per trascriverci le lettere che erano in un acquedotto; ma il pentolaio l’aveva macinato! (Memoria mea, dice Gioviano Pontano, multis in locis inter Bojanas et Potuleanas ruinas Fistulae plumbae magnae crassitudinis inventae in quibus-Claudii Augusti nomen inscriptum erat.)
Poco lungi da questo luogo fu scoverto un sepolcro, ove trovossi l’intera armatura di un gueniero ossidata. Un vaso lacrimale di vetro: talune monete corrose, ed una scure, simile a quella dei Littori, lunga un palmo e larga due decimi; e caduta la parte ossidata presenta una fortissima tempra in fino acciaio, se pur acciaio lo sia, che conserviamo, ed è del peso di un rotolo.
Ad oriente e ponente di questo vasto spazio gremito di ruderi s’incontrano molti sepolcri con ischeletri i vantaggiosa grandezza. Monete, ornamenti di rame, vasi rozzi e lucerne, ed in molti de’ chiodi si rinvengono. In uno scoverto alla nostra presenza vi era una bella moneta dell’Imperatore Onorio, che conserviamo. In una parola non si cava quella tena senza ritrovare avanzi di antichità rovinate dal fuoco e dalla furia di barbare nazioni.
Mezzo miglio circa dal descritto luogo ad oriente in un antico quadrivio, che mena a Sepino ed a Benevento: a Circello, ov’era Bebio, ed a Telese, chiamato attualmente Maio ( Ereditò forse questo nome quella contrada dal perchè appartenevasi ad un tal Majonis, e che il Principe Arechi donò a S. Sofia, ove fu costruita una chiesa, con Monistero ed altre fabbriche di cui esistono i ruderi, oggi detto S. Ianni, e molte monete di oro, argento e rame; ed anche una campana di bronzo. Quella tenuta, ora in tenimento di Morcone, passò in commenda come gli altri beni. (Vedi U gh. VoI. 8. in frn. Chron. S. Sophiae, et Col. 203 ib.), osservammo un ammasso di picciole pietre lavorate a quadrati perfetti e molti rottami di embrici, marmi e mattoni. La curiosità ci spinse a farIe allontanare.
Al mezzodì comparve un muro reticolato di palmi trentatre: a ponente un semicerchio del diametro di palmi dieci, avente ai lati due angoli di palmi sette ciascuno, e quindi presentava un parallelogramma di palmi 33 per 24. Anni dietro fu quivi scavata una colonna di palmi sei per due di diametro di pietra calcare, e d’intorno s’incontrano sepolcri, e varii Disona (Occorreva il permesso del Pontefice per simili sepolcri, come leggesi presso il Grutero pago 751 n. 11.), ma di scheletri colossali, che non facemmo toccare. Molti pezzi di marmo di vario colore, e di bronzo appartenenti a statua del medesimo metallo ritrovammo; ma nel febbraio del 1856 un tal Giuseppe d’Occhio Panfila nel lavorare un fondo inferiore a breve distanza ritrovò una Clave di bronzo di palmi tre e del diametro di 3/10 compensato, rotto in tre pezzi a colpi di martello, e varii altri frammenti della pelle del Leone, un pezzo con la testa del serpente, ed un dado con quattro penne tutte di bronzo, che ad una statua di Ercole sono relative.
In continuazione del suddescritto luogo evvi un’altra spaziosa pianura con avanzi di antiche fabbriche, e chiamasi quel luogo S. Janni; ma quantunque avesse offerto monete di oro, argento e rame tanto romane, che longobarde e normanne, pure niuna iscrizione.
Finalmente per quello che dovremo dire non si può tacere l’altro luogo così detto Castel1one o Torre al sud-est della Sorgenza suddetta in mezzo alle contrade Lanzate-Maleparajuliani, che nel1e scritture più antiche vennero così chiamate. Oltre di tanti antichi ruderi che colà si osservano, e pezzi lavorati di smisurata mole vi fu scoverto un sepolcro in cui eravi un estinto guerriero con elmo, corazza, ed armi rose dalla ruggine. Vi ‘erano varii anelli di bronzo di 1/4 di palmo, de’ quali uno si conserva; ed una collana di ambra ligata con fili di rame situati in un vaso di rame vicino ai piedi.
Nell’interno dei ruderi s’incontrano dei pezzi d’intonaco e fregi con pitture a fresco simili a quelle descritte: in più luoghi si osservano ruderi di antiche torri.
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Iscrizioni. – In mezzo a tante antiche rovine non abbiamo che poche iscrizioni, e bisogna ritenere che i nostri rozzi antenati le avessero distrutte.
Tra le carte di nostra famiglia ritroviamo, che in esecuzione del Real dispaccio del 20 dicembre 1794 il fu nostro Prozio D. Gaetano Antonio Perugini per incarico ricevuto inviava alla Curia Arcivescovile di Benevento un rapporto monografico, e tra l’altro ivi si legge sotto l’art. Sorgenza da noi descritto.
«In un altro luogo denominato la Sorgenza apparisce un « prezioso avanzo di antichità ricoverto di pietre e di terreno. « Si ammirano, scavandosi, degli acquedotti di piombo e de’ « sepolcri, che racchiudono gli scheletri degli antichi trapassati. « Su di uno di essi leggesi un epitaffio:
CORELLIVS . ET . CORELLIA
CORELLII . FILII .
HIC IACENT .
Ma questa iscrizione non esiste più come le tante altre di cui vi è tradizione.
Nella stessa contrada Sorgenza in un pezzo di pietra calcare accosto alle mura di un casino di D. Domenicantonio e D. Giov. Perugini si legge l’altra seguente iscrizione, che fu pubblicata dal P. M. Garrucci nel bullettino Napoletano del L° maggio 1847, n. 79 pag. 71.
- M.
AVRELIO
CALLISTO Q
VI VIXIT AN
NIS XXXII GAR GONIA TIGRI S COIVGI BEN
…….I.
Due altre iscrizioni in marmo furono ritrovate nel 1857 nel fondo de’ sig. Mastropietro oggi di Paoletti, che il colono portò a D. Luigi Colesanti di Morcone da cui son conservate.
La seguente fu pubblicata dal lodato P. M. Garrucci nei tre sepolcri scoverti nelle catacombe di Pretestato:
PRIMENV TRI
TEFECERVNT PRI
MIO ET VENERI
AQV AN XVI M IL (1)
(1) Gli errori grammaticali e di esecuzione ci obbligarono a ricorrere al nostro amico Cav. D. Giulio Minervini, il quale gentilmente ci lesse:
Primae Nutritae
Fecerunt Primio e Veneria
Quae vixit an:
Nell’altra si legge:
DM
E CATENI .
DELPHICVS
COIVX FE
CIT
- M. (questa iscrizione è contornata di sei cuori)
Altre antiche iscrizioni relative alle distrutte fabbriche non esistono essendosi non curate; e noi compiangiamo quella ritrovata nel 1852 da Biagio Perugini Simone in una pietra alta palmi sette, quadra palmi due, ove cinque linee di lettere maiuscole erano incise. Appena ne avemmo notizia ci recammo colà col farmacista D. Saverio Golino, ma la colonna non era più. In minuto brecciame poco prima erasi ridotta per covertura della sannitica ivi prossima. Con ragione supponghiamo, che fosse stata questa la colonna dei termini e superficie dei predii assegnati ai coloni del Pago, come qui appresso diremo.
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