Libia, Italia e migranti
È tutta questione di… disonestà.
Dunque, ricapitoliamo e, stavolta, cerchiamo di non raccontarcela, ma di raccontarla.
Anno 2008. Berlusconi e Gheddafi firmano il famoso trattato di “Amicizia, partenariato e cooperazione”, in virtù del quale, per la modica cifra di 5 miliardi di dollari, l’Italia compra dalla Libia maggiori quantità di gas e petrolio. Inoltre, sempre l’Italia compra il pattugliamento libico della costa, per impedire ai migranti di partire in direzione della nostra penisola. Scontata è la levata di scudi, da parte delle organizzazioni umanitarie dal momento che, a loro dire, le autorità libiche già detenevano gli aspiranti migranti sottoponendoli a tortura.
Anno 2012. Gheddafi è morto, Berlusconi è fuori dai giochi. Cambiano i suonatori ma la musica è la stessa, forse peggiore. Con un accordo segreto del 3 aprile, il nostro ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ed il suo omologo libico Fawzi Altaher Abdulati confermano quanto stabilito nel trattato del 2008. Anzi, lo rafforzano, con la previsione del controllo delle frontiere meridionali della Libia e l’addestramento delle forze di polizia di frontiera locali. Giusto per essere certi di avere più carne umana da infilare nei famigerati centri di accoglienza libici.
Anno 2017. Al nostro ministero dell’Interno abbiamo Minniti, padre morale e fattuale dell’accordo siglato con il Primo ministro libico Fayez al-Sarraj e con il quale, riconfermando i precedenti accordi, l’Italia si impegna a sostenere le autorità libiche locali nel pattugliamento e nella chiusura del confine con il Niger. È, infatti da qui, che arrivano i disperati dell’Africa sub sahariana. L’Italia firma col sangue (è proprio il caso di dirlo) questo accordo. E fornisce, in regalo alla Libia, quattro motovedette per il controllo di 600 km di costa, ed un gruppo di nostri militari della Marina per l’addestramento di 200 unità libiche tra ufficiali e guardacoste.
Oggi, il ministro dell’Interno Italiano è un altro. Vuole porre il problema degli sbarchi in Italia all’attenzione dell’Europa, perché chiede cooperazione nella gestione del problema. È giusto, sano e politicamente rilevante. Fa bene ad insistere perché l’Europa si rimbocchi le maniche. Ma lo fa, secondo me, con un metodo sbagliato, perché urla di chiudere i porti con un frasario da campagna elettorale (nel 2019 ci saranno le elezioni europee), con il quale scalda ancora di più gli animi degli italiani, esasperati da una crisi economica di cui non si vede la fine.
Lasciare vite umane in balìa del mare per settimane non è uno scherzo, specie quando in zona ci sono le navi libiche, che proprio noi italiani abbiamo addestrato tanto bene, a pattugliare. Il boato che si fa intorno alla chiusura dei porti è propaganda, perché Minniti ha ragione, non siamo più in emergenza sbarchi.
Ah! Quanto si bea questo ex ministro quando dice che dal 2017 gli sbarchi sono diminuiti dell’80%, per effetto del suo accordo con la Libia. Vuole il merito ? Riconosciamoglielo, è giusto. E’ tutto suo.
Ma col merito della diminuzione degli sbarchi deve prendersi anche tutto il peso di coscienza sul “come” gli sbarchi sono diminuiti, ovvero lasciando i migranti a pregare di morire prima che una sola guardia libica possa toccarli. Se una di loro arrivasse a farlo, la vita di qualsiasi essere umano diventa una interminabile serie di giorni dentro un qualunque centro di accoglienza, creati con la cooperazione italiana e dove si consumano sevizie, denutrizione, violenze sessuali. Dove si ammassano corpi senza la disponibilità di servizi igienici e senza distinzione tra uomini, donne e persino bambini.
L’Alto Commissario ONU per i diritti umani Zeid Raad Al Hussein ha dichiarato che “(…) la politica Ue di assistere le autorità libiche nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti prigioni in Libia è disumana. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”.
C’è un fatto che tutti i politici europei conoscono benissimo e non ci dicono: la Libia non è certamente firmataria della Dichiarazione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (detta anche CEDU) del 1950. Ma l’Italia sì, e ne ha rafforzato il contenuto, con le famose sentenze gemelle nn.348 e 349, pronunciate dalla Corte Costituzionale. E l’Italia non può non tenere conto che ogni accordo stipulato con la Libia dal 2008 al 2017 viola la CEDU.
Dire, in ogni canale televisivo, che gli sbarchi in Italia sono diminuiti dell’80% è propagandistico, tanto quanto dire che bisogna trattare con la Libia per risolvere il problema immigrazione, perché la Libia è un luogo di tortura.
Per chi non lo sapesse, il nostro Paese è già stato condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo nel 2012, nel famoso caso “Hirsi Jamaa e altri contro Italia”. La Corte ha dichiarato che l’espulsione dall’Italia di naufraghi verso la Libia vìola il divieto di tortura, i trattamenti inumani o degradanti (Art. 3 CEDU), nonché le espulsioni collettive (Protocollo n. 4), e la mancata possibilità di richiedere la protezione internazionale (Art. 13 CEDU).
Sarebbe ora che tutti i nostri politici, di qualunque schieramento, prendessero atto che tra il 2008 ed il 2017 ogni forza politica al governo, compresa in tutto l’arco parlamentare, ha trattato, pagando, con un branco carnefici.
Possiamo ripartire da qui con onestà intellettuale e trovare alternative diverse da quelle di propaganda? E lo scrivo come uomo di scienza, ancora prima di dichiararmi cristiano. La verità umana sulle cose è questione di coscienza, soprattutto, e la nostra coscienza è legata alla capacità di (prestate) prestare attenzione alle cose che noi stessi giudichiamo importanti.
Quanto dunque è importante la vita di tutti?
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È stato docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà; vice-segretario generale della CCLPW , per la Campagna Internazione per la Nuova Carta Mondiale dell’educazione (UNEDUCH), ONG presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Parlamento Europeo, e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
Scrivi una mail a Alessandro Bertirotti