Sangue e barbarie I proconsoll piemontesi

RID COPRicerca e elaborazione testi del Prof.Renato Rinaldi Da: “Venticinque anni di Roma Capitale (1815-1895) ” do Antonmaria Bonetti Roma 1895
PAG.234-241

Sangue e barbarie – I proconsoll piemontesi
Nella, prefazione che il conte Carlo Cadorna mandava innanzi al suo opuscolo (Tipografia Botta) sui fatti di Novara del 1849 si legge il seguente passo: “E’la storia del popolo che perciò, in poco più di 20 anni, ha compiuto, e con ammirabile concordia, e senza versare una goccia di sangue cittadino, uno dei più grandi
rivolgimenti nazionali di cui si abbia memoria”.
il senatore Iacini in un suo libro -Pensieri sulla politica italiana -(Firenze, Civelli, m1889) a pag.13, scriveva :
“Il crollo degli antichi Stati (italiani) avvenuto da sè, senza dar luogo alla minima resistenza, aveva prodotto un mucchio di rovine”.
Se io non avessi davanti a me l’opuscolo e il libro crederei di sognare. E dire che sono parole di due vecchi, che videro svolgersi sotto gli occhi propri 60 e più anni di storia italiana; di due uomini che furono sempre addentro alle segrete ,cose!
Senza resistenza ! – Ma, e le difese di Pesaro, Spoleto, Foligno, Perugia ed Ancona; Civitella del Tronto, Messina, Capua e Gaeta; di Viterbo, di Monterotondo, di Civita Castellana e di Roma, che cosa furono?

E le battaglie di Castelfidardo, di Calatafimi, del Volturno e del Garigliano, e i combattimenti di Bagnorea, Ischia, Farnese, Valentano, Grotta S. Lorenzo,
Montelibretti, Nerola, Vallecorsa, Monte S. Giovanni, Subiaco, Borghetto, Canino, Acquapendente e Mentana?
Non si sparse una goccia di sangue italiano! – Ma nelle- repressioni di Savoia, e nei rivolgimenti del 1821, del 1831, del 1843 ecc. quale sangue scorse, e per mano di chi? -Sangue intediano per opera d’Italiani! Nei bombardamenti di Genova e di Palermo non fu sparso sangue italiano? Non era Italia o il sangue versato a rivi nel 1849 a Bologna, ad Ancona e nella carneficina di S. Calisto a Roma? E Pellegrino Rossi e mons.Palma non erano essi italiani ?
E il povero colonnello Anviti e le altre vittime di Parma nel 1859 ? E gli ufficiali, agenti ed impiegati pontifici sgozzati in Romagna pel patriottico scopo di poter dire che le Romagna odiavano il governo pontificio, non erano essi italiani? E nella mina di Serristori (1867) non perirono 27 zuavi, quasi tutti romani ed alcuni “borghesi?
E non erano italiani in tutto o in parte i presidiari pontifici di Pesaro, Foligno, Spoleto, Perugia, Città di Castello e Ancona nel 1860? E il battaglione cacciatori, decimato nell’assalto delle Crocette e Castelfidardo, non era esso tutto composto d’italiani, anzi in gran parte di romani? E l’esercito delle Due Sicilie nella ampagna del 1860-61 non era esso composto tutto d’italiani? E i DICIASSETTEMILA Napoletani, fucilati da Fumel, dal Pinelli, dal Cialdini ecc., rei soltanto di essere fedeli al loro re Francesco II, non erano essi italiani? E i paesi di Pontalandolfo e Casalduni, incendiati cogli abitanti dentro (respintivi a fucilate e baionet tate), non erano essi paesi italiani e da italiani abitati? E tra i soldati pontifici morti nel 1867 e 1870 non c’eran forse molti italiani?
E non fu sangue italiano qnello sparso nelle giornate di Torino, pel trasporto della capitale a Firenze? E il sangue versato in Crimea, senza necessità, ma soltanto, per preparare l’Italia, non era esso sangue italiano?
Ma questi benedetti autori dell’Italia com’è oggi, scrivendo queste cose (non so se più temerarie o piu. sore) dovrebbero proprio credere che quanti son nati nella. seconda metà del secolo, siano una caterva di cretini, di citruI1i, o d’analfabeti; che non abbiano mai nè visto, nè udito, nè letto, nè capito nulla?
E’ cosa proprio da arrossire per loro !

Ma cominciamo l’elenco delle vittime della rivoluzione, inaugurandolo oon una piccola raccolta di ordini del giorno e di editti dei proconsoli sardi, sguinzagliati a liberare l’Italia Centrale e la Meridionale da quei tiranni che furono Pio IX e Francesco II.
Questa raccolta di feroci documenti illustrano le ferocissime e turpissime scene che ne furono la conseguenza.
Ilgenerale Fanti nel 1860, prima d’invadere le Marche, emanava il seguente ordine del giorno:
Bande straniere, convenute da ogni parte d’Europa, sul suolo dell’Umbria e delle Marche, vi piantarono lo stendardo mentito di una religione che beffeggiano. Senza patria e senza tetto, essi provocano ed insultano le popolazioni, onde averne pretesto per padroneggiarle. Un tale martirio deve cessare, ed una tale tracotanza ha da comprimersi portando il soccorso delle nostre armi a quei figli sventurati d’Italia, i quali sperano indarno giustizia e pietà dal loro Governo. Questa missione che il re Vittorio Emanuele ci confida, noi compiremo; e sappia l’Europa che l’Italia non è più il convegno ed il trionfo del più audace e fortunato avventuriere. – M. Fanti.

E il Cialdini, luogotenente del Fanti:
Soldati, vi conduco contro una masnada di briachi stranieri, che sete d’oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi. Combattete, disperdete inesorabilmente quei compri sicarii, e per mano vostra sentano l’ira di un popolo, che vuole la sua nazionalità e indipendenza. Soldati ! L’inulta Perugia domanda vendetta e benchè tarda, l’avrà, – Enrico Cialdini.

Queste due barbariche gride fecero stordire e fremere tutto il mondo civile.
Lo stesso Cialdini prima di partire per la guerra del Veneto, emanò un proclama nel quale dichiarava di confidare nel diritto della forza e nella opinione del cannone. Questo proclama fu inciso in marmo e murato nel palazzo Albergati a Bologna, già residenza del Cialdini. Ma, dopo Custoza, la lapide scomparve di nottetempo e per molti anni (e forse ancora) se ne vide l’impronta sulla facciata del detto palazzo.
E’ tristamente celebre la seguente lettera del Cialdini al comandante la real cittadella di Messina, maresciallo Fergola :
Debbo dirle 1. Che essendo Vittorio Emanuele proclamato re d’Italia dal parlamento,la condotta di lei sarà considerata ribellione;
2. Per consegueanza non darò nè a lei nè alla guarnigione nessuna capitolazione, e mi si renderanno a discrezione;
3. Se rarà fuoco sulla città, io farò fucilare tanti ufficiali e soldati vostri quanti saranno morti dentro Messina;
4. I beni di lei e degli uffiziali saranno confiscati, per rifare i danni ai cittadinii;
5. In ultimo consegnerò lei e i suoi al popolo di Messina. Ho costume di tenere la parola. Tra poco sarete nelle mie mani.
Ora faccia come crede; io non riconoscerò nella S. V. un militare, ma un vile assassin o, e per tale il terrà l’Europa intera.

Il secolo XIX, sclama lo storico De Sivo, ha visto pur questa lettera, uno dicentesi capitano d’Italia, entrato in guerra senza dichiarazione di guerra, e però degno di morte per legge d’intimazione, appella vile assassino un onorato soldato che difende la sua bandiera, potente per tant’ arme si vanta tener parola contro il debole e mentre prepara le offese della città proibisce la difesa degli avversari e per giunta promette dare nelle mani del popolaccio generali e soldati pugnanti per sacro dovere, ed osa appellarsene all’Europa.
Era tartaro o era cafro?
Scriveva il Vero Guelfo del 15-16 Maggio 1890, dopo aver riportato questo infame documento:
Facciamo grazia ai lettori dei Proclami di Galateri, di Quintini e di De Virgilio.
Noteremo che il colonnello Famel, venuto negli Abruzzi per reprimere il brigantaggio, appena installatosi nella propria sede, telegrafò al governo, ed i giornali patriottici, consolatissimi, riproducono:

“Sono arrivato. Faccio fucilare briganti e non briganti. Ho già cominciato”.

Lo stesso giornale continua :
Non possiamo astenerci dal ricordare ai lettori il proclama del famoso Pinelli, il quale dopo le fucilazioni immediate ordinate ed eseguite, non vedeva quietare le provincie del confine.
Egli postosi sui monti ascolani cannoneggiava i reazionerii, saccheggiava ed ardeva chiese e cappelle, nè a men di 14 ville diè fuoco con saccheggi e rapine, vendendo all’incanto arredi sacri e vesti sacerdotali a vil prezzo. Egli era stato altra volta messo in disponibilità; ma avvenuto dall’Alpi al Lilibeo il gran risveglio di patriottismo, l’avean mandato tra noi per redimere l’Italia.
Egli in data del 3 febbraio pubblica ai suoi soldati il bando seguente:
Un branco di quella progenie di ladroni ancor s’annida su i monti: snidateli, siate inesorabili come il destino. Contro nemici tali, la pietà è delitto.
Sono i prezzolati scherani del Vicario non di Cristo, ma di Satana.
Noi li annienteremo.
Schiacceremo il sacerdotale vampiro, che con sue sozze labbia, succhia da secoli il sangue della madre nostra. Purificheremo col ferro e col fuoco le regioni  infestate dall’immonda sua bava e da quelle ceneri sorgerà più rigogliosa la libertà.
Questo proclama fu mandato all’Armonia di Torino, giornale cattolico. IL Pinelli sfidava quel giornale a pubblicare il suo bando; e il Popolo d’Italia, giornale democratico, lo levò a cielo dichiarandolo generoso proclama.
Ma la stampa europea anecorchè liberale ne menò grande scalpore; talchè il Governo con decreto del 10 febbraio dovè riporre in disponibilità l’audace. Egli però stette altri giorni a comandare; poi si ritrasse ed a mezzo aprile fu richiamato a far peggio.
L’Osservatore Romano del 24 settembre 1861 avea comunicazione del seguente editto:
Montesantangelo 13 settembre 1861.
“Tutti i proprietarii, fittaiuoli, pastori e campagnuoli abbandoneranno le loro proprietà, i loro animali, le loro campagne, le loro industrie, e si ritireranno fra 24 ore dalla pubblicazione del bando ne’paesi ove hanno domicilio.
“In caso di disubbidienza saranno arrestati e tradotti in carcere.
“Maggiore MARTINI
Comandante il Gargano”

Dopo il saracinesco incendio di Pontelandolfo e Casalduni (del quale parlerò più oltre) il Cialdini con un cinismo ed una faccia degna di Attila, di Tamerlano, di Gengiskan, di Barbarossa e Murawieff, telegrafava: “Iermattina all’alba giustizia fu fatta di Pontelandolfo e Casalduni”.
Finalmente mi piace consegnare alla nostra istoria il seguente decreto (ratificato poi dal governo di Vittorio Emanuele II), in favore della famiglia del regicida Agesilao Milano, che si leggeva nel Giornale Ufficiale di Napoli del 28 ottobre 1860:
Italia e Vittorio Emanuele. – Il dittatore dell’Italia meridionale, riguardando come sacra pel paese la memoria di Agesilao Milano, il quale con un eroismo senza pari, ai è immolato sull’altare della patria per la liberazione dal tiranno (Il munifico e buon re Ferdinando II, che il Milano tentò asassinare con una baionettata. Da Gaeta protestò diplomaticamente la Maestà di Francesco II con una nota alle potenze) che lo opprimeva.
Decreta:
Art. 1. Una pensione di 30 ducati per mese è accordata vita durante, a Maddalena Russo, madre del Milano,a datare dal 1.ottobre prossimo.
Art. 2. E’ accordata a ciascuna sorella del Milano una dote di ducati 2 mila. Questa somma sarà versata nei fondi pubblici a titolo di dote inalienabile, e consegnata in nome delle dette sorelle nel corrente mese di ottobre.
Art. 3. Il ministro delle finanze è incaricato della esecuzione del presente decreto.
Napoli, 25 settembre 1860.
GARIBALDI.

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