La censura di Facebook in Germania
di Stefan Frank 2 giugno 2018
Pezzo in lingua originale inglese: Facebook’s Censorship in Germany
Traduzioni di Angelita La Spada
Marlene Weise si è vista bloccare per 30 giorni l’account di Facebook, per aver pubblicato due foto: una mostrava le atlete della nazionale femminile iraniana di pallavolo degli anni Settanta, con magliette e pantaloncini; l’altra foto immortalava le giocatrici dell’attuale squadra nazionale di pallavolo femminile iraniana, con tanto di hijab in testa e con gambe e braccia rigorosamente coperte.
“Un utente di Facebook ligio alla legge – e delle norme contrattuali di Fb – deve accettare il fatto che aziende come Facebook e Twitter rimuovano i contenuti o li vietino? La sentenza è un’importante vittoria intermedia della libertà di parola.” – Joachim Nikolaus Steinhöfel, avvocato e attivista anticensura.
Un tribunale di Berlino ha emesso un’ordinanza restrittiva provvisoria contro Facebook. Sotto la minaccia di una multa di 250 mila euro o di una pena detentiva, Fb è stata costretta a ripristinare il commento di un utente che era stato rimosso. Inoltre, la sentenza ha vietato all’azienda di bannare l’utente a causa di questo commento.
È la prima volta che un tribunale tedesco si occupa delle conseguenze della legge tedesca che ha introdotto la censura sulle piattaforme dei social media, entrata in vigore il 1° ottobre 2017. La legge stabilisce che le aziende di social media devono rimuovere o bloccare gli illeciti penali “evidenti”, come la calunnia, l’ingiuria, la diffamazione o l’istigazione all’odio, entro 24 ore dalla ricezione di un reclamo da parte di un utente.
Come rilevato da molti critici, questa censura di Stato rende la libertà di parola soggetta alle decisioni arbitrarie di entità commerciali che potrebbero censurare più dello stretto necessario, anziché rischiare pesanti multe fino a 50 milioni di euro. Secondo l’articolo di un quotidiano, i censori di Facebook hanno solo dieci secondi per decidere se rimuovere o meno un commento.
Il caso di cui il tribunale di Berlino ha dovuto occuparsi era quello di un articolo postato dal quotidiano svizzero Basler Zeitung sulla sua pagina Facebook con il titolo “Viktor Orban parla di ‘invasione’ musulmana”. Il trafiletto diceva:
“Viktor Orban si chiede come in un paese come la Germania (…) il caos, l’anarchia e l’attraversamento illegale dei confini possano essere celebrati come qualcosa di buono.”
L’utente di Fb, Gabor B., ha postato il seguente commento:
“I tedeschi stanno diventando sempre più stupidi. Non c’è da stupirsi, dal momento che i media di sinistra li bombardano quotidianamente di fake news sui ‘lavoratori qualificati’, sul tasso di disoccupazione in calo o su Trump”.
Questo commento ha ricevuto rapidamente il maggior numero di “Mi piace”, fino a quando Facebook non l’ha rimosso, a causa di una presunta violazione degli “standard della comunità” di Fb. Inoltre, Gabor B. è stato bannato da Facebook per 30 giorni.
“Si può condividere l’opinione del commentatore o considerarla polemica o non obiettiva”, ha detto al Gatestone Joachim Nikolaus Steinhöfel, legale di Gabor B. “La cosa importante è che il commento beneficia del diritto alla libertà di espressione”, ha dichiarato Steinhöfel, il quale prima di recarsi in tribunale ha aggiunto che il suo studio legale ha inviato a Facebook un monito scritto.
“Facebook ha ceduto parzialmente e ha revocato il divieto, ma non ha ripristinato il commento. Gli avvocati di Fb ci hanno comunicato che ‘da un esame accurato è risultato che gli standard della comunità sono stati applicati correttamente e che pertanto il contenuto non poteva essere ripristinato’ – una valutazione questa che non possiamo condividere”.
Steinhöfel, oltre a essere un avvocato, è un noto giornalista, un blogger e un attivista anti-censura. Gestisce un sito web dove ha documentato innumerevoli casi in cui Facebook ha rimosso i contenuti o ha bannato gli utenti, e talvolta entrambe le cose. Sembra che Fb banni spesso gli utenti a causa dei commenti critici sull’immigrazione di massa o su certi aspetti della cultura islamica. Ad esempio, nel marzo scorso, Frank Bormann si è visto bloccare l’account di Facebook dopo che aveva scritto argutamente: “Gli uomini musulmani prendono una seconda moglie. Per finanziare le loro vite, i tedeschi fanno un secondo lavoro”.
A volte, Facebook sembra obiettare anche alle critiche implicite relative alle organizzazioni terroristiche. Lo scorso aprile, Christian Horst è stato bannato per tre giorni dopo che aveva postato una foto che ritraeva i membri dell’organizzazione terroristica palestinese Fronte Democratico per la liberazione della Palestina (FDLP) mentre facevano il saluto nazista.
Qualche volta, gli utente vengono bannati senza alcun motivo apparente. Nel marzo scorso, Marlene Weise si è vista bloccare per 30 giorni l’account di Facebook, per aver pubblicato due foto: una mostrava le atlete della nazionale femminile iraniana di pallavolo degli anni Settanta con magliette e pantaloncini; l’altra foto immortalava le giocatrici dell’attuale squadra nazionale di pallavolo femminile iraniana, con tanto di hijab in testa e con gambe e braccia rigorosamente coperte.
Steinhöfel spiega che i tribunali in genere non motivano un’ordinanza restrittiva. Ma la corte potrebbe accogliere la richiesta se il contenuto rimosso in questione fosse ritenuto pur sempre lecito e legittimo:
“Si tratta di una decisione di estrema importanza ed è la prima sentenza di questo tipo in Germania. (…) Alla fine, gli utenti possono agire contro i comportamenti commerciali poco trasparenti di una società che si assume le proprie responsabilità come se si trattasse di biciclette di seconda mano”.
Steinhöfel afferma che, data la posizione dominante di Facebook sul mercato, l’esito di questa battaglia legale avrà forti ripercussioni sull’espressione e sullo scambio di opinioni sui social media: “Un utente di Facebook ligio alla legge – e delle norme contrattuali di Fb – deve accettare il fatto che aziende come Facebook e Twitter rimuovano i contenuti o li vietino? La sentenza è un’importante vittoria intermedia della libertà di parola”.
Stefan Frank è un giornalista indipendente e scrittore. Vive in Germania.