“Chi salverà le rose”, l’amore omosessuale nella terza età, il film di Cesare Furesi
Alessandro Bertirotti 29 maggio 2018
“Continuerò ad amarti, anche da lontano perché mi piace l’amore, e l’amore è discreto”.
Non credo di aver mai sentito una dichiarazione più ricca ed intensa di questa. Ci dice che l’amore è il legame che prescinde lo spazio, non risponde alla logica delle lancette di un orologio, è contemplazione di se stessi. Soprattutto, l’amore è il distillato della tendenza umana al legame tra mente e spirito.
In “Chi salverà le rose?”, il regista e sceneggiatore Cesare Furesi ha il coraggio di scandagliare le forme che l’amore assume. Furesi, parlando del suo film, dice che tutti noi siamo un po’ rose con petali e spine. Ma la cosa straordinaria è che ognuno di noi ha un tronco e, se questo è robusto, allora diventa facile collegare il tronco al petalo.
Una affermazione verissima e la pellicola è una lunga carrellata di tronchi uniti a petali.
Delicata e virile nello stesso tempo – come la visione delle Ninfee di Monet – è la descrizione della forma di amore più difficile da affrontare (specialmente in Italia): quella dell’amore omosessuale nella terza età. Musica strepitosa, appassionata ed appassionante, nella cornice di quella Sardegna che possiamo ammirare e desiderare per sempre, con questo spirito incontriamo Alghero.
La nostra società rimuove dalla vita quotidiana di tutti noi l’amore in età avanzata. Quasi che amarsi sia una prerogativa della gioventù e della maturità, mentre la senilità dovrebbe essere solo il tempo dell’acquietamento, non solo dei sensi ma anche delle emozioni.
Non solo.
Sempre noi, tutti assieme, concepiamo (anche quando non lo ammettiamo pubblicamente, facendo finta di essere radical chic) l’amore omosessuale come manifestazione di deviazione dal “normale”. Nella migliore delle ipotesi, è pensato come una stravaganza irreversibile, se non addirittura un vizio. E la legge sulle unioni civili è una goccia nel mare dell’ignoranza. Certo, servirà a qualche cosa, specialmente per i nostri nipoti.
Cesare Furesi ci restituisce un’idea dell’amore omosessuale come se non avesse connotazione specifica, ma fosse espressione di un amore assoluto, senza tempo e luogo, storia e fine. Un amore che vive d’eterno, perché l’amore è eterno, anche quando finisce. Colpisce il fatto che, per tutta la durata del film, tra Giulio (Carlo delle Piane) e Claudio (Lando Buzzanca) non v’è nessun contatto fisico, specialmente in questo mondo in cui spesso la prurigine sessuale diventa l’aspetto trainante per rendere un film appetibile. Non vi è un fraseggio a sfondo neppur vagamente sessuale, e neppure dialoghi tipicamente d’amore.
Eppure, la completa assenza di atteggiamenti amorosi e la totale astrazione del sentimento rendono vera e concreta la potenza dell’amore tra Giulio e Claudio. Un’operazione di altissima poesia, quella di Furesi. E così, assistiamo ad un sentimento di attenzione verso la sensibilità l’uno dell’altro, di protezione dei tratti fondamentali delle reciproche vite. Entrambi sono cocciuti nella difesa dei propri vissuti, e lo fanno con leggerezza, sorridendo, tra le lacrime di un amore raffinatissimo.
Il tratto veramente “scandaloso” di questo film sta non nell’aver trattato l’omosessualità nella terza età, ma nell’aver parlato dell’amore come necessità umana priva di classificazione, puro per se stesso, atemporale e virilmente compenetrato tra due persone.
Ma non è tutto qui.
La pellicola ci regala un significativo panorama sull’amore filiale. Non quello della pace in famiglia, dopo anni di difficoltà vissuti con il padre (Carlo Delle Piane). D’altro canto, il lieto fine è un lusso sopravvalutato.
Furesi parla dell’amore filiale malinconico, quello che si prova quando è troppo tardi e ci si accorge che un genitore è, prima di tutto, una persona. La nostra prima persona, quella che incontriamo subito. Che è lì, prima di noi. Ad attenderci, anche in silenzio. E rimane lì, fino a quando andandosene entrerà nella nostra memoria, come figli e futuri genitori. E, come ogni persona, anche un papà ha una tolleranza limitata, una gerarchia di priorità che, forse, si è formata nel corso del tempo, col lume dell’attesa e della speranza.
È un film che consiglio a tutti voi, perché è una vera e propria esperienza di vita, profonda, autentica e sincera. È un film sulla scoperta di energie che, talvolta, non sappiamo di avere. E ci racconta una progettualità che non crediamo di poter sopportare. Tutto questo è amore. Amore da parte di un forza provvidenziale che opera misteriosamente e benevolmente, dando a tutti noi l’opportunità di imprimere un senso profondo alle cose.
Grazie al regista, agli autori e al produttore.
Senza un credo così forte la nostra specie non potrebbe sopravvivere a lungo.
E l’amore senza sesso è l’unica forza motrice, da sempre.