Addio ad Hawking teorico del caos: solcava l’universo sulla sedia a rotelle
Il suo corpo non è stato un limite, la sua vita ci ha dimostrato che siamo fatti per pensare
Antonino Zichichi – Gio, 15/03/2018
Stephen W. Hawking è la prova lampante di cosa è veramente questa forma di materia vivente alla quale noi apparteniamo. Detto in termini telegrafici, ciascuno di noi è una macchina elettromagnetica, con tutte le sue strutture fatte di atomi e molecole. Nella macchina di Stephen Hawking funzionava benissimo solo il cervello.
Ed è proprio questa parte della macchina che gli ha permesso di essere attivo in una delle frontiere più difficili dell’umano sapere: la Scienza. Con il cervello si possono fare tante cose; la meno costosa in termini di energia è quella necessaria per pensare. È talmente poca l’energia che nessuno è riuscito finora a misurarla. Questo ci porta a una semplice conclusione: siamo fatti per «pensare».
Grazie a quello che sono riusciti a fare in Inghilterra con Stephen Hawking siamo sicuri che il nostro cervello funziona anche se il resto della macchina è quasi totalmente in grave crisi. E infatti Hawking era inchiodato su una sedia e non riusciva neppure a parlare. Comunicava via computer ed è così che ci ha reso edotti di ciò che riusciva a pensare. La Scienza ha bisogno che sia in condizione perfetta il nostro cervello. In fondo, è questo il dono più grande che ci viene da colui che ha fatto il mondo. Purtroppo manca alla Scienza la capacità di trascinare le masse, cosa questa che ha saputo fare Hawking.
Uno studio sui legami tra Scienza e masse porta alla conclusione che per saperne qualcosa bisognerebbe riuscire a scrivere l’equazione-uomo. Equazione impossibile per la Scienza che deve invece limitarsi a risolvere un problema alla volta. Mettere insieme tanti problemi sperando di poterli risolvere tutti è la strada che seguirono i nostri antenati, dall’alba della civiltà per decine di migliaia di anni, senza riuscire a capire mai qualcosa, fino ad Archimede nel III secolo a.C. e dopo milleottocento anni a Galilei.
E adesso due parole sui Buchi Neri che sono stati scoperti nel 1915 da Schwarzschild come soluzione dell’equazione di Einstein. Nel 1974 Hawking ha pensato di studiare il fenomeno dei Buchi Neri usando la fisica quantistica. Nessuno aveva avuto l’idea di farlo. Eppure nella materia che ci circonda e di cui siamo fatti, non c’è il continuo, bensì il «quantizzato». È come se, andando dal fruttivendolo, scoprissimo che ci sono in vendita solo arance intere. Non frazioni qualsiasi ma frutti interi. Il nucleo di Idrogeno è fatto con una sola «pallina» nucleare: il protone. Il nucleo di Deuterio è fatto con due palline nucleari: un protone e un neutrone. Il nucleo di Carbonio è fatto con dodici palline, l’Ossigeno con sedici, e così via. Non esiste alcun nucleo che sia fatto con due palline e mezzo, o con frazioni di palline. È merito indiscutibile di Hawking l’avere introdotto nella descrizione teorica dei Buchi Neri la fisica quantistica. Era assurdo trattare i Buchi Neri ignorando le proprietà quantistiche della materia. Vediamone i motivi.
Nella fisica classica esiste la barriera di potenziale. Come dire, da un pozzo non esce nulla. In fisica quantistica la barriera di potenziale classica crolla. È nata così la più importante scoperta teorica sui Buchi Neri. Hawking distrusse l’immagine classica del Buco Nero che inghiotte tutto e basta. Più grande è il Buco Nero, più grande è l’energia che esso emette. Nella fase finale, addirittura esplode, dando vita a un nuovo problema: dopo l’esplosione cosa rimane? Le Leggi Fondamentali della Fisica restano valide o crollano? Su questo fronte l’attività teorica ha portato allo studio della quantizzazione delle Forze Gravitazionali: problema tuttora aperto. È in questo contesto che si inserisce il lavoro di un famoso fisico teorico olandese: Gerardus’t Hooft (Nobel nell’ultimo anno del secondo millennio per aver dato rigore scientifico alla teoria delle forze elettrodeboli). Hooft ha calcolato la temperatura dei Buchi Neri che dovrebbe essere addirittura due volte superiore a quella prevista da Hawking. Ma c’è di più.
Lo studio teorico dei Buchi Neri permette di costruire un laboratorio matematico con il quale cercare di capire le proprietà di queste affascinanti entità astrofisiche. Il fatto che i Buchi Neri emettano radiazioni ed esplodano è certamente una delle più inaspettate e interessanti scoperte, realizzate nel laboratorio matematico dei Buchi Neri, il cui padre è Stephen Hawking.
“Un uomo di infinito coraggio. Così ha letto la mente di Dio”
Il filosofo Giorello: “Era uno scienziato avvincente con grande senso dell’ironia. E il sogno di sposare gli opposti”
Eleonora Barbieri – Gio, 15/03/2018
Giulio Giorello, lei che è filosofo della scienza, che cosa ha pensato quando ha saputo della morte di Stephen Hawking?
«Ho provato un forte senso di dispiacere. Era un ingegno brillante, un uomo coraggioso e una persona dotata di ironia: tre doti che non si ritrovano facilmente in uno stesso individuo. Ero appassionato ad alcune delle discussioni che ebbe con i colleghi, come Roger Penrose; e mi piaceva il suo stile, come nella sua Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo (Rizzoli)».
Uno dei primi bestseller scientifici: ha venduto milioni di copie.
«Sapeva raccontare bene le sue idee, anche al grande pubblico, e aveva uno stile molto efficace, capace di evocare alcune immagini forti. Come quella di poter leggere nella mente di Dio, per capire come sia fatta la natura fisica».
Che cosa ha significato per la scienza?
«Era uno scienziato sottile e preciso insieme. Verso il 1974 fu Hawking, con Jacob Bekenstein, a mostrare che i buchi neri evaporano, cioè emettono una radiazione termica. I buchi neri sono grandi concentrazioni di masse, così potenti che nemmeno la luce riesce a sfuggire».
E invece…
«Hawking è arrivato alla conclusione che i buchi neri fossero un po’ meno scuri di quanto si pensasse. Sembra molto tecnica, ma è una parte affascinante della cosmologia. E poi Hawking fu sempre attratto dal grande scisma avvenuto nella fisica: da una parte la relatività generale, che vale per le grandi masse e dall’altra la fisica quantistica, che ha pregnanza quando si ha a che fare con il micromondo dell’enormemente piccolo».
È qui che entra in gioco la famosa «teoria del tutto»?
«Sì. Il grande sogno di ogni fisico teorico è mettere insieme i due quadri. Ancora oggi, la sfida è far rientrare la gravitazione universale nel contesto quantistico».
Hawking si espresse più volte e in modo ambivalente su Dio. Qual è il rapporto dello scienziato con la fede?
«Dipende molto, caso per caso. Se dovessi dire, dal mio punto di vista ritengo che la fisica, e la scienza in generale, non abbiano alcun bisogno di Dio. Il che non implica un atteggiamento ateistico militante. Conosco alcuni fisici e biologi profondamente credenti e altri che, come minimo, si definirebbero agnostici, come Darwin verso la fine della sua vita, o atei. Io comunque sono portato a tenere separato l’ambito Dio dall’ambito mondo fisico, in senso lato».
Pensa che la malattia abbia influito in questo?
«Io posso solo dire che ero spinto da una forte ammirazione per lui, per il coraggio con cui affrontava una situazione fisica durissima e per l’ingegnosità con cui cercava modi per esprimere le sue idee al resto del mondo: un esempio di meraviglioso coraggio. Che questo possa portare a una posizione atea, non saprei giudicare. E poi un conto è credere in Dio, un conto credere nel Dio delle religioni rivelate. Uno potrebbe pensare a un Dio come grandiosa intelligenza matematica, come il grande Baruch Spinoza, il mio filosofo preferito».
Da scienziato e da inglese, Hawking era scettico.
«In questo c’è un precedente illustre, che è Bertrand Russell. A William James, il pragmatista americano che parlava della volontà di credere, Russell rispose che, per quanto lo riguardava, preferiva la volontà di dubitare. E nel 1928 scrisse quel capolavoro che sono i Saggi scettici. Una certa dose di scetticismo è una dote molto importante per qualunque fisico serio. E intendo serio, non serioso. Basta sfogliare la sua Breve storia del tempo, per capire quanto Hawking fosse avvincente. Su questo, nessuno scetticismo».