Romani contro Sanniti, le Forche Caudine

Romani contro Sanniti, le Forche Caudine – Romans vs Samnites, the “Caudine Forks”

Posted by altaterradilavoro on Feb 8, 2018
Romani contro Sanniti, le Forche Caudine – Romans vs Samnites, the “Caudine Forks”

Nel 321 a.c. i romani si scontrarono con i sanniti. Finì male per i romani. Ancora oggi noi usiamo spesso un’espressione, per misurare la fortuna di una persona in base alle dimensioni del didietro. Essa nacque, all’indomani della sconfitta, tra i romani che volevano prendersi gioco dei soldati umiliati dai sanniti.
I romani avevano stretto un’alleanza con i sanniti, con il trattato di pace del 341 a.c. a conclusione della prima guerra contro quel popolo, combattuta per la difesa di Capua, città sotto l’influenza di Roma. Questa pace sancì un’alleanza, in modo che i due popoli si scontrarono contro i Latini, nemico comune, nella guerra del 340 a.c., vinta agevolmente dai due eserciti alleati.

I romani comunque avevano l’obiettivo di espandersi verso l’Italia meridionale, cosa che confliggeva con i sanniti che avevano mire espansionistiche sullo stesso territorio. I romani, conoscendo la forza dei sanniti, intrapresero una politica di alleanze con le città campane, per costituire una testa di ponte ai confini del Sannio che all’epoca comprendeva quasi tutta la Campania interna, l’Abruzzo, il Molise, parte della Puglia settentrionale e della Basilicata.

Essi fecero anche accordi con Alessandro il Molosso di Taranto, per tener impegnato l’esercito avversario in Puglia, avendo così mano libera in Campania. Fondarono la città di Cales, vicino la sannita Teano, e la nuova Flegellae, vicina l’odierna Ceprano, invadendo il lato sud del fiume Liri, che in base agli accordi di pace era di pertinenza del Sannio.

Intanto anche Palepolis, poi Neapolis (Napoli), si schierò con i romani, o almeno gli abitanti di origine Greca della città, poiché gli Oschi presenti nella stessa erano per una alleanza con i sanniti. Gli Oschi approfittando di un festeggiamento in onore di un dio venerato dalla parte greca della città, fecero entrare nelle mura un esercito sannita forte di 6000 uomini. I greci di Palepolis chiesero l’intervento delle legioni romane per ripristinare il loro potere.

Roma raccolse l’invito e nel 326 a.c. mandò in Campania i consoli Lucio Cornelio Lentulo e Quinto Publilio Filone con le loro legioni. Il primo si schierò lungo il Volturno, mentre Publilio Filone riuscì a entrare in città dove acquartierò i suoi uomini, cacciando le forze sannite presenti. La nuova alleanza tra Palepolis (Napoli) e Roma determinò la rottura del trattato di pace. Questo portò a una serie di scaramucce tra i due eserciti che si conclusero con una umiliante sconfitta sannita nel 322 a.c.

Due legioni romane, ai cui comandi c’erano i consoli Tito Veturio Calvino e Spurio Posturio Albino Caudino, erano accampate a Calatia, nei pressi dell’odierna Caserta, in attesa che venissero svolte trattative per la pace a seguito della sconfitta sannita del 322. Il trattato non fu accettato dai romani, che continuarono pertanto la guerra nel Sannio. Ogni legione contava su circa 10.000 uomini divisi in centurie e manipoli. I legionari erano armati per lo più di “asta” che era una lancia abbastanza lunga e pesante che non veniva lanciata ma usata nello scontro diretto con gli avversari e di uno scudo rotondo di derivazione greca.

I sanniti, comandati da Gaio Ponzio, figlio di Erennio Ponzio, valoroso e saggio capo che si era ritirato a vita privata a causa della sua età avanzata, saputo delle legioni accampate a Calatia, fecero circolare la voce tra i romani, attraverso alcuni loro messaggeri che si erano travestiti da pastori, che Luceria (in Apulia, nord della Puglia), che era una città alleata dei romani, era stata attaccata e posta sotto assedio da truppe sannite.

All’inizio del 321 a.c. le due legioni mossero in aiuto di Luceria cadendo nella trappola tesa dai nemici. Infatti per guadagnare tempo le legioni romane attraversarono la valle che oggi è delimitata da Arienzo e da Arpaia ed è attraversata dalla via Appia, anziché percorrere la strada più sicura che avrebbe portato le truppe sulle rive dell’Adriatico da dove puntare verso sud per raggiungere la cittadina che loro ritenevano in pericolo.

La località della trappola sannita non è stata mai individuata con precisione, poiché ogni luogo preso in considerazione presenta delle dissonanze con la descrizione dei luoghi fatta da Tito Livio nel suo “Ab urbe condita libri”, dove descriveva una stretta vallata con due valichi all’ingresso e all’uscita della stessa. Gli storici sono abbastanza concordi nel riconoscere nella descrizione la valle tra Arpaia e Arienzo.

Le due legioni entrate nella gola della valle trovarono il passo, all’uscita della stessa, sbarrato da alberi e massi, e l’esercito sannita schierato in loro attesa. Avvedutisi della trappola i due consoli ordinarono il dietro-front alle truppe, ma anche l’ingresso della valle era stato nel frattempo ostruito. Le legioni si trovarono completamente circondate dai sanniti che si erano posizionati sulle alture attorno alla gola dove esse si trovavano.

I legionari furono presi dallo sgomento, capendo che non c’era modo di sfuggire a quella trappola e che i sanniti, più numerosi e meglio posizionati, li avrebbero facilmente sconfitti. I comandanti ordinarono comunque l’acquartieramento notturno delle legioni. Pertanto i soldati costruirono l’accampamento, dove avrebbero trascorso la notte, con lo scavo del vallo e il relativo terrapieno, erigendo le tende dei consoli e quelle delle truppe, tra gli schiamazzi irridenti dei nemici. Nel buio si potevano osservare i grandi fuochi chiamati “ndocce”, accesi dai sanniti sulle alture, che li circondavano completamente.

Gaio Ponzio, capo dei sanniti, che per primo si era meravigliato della ingenuità dei romani nel cadere in trappola, mandò dei messaggeri all’anziano padre Erennio per chiedere consiglio sul da farsi. Erennio Ponzio gli consigliò di fare una onorevole pace con i romani, ma Gaio non accettò il consiglio, e sollecitato di nuovo il padre, questi gli rispose di ucciderli tutti, le due soluzioni prospettate da Erennio erano ambedue sagge. La prima metteva in conto la riconoscenza dei romani per la mancata umiliazione e quindi la possibilità di una pace duratura. La seconda, con la distruzione dell’esercito, avrebbe impedito ai romani qualsiasi reazione di vendetta per molti anni a venire.

Nel frattempo i consoli romani mandarono messaggeri per contrattare la resa, che permettesse al loro esercito di tornare a Roma indenne. Gaio Ponzio non accettò ambedue i consigli del padre e, scegliendo la soluzione peggiore, fece una pace con i romani che ripristinava il trattato del 341, prevedendo nello stesso tempo l’umiliazione dei vinti con il disarmo dei legionari, 600 giovani ostaggi romani a garanzia della pace e il passaggio di tutti i legionari sotto un giogo di lance, le cosiddette “Forche Caudine”.

Gli storici latini, tra cui Tito Livio, furono abbastanza riluttanti nel riportare l’episodio delle Forche Caudine. Tutti, comandanti in testa, furono costretti a passare sotto il giogo di lance tra due enormi ali di soldati sanniti. Ecco come descrive l’umiliazione Tito Livio nel suo “Ab urbe condita libri”:

« Furono fatti uscire dal terrapieno inermi, vestiti della sola tunica: consegnati in primo luogo e condotti via sotto custodia gli ostaggi. Si comandò poi ai littori di allontanarsi dai consoli; i consoli stessi furono spogliati del mantello del comando … Furono fatti passare sotto il giogo innanzi a tutti i consoli, seminudi; poi subirono la stessa sorte ignominiosa tutti quelli che rivestivano un grado; infine le singole legioni. I nemici li circondavano, armati; li ricoprivano di insulti e di scherni e anche drizzavano contro molti le spade; alquanti vennero feriti ed uccisi, sol che il loro atteggiamento troppo inasprito da quegli oltraggi sembrasse offensivo al vincitore. »

Quello che Livio non racconta fu che tutti i soldati romani furono sodomizzati, e quelli che si ribellavano vennero uccisi senza pietà.

Lasciate libere, le due legioni si ritirarono verso Capua ma non ebbero il coraggio di entrare in città, tale la vergogna per quello che avevano subito. La popolazione andò loro incontro, li rivestì e li rifocillò, gli vennero fornite armi e perfino gli stendardi consolari. Anche a Roma le legioni si accamparono fuori le mura cittadine. Roma si vestì a lutto, le botteghe furono chiuse, il senato sospese i lavori, tutti si tolsero di dosso gioielli e amuleti in segno di lutto. Consoli e centurioni si chiusero in casa rifiutandosi di uscire. Furono nominati due nuovi consoli dal senato: Quinto Publilio Filone e Lucio Papirio Cursore, che dovettero ricostruire l’esercito ex novo.

Fu allora che si diffuse tra i romani il motto, tutt’oggi largamente utilizzato, che mette in relazione la fortuna con la misura del didietro: quei soldati che avevano un gran didietro erano stati più fortunati in confronto agli altri.

Gli scontri tra romani e sanniti continuarono con fortune alterne protraendosi fino al 305 a.c. quando, nella battaglia di Boviano, le legioni romane, condotte dal console Quinto Fabio Massimo Rulliano, sconfissero duramente i sanniti che l’anno seguente stipularono una onerosa pace mettendo fine alla seconda guerra sannitica.

Bibliografia: Gaetano De Sanctis, Storia dei Romani II, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1907, Amedeo Maiuri, Valle Caudina, in Passeggiate campane, Hoepli, 1940 Paolo Sommella, Forche Caudine, in Antichi campi di battaglia in Italia: Contributi all’identificazione topografica di alcune battaglie d’età repubblicana, De Luca, 1967 it.wikipedia.org/wiki/Localizzazione_delle_Forche_Caudine it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_delle_Forche_Caudine Tito Livio, Ab Urbe condita libri

versione inglese

In 321 BC the Romans clashed with Samnites: it ended badly for the Romans. Even today we often use an expression, to measure the fortune of a person based on the size of the backside, which was created in the following days of the defeat of the Romans who wanted to use bullies to the soldiers humiliated by Samnites.

The Romans had formed an alliance with the Samnites with the peace treaty of 341 BC at the end of the first war against that people, it was fought for the defense of Capua, a city under the influence of Rome. This peace made so that the two peoples fought together against the Latins, common enemy, in the 340 BC war; it was won easily by two allied armies.

The Romans still had the goal of expanding to southern Italy, which contradicted the Samnites who had expansionist designs in the same territory. The Romans, knowing the strength of the Samnites, began a policy of alliances with the cities in Campania, to build a bridgehead on the borders of Samnium (Sannio) which at the time included almost the entire inner Campania, Abruzzo, Molise, part of Northern Puglia and Basilicata.

They also made arrangements with Alexander the Molossian of Taranto, to take committed the Samnite army in Apulia, thus having a free rain in Campania. They founded the city of Cales, near the Samnite Teano, and the new Flegellae, near present Ceprano, invading the south side of the Liri river, which was Samnium relevance under the peace agreements.

Meanwhile Palepolis, then Neapolis (Naples), sided with the Romans with the people of Greek origin in the city, on the contrary the Oscans, present in the same city, were for an alliance with the Samnites. The Oscans did enter into the walls a Samnites army of 6000 soldiers, taking advantage of a celebration in honor of a god worshiped by the Greek part of the city. The Greeks of Palepolis asked the intervention of the Roman legions to restore their power over the city.

Roma responded to the invitation and in the 326 BC it sent in Campania consuls Lucius Cornelius Lentulus and Quintus Publilius Philo with their legions. The first lined up along the Volturno, while Publilius Philo was able to enter the city where quartered his men, chasing away Samnite forces. The new alliance between Palepolis (Naples) and Rome brought the rupture of the peace treaty. This led to a series of skirmishes between the two armies, which ended in a humiliating defeat of Samnites in 322 BC.

Two Roman legions, whose commands were the consuls Titus Veturius Calvinus and Spurius Posturius Albinus Caudinus, were camped in Calatia, near present Caserta, waiting the negotiations was completed for the peace treaty betweem Roma and Samnium, following the Samnite defeat of 322 BC, which then was not accepted by the Romans. Each legion had approximately 10,000 soldiers divided into centuries. The legionaries were armed mostly with the “Hasta” that was a long and heavy spear that was not launched but used in direct confrontation with opponents and a round shield of Greek derivation.

The Samnites were led by Gaius Pontius, the son of Herennius Pontius the brave and wise leader who was retired from public life because of his advanced age, Pontius knew of the legions in Calatia and put the word out among the Romans, through some of their messengers disguised as shepherds, which Luceria (Apulia, north of Puglia), allied of the Romans, was attacked and besieged by Samnite troops.

At the beginning of the 321 BC the two legions moved to the aid of Luceria falling into the trap set by the enemies. In fact, to save time the Roman legions crossed the valley that is today bounded by Arienzo and Arpaia and is crossed by the Via Appia, rather than take the safer route that would bring the troops on the Adriatic coast from where to point towards the south to reach the town they felt in danger.

The location of the Samnite trap was never identified with precision, since every place has considered dissonances with the description of the places made by Tito Livio in his “Ab urbe condita libri“, where he described a narrow valley with two mountain passes at entry and exit of the same, historians are fairly unanimous in recognizing in the description the valley between Arpaia and Arienzo.

The two legions entered the gorge of the valley they found the pass, the exit of the same, blocked by trees and boulders and Samnite army in their wait. Perceiving the trap the two consuls ordered to withdraw to the troops, but also the entrance of the valley had been blocked in the meantime. The legions found themselves completely surrounded by Samnites who were positioned on the hills around the gorge where they were located.

The legionnaires were dismayed realizing that there was no way to escape this trap and that the Samnites, more numerous and better positioned, could have easily won. The commanders nonetheless ordered the night cantonment of the legions. Therefore, the soldiers built the camp, where they would spend the night, with the building of excavation and its embankment, erecting tents of the consuls, and those of the troops, while the enemy insulted them shouting and mocking. In the night they could see big fires called “ndocce”, lit by the Samnites on the hills, which surround them completely.

Gaius Pontius, head of the Samnites, who was marveled at the ingenuity of the Romans in the fall into the trap, sent messengers to elderly father Erennio for ask about what to do. Erennio Pontius advised him to make an honorable peace with the Romans, but Gaius did not accept the advice, and urged again the father, he told him to kill all the Roman soldiers, the two options put forward by Erennio were both wise; the first to put into account the gratitude of the Romans for not humiliation and therefore the possibility of a lasting peace, the second, with the destruction of the army, would have prevented the Romans any reaction of revenge for many years to come.

Meanwhile the Roman consuls sent messengers to negotiate the surrender, that would allow their army to return to Rome unscathed. Gaius Pontius did not accept either the father’s advices and he chose the worst solution; he made peace with the Romans who re-instated the treaty of 341 BC, providing in the same treaty the humiliation of the vanquished with the disarming of the legionaries, 600 young Roman hostages to guarantee peace and the passage of all the legionaries under a yoke of spears, the so-called “Caudine Forks” (Forche Caudine).

The Roman historians, also Tito Livio, were quite reluctant in reporting the episode of Caudine Forks. All the Romn soldiers, the commanders at the head, were forced to go under the yoke of spears between two enormous wings of Samnite soldiers. Tito Livio describes the humiliation in his “Ab urbe condita libri”:

“They were made go out of the embankment, dressed of only tunic: the hostages were delivered in the first place and led away under custody. Then they commanded the lictors to get away from the consuls; the consuls were stripped of the command shell … Before the consuls were passed half-naked under the yoke; then all those who held a degree suffered the same ignominious fate; finally the all legionaries were passed under the yoke. The enemies, armed, surrounded them; they covered the Romans with insults and taunts, and they even stuck up the swords against many Romans; some Romans were injured and killed, if their attitude was too embittered by those outrages and it seemed offensive to the winners. »

Livio does not tell that all the Roman soldiers were sodomized, and who rebelled he was killed mercilessly.

The two legions were released and retreated to Capua, but they did not dare to enter the city, such a shame for what they had suffered. The people of Capua went to meet them, dressed and refreshed them, the weapons and even consular flags were provided. The legions encamped outside the city walls even in Rome. The city dressed in mourning, the shops were closed, the Senate suspended the work, everyone took off jewelry and amulets. Consuls and centurions closed in their house refusing to leave. Two new consuls were appointed by the Senate: Quintus Publilius Philo and Lucius Papirius Cursor, who had to rebuild from scratch the army.

It was then that a motto spread among the Romans, still widely used, that relates the luck of someone with the measurement of his backside: those soldiers who had a large backside had been more fortunate in comparison to others.

The clashes continued between the Romans and Samnites with mixed fortunes and they lasted until the 305 BC when, in the battle of Bovianum, the Roman legions, led by Quintus Fabius Maximus Rullianus, defeated hard the Samnites that the following year entered into an onerous peace by ending the second Samnite war.

fonte

napolihistory.com

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