Perché il loro è ancora un olocausto di serie B?
Giannino Della Frattina – Mer, 07/02/2018
È storia dolorosissima e piuttosto nota, ma mai abbastanza ricordata quella di una terribile edizione dell’Unità, il quotidiano che per decenni si è vantato già nella testata di essere stato fondato da Antonio Gramsci e che in quell’uscita in edicola del 30 novembre 1946, scriveva: «Ancora si parla di “profughi”: altre le persone, altri i termini del dramma.
Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi». L’«alito di libertà», secondo i compagni dell’Unità, era quello degli aguzzini del maresciallo Tito la cui pulizia etnica veniva bonariamente definita «avanzata di eserciti liberatori», mentre «gerarchi, briganti neri» erano definiti gli italiani costretti a fuggire dalle torture e dalla morte nell’orrore delle foibe. Una terribile follia, quella dei giornalisti comunisti (che almeno allora avevano il coraggio di definirsi tali), della quale nessuno ha mai nemmeno sentito il bisogno di chiedere scusa.
Una delle pagine più disgustose della sinistra italiana che fa il paio con il Treno della vergogna, quello che nel 1947 portò ad Ancona gli esuli scappati da Istria, Quarnaro e Dalmazia. Con i ferrovieri che lo ribattezzarono «treno dei fascisti» e lo presero a pietrate alla stazione di Bologna. Tanti anni sono passati, il comunismo è stato sepolto dagli stessi comunisti che oggi sono i primi a vergognarsene e agli esuli istriani e dalmati è stata dedicata per legge il Giorno del ricordo. Ma il loro rimane lo stesso un olocausto di serie B. Nessuno oggi dice più che si sono meritati quelle morti orribili e neppure che erano tutti fascisti, ma insomma un po’ di pregiudizio resta. Ed è facile dimostrarlo, basta pensare alle cerimonie per ricordare il loro sacrificio e l’orrore comunista. Troppo spesso i sindaci di sinistra (come a Milano Giuliano Pisapia) non ci vanno molto volentieri o addirittura non ci vanno proprio, preferendo inviare al loro posto un delegato del Comune.
Un modo per far morire di nuovo i loro cari, per rubargli un’altra volta casa, affetti e patria abbandonati in una notte per evitare lo sterminio che è toccato a tanti di loro o lo strazio delle carni che ha fatto di Norma Cossetto il simbolo eterno di quelle sevizie. Perché le parole (non dette) possono ferire quanto le pallottole. Ci pensi quest’anno il sindaco Giuseppe Sala. Questi nostri fratelli hanno giù sofferto abbastanza per il solo fatto di essere italiani. I comunisti non ci sono più, loro invece ci sono ancora. Con tutto il loro orgoglio.