Ricerca a cura del Prof.Renato Rinaldi sul libro “Briganti e musica popolare dal nord del Sud ”
Prefazione
Il tema del brigantaggio suscita sempre grande interesse collettivo, sia esso trattato per iscritto o con gli altri mezzi di comunicazione: teatro, cinema, arte, musica, poesia, canto e, oggi, mezzi audiovisivi mediatici, che alimentano l’immaginario.
Il motivo di tanta attenzione va ricercato nell’aspetto complesso ed intrigante del fenomeno brigantesco, che sociale, prima ancora che di ordine pubblico e risale a tempi remoti, con le sue particolari caratteristiche, che lo differenziano sostanzialmente da qualsiasi altra forma di delinquenza.
Tito Livio nelle sue Storie testimonia che la campagna romana, all’epoca della Repubblica, era talmente infestata da bande di briganti che fu necessario istituire un apposito corpo di questores e di triumviri capitales con il compito di sgominarle; Silla, per cercare di reprimerle, sottopose i latrones alla legge de sicariis che prevedeva pene severissime, come la crocifissione ed il getto ad bestias. Successivamente, durante l’Impero venne istituita la figura di praefectus vigilum nominato proprio per dare la caccia a quei briganti che, avvalendosi di rifugi sicuri tra le impervie montagne e nei boschi, seminavano terrore a chi percorreva le strade consolari e depredavano i viandanti e gli abitanti dei villaggi isolati.
Lo storico greco Diodoro Siculo fornisce una descrizione dei pastori briganti che vivendo all’aria aperta e muniti di mezzi d’offesa a ragione potevano mostrarsi pieni di ardire e tracotanza: armati di clave, pertiche e grossi bastoni da mandria, coperti con pelli di lupo e di cinghiale, si aggiravano con un aspetto terrificante, non molto dissimile da una vera e propria tenuta di guerra.
Ciascuno di loro era accompagnato da una muta di massicci cani e l’abbondante cibo di latte e carni, di cui disponevano, ne rendeva feroci i corpi e gli animali.
La caratteristica dei briganti era rappresentata dalla capacità di speculare sul malcontento delle masse, sobillando la ribellione che serpeggiava nelle fasce sociali più basse e che aspettava l’occasione per esplodere. Essi, infatti, trovavano solidarietà e aiuto negli strati infimi della popolazione, non solo e non tanto perchè emarginati come loro dalle classi dominanti, quanto soprattutto perchè l’umile gente vedeva nelle gesta dei briganti, spesso e volentieri enfatizzate, un riscatto alla loro vita grama e fatta di privazioni e sacrifici. Da ciò il sorgere, come reazione, del brigante schierato dalla parte del debole contro l’arroganza e la prevaricazione del potere costituito e delle leggi che erano espressione di questo e, quindi, ingiuste perchè tutelavano una parte della
popolazione a danno della povera gente. Conseguentemente, come afferma Stendhal ne “La badessa di Castro”, in fondo il cuore dei popoli era dalla loro parte ed ecco quindi sorgere spontanea l’omertà, la connivenza, la protezione, la disponibilità. Ciò perchè, come sostiene lo stesso autore ne “La Certosa di Parma”, non era frequente il caso che i briganti punissero con le loro imprese le angherie dei governatori di piccole città. Questi governatori, magistrati assoluti il cui stipendio non supera gli otto scudi mensili, obbediscono naturalmente alla famiglia più cospicua del luogo, la quale perciò, con questo mezzo molto semplice, opprime i propri nemici.
Se non sempre, i briganti riuscivano a punire questi piccoli governatori tirannici, almeno s’infischiavano di loro e li sfidavano; e questo non è poco agli occhi di un popolo intelligente come l’italiano.
Non mancano, perciò, figure leggendarie di capi briganti rappresentate e tramandate come protagoniste di imprese eroiche e di valore etico.
Il maggiore sviluppo del brigantaggio si registr? nell’Ottocento, assumendo, in più? di un caso, proprio un alone di romanticismo e quasi un senso eroico e persino patriottico, allorchè? nel Regno di Napoli arrivarono, alla fine del settecento, i francesi e, negli anni dell’Unità? i piemontesi di Casa Savoia.
E’ il periodo in cui molti contadini del Meridione, inferociti da una sempre crescente miseria e delusi nelle aspettative generate dall’arrivo di Garibaldi, soldati sbandati del vecchio esercito borbonico e renitenti alla leva obbligatoria, andarono ad ingrossare quelle bande che, capeggiate e meglio organizzate da comandanti militarizzati e spesso in divise folcloristiche, diedero la prima spettacolare prova di forza, soprattutto nell’area di confine tra il regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio.
E’ in questo contesto storico e geografico che si inserisce la ricerca di Pierluigi Moschitti, il quale fornisce uno spaccato che intreccia ed illustra le storie dei più noti briganti del territorio e gli aspetti del costume, della tradizione, della musica, del ballo che caratterizzarono la loro vita.
L’esposizione accurata, documentata, esposta con semplicità e ben articolata, senza quei ricorrenti appesantimenti di dettagli e puntigliosi riferimenti, cui fanno ricorso alcuni saccenti ricercatori. Il saggio di Moschitti, risulta, quindi, una lettura gradevolissima e scorrevole, integrata da significative iconografie e documenti d’epoca. Il libro, inoltre, corredato di un supporto audio CD con brani musicali della tradizione popolare del territorio, relazionati all’ambiente brigantesco, e con la traduzione di alcuni testi meno intelligibili per consentirne una maggiore comprensione ed una più ampia fruizione.
L’opera, quindi, merita ampia divulgazione anche in ambito scolastico.
L’autore si avvale sapientemente anche della passione e della lunga esperienza di etnomusicologo e di esecutore di musica popolare come componente di affermati gruppi che, per lo specifico riferimento all’obiettivo della ricerca, si chiamano Briganti di Frontiera, Aurunka e Canzoniere dell’Appia.
Aldo Lisetti
Sindaco di Campodimele
e Presidente del Sistema Bibliotecario Sud Pontino