USI E COSTUMI DI NAPOLI E CONTORNI DESCRITTI E DIPINTI OPERA DIRETTA DA FRANCESCO DE BOURCARD – VOLUME PRIMO
NAPOLI – STABILIMENTO TIPOGRAFICO DI GAETANO NOMLE
Vicoletto Salata a’ Ventaglieri num. 14.
1853
Un affresco di Napoli prima che diventasse italiana (1853), tratteggiato dalle migliori penne dell’epoca, come Giuseppe Regaldi, Carlo Tito Dalbono, Francesco Mastriani, Emmanuele Rocco, Emmanuele Bidera, Enrico Cossovich. L’opera fu diretta e pubblicata da Francesco De Bourcard, discendente di una famiglia proveniente da Basilea e trapiantata nel Regno di Napoli.
Scrisse Benedetto Croce: “Gli Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti, opera diretta da Francesco de Bourcard, sona un magnifico libro, che mi meraviglio di non veder lodato e celebrato e ricercato come si dovrebbe, e che forse adesso comincerà a svegliare intorno a se questi meritati sentimenti, adesso che, come tanti altri libri, – dopo la rarefazione bibliopolica prodotta dalla guerra, – è diventato prezioso e quasi introvabile.”
Molte collezioni di costumi si pubblicano tuttodì in Napoli, ma non vi è stato ancora alcuno che ne abbia falla un’opera compiuta, (aggiungendo a ciascun costume o scena popolare una corrispondente descrizione atta ad illustrarla. G però, volgendo in mente da qualche tempo il pensiero che un’opera di tal genere avesse dovuto riuscir gradita sì a’ napolitani che agli stranieri, mi animai a fare quella che offro al cortese lettore. —Essa contiene tutti quegli usi, costumi o scene popolane che, in Napoli e nei suoi contorni, si rendono affatto originali della nostra nazione, lasciando stare qualunque subbietto potesse avere alcun che di comune co’ costumi degli altri paesi stranieri.
Ma per quanto facile mi sembrava a prima vista questa impresa, la rinvenni altrettanto ardua e difficile quando posi mano all’opera; dappoiché per illustrare i nostri costumi in maniera da farsi chiaramente e con tutta verità comprendere, massime agli stranieri, non poca fatica è costata si a me che a’ collaboratori miei per isvelare, con l’aiuto della storia o della tradizione, la origine di un uso; per narrare donde sia derivato un per descrivere la vita che mena il lazzaro o la donnicciuola; per dilettare col racconto di una di quelle tante scene popolari che ad ogni momento vediamo accadere innanzi a’ nostri propri occhi; per dire in qual modo si esercitano da taluni del basso popolo de piccoli mestieri delle industrie tutte particolari, tutte proprie della nostra bella Napoli; e perché infine l’opera avesse il doppio scopo d’istruire e dilettare nel tempo stesso. Oltre a ciò, se la parte letteraria offriva tante difficoltà, non minori se ne presentavano per la parte artistica, avendo io in mente di pubblicare una collezione di costumi che dovesse superare tutte quelle che già erano state fatte in litografia e col bulino; ma, coadiuvato dall’egregio amico mio sig. Filippo Palizzi, non che da altri buoni artisti di questa capitale; ed affidata la cura delle incisioni al chiaro sig. Francesco Pisante, mi accinsi coraggiosamente a cominciare questa opera. E stimando poi che noiosa avesse potuto riuscire scritta da un solo, credetti valermi de’ migliori nostri scrittori, che avevano più rinomanza in tal genere e che potevano variare nella leggiadria dello stile a seconda del soggetto che s’imprendeva a trattare.
L’opera dunque contiene 100 costumi incisi acqua forte e diligentemente coloriti, con la corrispondente illustrazione, di cui cinquanta sono in questo primo volume e cinquanta nel secondo. Inoltre ò fatto precedere all’opera un breve cenno su Napoli, affinché il lettore si formi una idea generale della città di cui s’imprendono a descrivere gli usi ed i costumi.
Quindi io non ò risparmiata né cura, né spesa acciò l’opera intera riuscisse utile per la parte letteraria, bella per la parte artistica e di lusso per la edizione, ond’è che spero i cortesi leggitori le facciano buon viso, e condonino qualche piccola cosa che avesse potuto sfuggire nel dare alla luce un’opera affatto originale, e che può dirsi la prima in tal genere.
L’Editore proprietario
La provincia di Napoli si divide in quattro distretti, di Napoli, cioè, Casoria, Pozzuoli e Castellammare. —Napoli, ch’è il capoluogo della provincia, contava nel 1851, secondo l’ultimo lavoro del censimento, una popolazione di 418, 347 anime e 90, 278 ne contava il rimanente del distretto; Casoria faceva 126, 546 anime, Pozzuoli 68, 659; e Castellammare 153, 170. —Or siccome nel corso di questa opera si parlerà particolarmente dei contorni della provincia, cosi ci limiteremo a fare superficialmente una breve descrizione di tutto ciò che può riguardare la città capitale, toccando soltanto di quelle cose che più sieno degne della osservazione di chi prenderà a leggere questa opera, nel fine di potersi formare quasi di volo una idea della città di cui ci è venuto in mente descrivere i particolari costumi.
Napoli è posta al grado 11. 55’45” a levante del meridiano di Parigi, ed al grado 40. 5147’di latitudine, osservata dalla reale Specola. —È disposta a guisa di anfiteatro, sopra di un cratere che sembra quasi chiuso dalle isole di Capri da una parte, e di Procida e d’Ischia dall’altra.
La prima al mezzogiorno di Napoli n’è distante 17 miglia e 15 l’ultima; il cratere à 73 miglia di circonferenza dal capo di Minerva alla punta di Posillipo, e le aperture che lasciano le dette isole inno, la prima dal capo di Minerva a Capri 3 miglia, e l’altra da Capri ad Ischia 14 miglia. A Napoli dappresso scorre il Sebeto.
Quanto ricco d’onor povero d’onde come disse Metastasio. —Ad oriente si eleva isolato il Vesuvio, il quale ampiamente compensa i piccoli e passaggieri nostri terrori con lo spettacolo magnifico e sublime delle sue eruzioni, i guasti parziali con la fertilità che spande ad esso d’intorno, [‘aspetto terribile e minaccioso di pochi istanti con le perenni sue bellezze e con le contemplazioni che fa nascere nel filosofo. A vista di Napoli, all’est, quasi tra loro concatenati veggonsi a’ suoi piedi i bei villaggi di Portici, di Resina, delle due Torri del Greco e dell’Annunziata con gli avanzi preziosi di Ercolano e di Pompei; all’ovest il colle di Posillipo con le tombe di Virgilio e di Sannazzaro, il capo Miseno, non che le isole d’Ischia, di Procida e di Nisida. Da lontano si vede la catena degli Appennini, di cui un braccio circondando il Vesuvio si distacca per abbracciare parte del cratere di Napoli verso il capo Minerva. Sopra questo braccio di rimpetto a Napoli sono Castellammare, Vico, Sorrento e Massa, villaggi amenissimi ove trovansi magnifiche case di diporto, ridenti colline coperte di vigneti e deliziosi boschetti.
Questo paese, si rinomato per la dolcezza del clima, per la fertilità del suolo e per la bellezza delle situazioni che vi s’incontrano a ciascun passo, à un suolo per lo più sovente calcareo, argilloso per strati e sabbioso lungo le coste, fedi natura vulcanico e di una estrema fecondità. Le lave, le ceneri, le acque e i vapori solforosi vi s’incontrano ad ogni passo. Esso fu frequentemente danneggiato da eruzioni; e nell’anno 79 dopo Gesù Cristo, Ercolano, Pompei e Stabia furono sepolte sotto le lave del Vesuvio: nel 1558 il Monte Nuovo usci con la subitanea esplosione di materie vulcaniche: la solfatara non è che un vulcano estinto; e la Torre del Greco è stata rifabbricata più volte sopra le rovine del paese distrutto dalle lave del Vesuvio: pur nulladimeno non troverete angolo del mondo cosi popolato come le falde di questo nostro amenissimo vulcano.
In Napoli il cielo è quasi sempre puro e sereno: l’aria vi è salubre e libera, e non vi si sentono mai gli estremi del caldo e del freddo: nulla si può immaginare di più delizioso quanto una bella giornata d’inverno a Napoli. Questo sito, in cui la natura fa mostra di tutte le sue bellezze, questo cielo che à una sembianza si ridente ed una quasi perpetua dolcezza di stagioni, questi elementi diciam cosi si docili, che espongono gli abitanti a minori bisogni della vita, se non sempre formano le anime forti e pazienti, danno però grande energia al cuore, ed eccitano una felice illusione alle facoltà dell’anima. Egli sembra che qui più che altrove si creano gl’ingegni per la musica, per la pittura, per la poesia.
La origine di Napoli è cosi antica che si perde nella oscurità delle favole e della più remota età. Tutta l’antichità è d’accordo che una Sirena detta Partenope avesse edificata su questo lido una città dandole il suo nome. Ma chi erano coteste Sirene? La stessa antichità non ce ne lascia che idee stravaganti e contraddittorie. Secondo alcuni questa Partenope vuoisi figliuola di Eumelo, conduttore di una colonia Fenicia, ma più verisimilmente fu costei qualche principessa, o piuttosto figura di un paese delizioso, abitato da un popolo pieno di spirito, renduto molle dalla ridente amenità del cielo e dall’abbondanza del suolo, e però dedito fuor di modo al canto, al giuoco, agli spettacoli, alla crapula. In fatti gli abitanti in ogni età sono stati tratti dall’ozio e dai divertimenti e corrivi agli eccitamenti di allegria e di piacere. Gli antichi scrittori ci àn tramandato che due colonie erano state condotte a Napoli, cioè la Cumana e l’Attica; ma Martorelli à creduto trovare una colonia più antica, cioè la Fenicia. Livio poi à detto che sotto lo stesso cielo vi erano due città, abitate da uno stesso popolo e dette Mepoli e Napoli.
Napoli (città nuova) fu così detta, per quanto si crede, allorché venne la colonia Ateniese; e quindi Partenope fu naturalmente chiamata la città vecchia, ossia Palepoli: nella riunione delle due città prevalse il nome di Napoli; e nell’antichità non viene conosciuta che come città greca..
È stata Napoli una delle più antiche repubbliche d Italia, molto anteriore alla stessa città di Roma. Essa non fu bellicosa e non fu che la sede delle arti e dei piaceri. I Romani, che ridussero tutte le città df Italia sotto il loro giogo, furono moderati e generosi verso Napoli, forse per meglio godere del suo soggiorno: rimase dunque libera e loro alleata, somministrando però in tempo di guerra galee, marinari, soldati e danaio. Divenuti i Romani padroni del mondo allora conosciuto, i più ricchi concorrevano a Napoli per vivervi con libertà, per apprendervi le scienze, per ricuperarvi la sanità e vi solevano tenere modi di vivere alla greca: essi la chiamarono dolce, ridente, seduttrice, favolosa, dotta, oziosa. Augusto la favorì e la protesse. Virgilio vi apprese il buon gusto.
L’imperator Claudio dimorò in Napoli come un particolare e vesti alla greca con tutta la sua famiglia. Nerone venne a Napoli per darvi prova di esser valoroso poeta, e per farvi ammirare il suo canto. Tito ed Adriano non isdegnarono di esercitare a Napoli le cariche di Arconte e di Demarco. L’imperatore Commodo vi fu nominato decemviro quinquennale. Fu celebre il ginnasio napolitano pe’ giuochi, e venne frequentato da quasi tutti gl’imperatori che precedettero Costantino. Essendone stato rovinato il magnifico edilìzio per un tremuoto, venne riedificato da Tito. La repubblica di Napoli possedeva Capri, che Augusto prese per sè, cedendole in cambio l’isola d’Ischia. Da Napoli e da Velia i Romani tiravano le sacerdotesse di Cerere. —Sebbene Napoli fosse una città greca df lingua, di governo e di costumi, tuttavia vi abitavano molti Campani. Ricusò la cittadinanza Romana, quando con da legge Giulia nel 663 di Roma si ammisero a tale prerogativa i Latini e di Socii; e conservando cosi la sua libertà e la sua indipendenza, gli esuli Romani vi trovavano ricovero. Ma col commercio del popolo dominante, come era inevitabile, essa ne acquistò a poco a poco i costumi e la lingua. Napoli con tutto ciò fu oziosa e pacifica per tutto il tempo che durò l’impero Romano di Occidente: le vestigia del grecismo vi si conservarono fino a re Angioini. —Nel declinare dello impero Romano Napoli si distingueva ancora per la palestra, pel ginnasio, pel teatro, per le terme, per gli spettacoli e pel portico delle pitture descritto da Filostrato. Cassiodoro ne parla al conte che doveva governarla come di un paese popolatissimo ed estremamente delizioso. — Caduto l’impero Romano Napoli incorse nella sorte generale di quasi tutte le città d’ltalia; fu travagliata dalle armi straniere e lacerata dalle interne discordie. In uno de’ suoi vicini castelli detto Lucullano, nel 476 si ritirò Augustolo ultimo imperatore Romano, dopo che fu detronizzato da Odoacre re degli Eruli. Napoli soffrì il giogo di questo barbaro. Quando i Goti se ne fecero signori era Napoli. una città grande e ben fortificata. Essi la governarono per mezzo di un conte, ma s’ignora la forma del suo governo. Belisario, generale dello imperadore Giustiniano, l’avrebbe inutilmente assediata, se non si fosse trovata la maniera d’introdurvi i soldati per un acquidotto sotterraneo, onde fu presa nel 536. Napoli fu quindi governata da’ duchi che si mandavano da Costantinopoli. Con tutto il disastro sofferto da Belisario, ne furono le mura riedificate ed ampliale nel 542, e fu in istato di sostenere un assedio contro Totila re de’ Goti. Fu costretta rendersi per fame nel 545, ma Totila la trattò con umanità, contentandosi solamente di farne abbattere le mura. Essendo caduto il regno de’ Goti in Italia con la venuta di Narsete, si fece costui padrone di Napoli nel 555, e la nostra città fu soggetta agli Esarchi, che furono stabiliti a Ravenna Panno 567. Narsete, veggendo diminuito il suo potere dall’autorità di codesti esarchi, invitò per vendetta i Longobardi alla conquista d’Italia.
Fondarono questi barbari nel 568 un potente regno in Italia, ma non possederono Napoli. Gl’imperadori di Oriente vi mandavano i duchi a governarla in loro nome: tuttavolta ella ostentava un’immagine di repubblica sotto la loro protezione, poiché veggiamo che in questi tempi batteva moneta, e che aveva i propri magistrati e le proprie leggi. Secondo Giovanni Diacono nel 751 cominciarono i duchi eletti dal popolo, senza dipendere da Costantinopoli: essi non erano che capi di un governo libero e prendevano il titolo di consoli e di duchi di Napoli. Estesero anche per qualche tempo la loro autorità sopra i ducali di Sorrento e di Amalfi, Furono rifatte le mura di Napoli, per difendersi da’ Longobardi, i quali invano l’assediarono nel 581. Tuttavia i primi Longobardi Beneventani la resero loro tributaria nell’830, e nel 1027 il principe di Capua Pandolfo IV se ne fece signore; ma dopo tre anni Sergio duca di Napoli con l’aiuto de’ Normanni ricuperò il suo ducato, —Le invasioni de’ barbari e le calamità della guerra resero Napoli ignorante e tapina. Nulla vi è restato della sua antica magnificenza prima de’ Romani, ed appena pochi ruderi delle opere costrutte sotto di essi, cioè l’acquidotto detto de’ Ponti rossi, le colonne avanti la porta della chiesa di S. Paolo e pochi resti del teatro nel luogo detto l’Anticaglia. —1 nostri paesi erano allora divisi in piccioli principati, dove il papa ed i due imperadori di Oriente e di Occidente volevano dominare. Siffatta situazione favorì le conquiste e lo stabilimento de’ Normanni. Napoli nel 1139 si sottomise a Ruggiero re di Sicilia, come avevano fatto tutte le città del regno. Il re Ruggiero venne in Napoli nel 4140, ed avendo fatto misurare di notte il circuito delle sue mura, le trovò essere di 2363 passi, cioè meno di due miglia e mezzo. In questo tempo finisce la storia particolare di Napoli e si confonde in quella di tutto il regno.
Una parte interessante della storia particolare di Napoli saranno sempre le ampliazioni che à ricevute in diversi tempi, finché è giunta nello stato in cui oggi la vediamo.
La sua prima ampliazione fu l’unione di Napoli con Palepoli, ossia Partenope; una seconda n’ebbe da Augusto, il quale più probabilmente ne rifece solamente le mura e le torri; ed una terza si crede dal Pontano accaduta al tempo di Adriano, ma non adduce veruna positiva autorità della sua asserzione. L’imperadore Valentiniano, per quanto si ritrae da una iscrizione, le aggiunse nuove fortificazioni ed altri ingrandimenti ebbe sotto i duchi dalla parte del mare. Fu poi maggiormente ampliata da Guglielmo 1 figlio di Ruggiero II, e la città acquistò nuovo lustro e fortuna sotto l’imperatore Federico II, non che sotto Carlo 1 di Angiò, Carlo 11, Giovanna 11, Ferdinando I d’Aragona, che vi stabili le arti della seta e v’introdusse la stampa. Sotto Carlo V, il viceré Pietro di Toledo dilatò le mura di S. Giovanni a Carbonara fino alla collina di S. Eremo e da qui fino a Castelnuovo. Con 1 acquisto che si fece di un proprio Sovrano nel 1734 Napoli divenne la città principale d’Italia per popolazione, per ricchezze e per comodi della vita; e però non pochi abbellimenti e non poche opere di pubblica utilità furono mandati a fine sotto il re Carlo Borbone, e durante il regno di Ferdinando suo figlio; e moltissime ora se ne sono fatte e se ne fanno sotto quello del provvido re Ferdinando li che felicemente ne regge.
Il governo civile e municipale di tutta la città si divideva prima in 29 piazze o seggi, che poi vennero ridotti a sei, cioè cinque pei nobili ed uno pel popolo: ora si divide in dodici ottine o quartieri e sono: — S. Ferdinando — Chiaia — 5. Giuseppe — Montecalvario — Avvocata — Stella — Vicaria—Pendino — S. Lorenzo — Porto — Mercato e S. Carlo all’Arena.
Formano bella una città le strade, le piazze, il lastricato, gli edifizi, gl’ingressi. La nuova e la vecchia città presentano nelle strade due opposti estremi. La prima à molte strade eccessivamente larghe e piazze poco belle ed opportune; la seconda, strade strettissime e piazze piccole e de ” formi. Questo disordine è comune a tutte le città antiche, che han sofferto gran cambiamenti di stato e grandi vicende, e che in diversi tempi sono state riparate ed accresciute.
Le strade di Napoli, oltre all’essere in gran parte irregolari, anguste e senza proporzione con l’altezza degli edifizi, non sono tutte ben livellate con un dolce pendio; oggi però, mercé le benefiche cure dell’attuale Regnante può dirsi che la città prende un nuovo aspetto, poiché moltissime strade sono state già ampliate e livellate per quanto meglio potevasi; ed altre nuove del tutto se ne sono aperte o vanno ad aprirsi al transito del pubblico, le quali più ne facilitano la comunicazione. Eccellente però n’è il lastricato di lave del Vesuvio, che sono il più solido materiale da lastricare le strade. Nel 1792 furono la prima volta messe su’ cantoni delle strade le iscrizioni dei loro nomi e si affissero i numeri a tutte le porte.
Fra strade, vie, vichi, vicoletti, larghi, salite, calate, rampe, sopportici e fondaci se ne contano meglio che 1400.
Napoli generalmente à case altissime con quattro, cinque e sei appartamenti, nella massima parte fabbricate con poco gusto di architettura: queste sono quasi tutte coperte da altane e da terrazzi battuti, i quali se sono di non piccolo vantaggio per Paria che vi si va a respirare e per le delizie onde sono spesso ornati, portano pure l’incomodo di rendere gli ultimi appartamenti freddi o umidi d’inverno e troppo caldi la state; questi terrazzi sono formati con lapillo vulcanico e calce, e si battono in modo da formare un masso solido. Le acque piovane di tali terrazzi raccolte nelle grondaie piombano in mezzo alle strade con grave incomodo di quei che passano; ma anche a ciò à curato di porre rimedio la provvida mente che ci governa e già si vedono oggi le principali strade e gran numero di case delle vie secondarie prive di questo inconveniente, ond’è a sperare che in breve la città tutta ne sia libera. Gli edilizi essendo costruiti di una pietra detta tufo, che si taglia in tutte le forme che si vuole e che fa una forte presa con la calce e pozzolana, ne risulta che essi siéno forti e leggieri. Quindi ancora deriva la singolarità che per ordinario si rifanno le case senza smantellarle, ricostruendole a pezzo a pezzo e tante volte gli abitanti continuano a dimorarvi mentre si rifabbricano. Per gli ornati o per aver maggiore solidità si usa il piperno.
Assai numerose sono le chiese di Napoli: esse sono cariche di marmi, di pitture e di altri ornati, ma pochissime ànno quella maestosa semplicità tanto conveniente a’ tempi. Di fontane, di guglie, di porticati, di colonne, di archi trionfali, di statue Napoli non ne à molte né sempre di buon gusto: di passeggi ne ha un solo, a Chiaia, ma veramente dell’ozioso e magnifico. Del resto l’altezza, se non il gusto degli ediflzi, dà alla città un’aria di magnificenza; e l’amenità del sito, congiunta al movimento della sua gran popolazione, fa poco avvertire la mancanza di essenziali vantaggi che ànno le altre grandi capitali di Europa.
La illuminazione notturna cominciò a Napoli nel 1806: prima la divozione suppliva al difetto di polizia, giacché per tutti gli angoli di strade veggonsi immagini della Vergine o de’ Santi con fanali mantenuti accesi dalla pietà dei complateari: i fanali pubblici che illuminano la città sono più di 1925; e le principali strade ora sono tutte illuminate a gas.
Napoli à sei principali ingressi magnifici più per le scene incantevoli che presentano, che per decorazioni; cioè quello pel ponte della Maddalena sul mare; quello di Porta Capuana; quello del Campo, perché mena al campo di esercizi pe’ soldati che fu aperto nel 1809; quello di Capodichino; quello di Capodimonte; e quello della Grotta di Posillipo, senza tener conto dello ingresso del Vomero.
Si può dire che a Napoli vi sieno quasi: tutte le arti e manifatture, e che molte di esse sieno in uno stato florido. Meritando particolar menzione le fabbriche di lastre, di porcellana, di maioliche, di guanti, di seterie d’ogni sorta, di cappelli di feltro e di paglia, di fiori artifiziati, di oro e di argento filato, di galloni, di corde armoniche, di lavori di pietre dure del Vesuvio, di lavori di ferro e di bronzo dorato, di orificeria e di gioie. L’arte tipografica per la parte meccanica si è di assai migliorata.
Napoli per la sua situazione, per la sua popolazione e per le sue ricchezze potrebbe esercitare il più florido commercio.
Per la giustizia ogni quartiere di Napoli à un giudice conciliatore ed un giudice di circondario, i giudizi del quale sono inappellabili fino a 20 ducati ed appellabili fino a 300. La città con la provincia à un tribunale civile ed una Gran Corte criminale; non che quattro giudici istruttori, presso i quali è la polizia giudiziaria nella dipendenza della corte criminale. Oltre a ciò vi è un tribunale di commercio ed una camera consultiva di commercio per proporre tutto ciò che possa favorire la prosperità del commercio nazionale.
La Gran Corte civile è il tribunale di appello per la provincia di Napoli e per sei altre province più vicine alla capitale.
La Corte Suprema di giustizia non è che l’antica Corte di Cassazione, ed abbiacela tutto il regno al di quà del Faro. Il suo oggetto è di mantenere l’osservanza delle leggi e di richiamare alla loro esecuzione i giudici che se ne fossero allontanati.
Per l’amministrazione, la città con la provincia à per capo un Intendente, assistito da un segretario generale e da un Consiglio d’Intendenza. L’autorità suprema amministrativa è presso la Gran Corte de’ Conti, che abbraccia gli affari di tutto il regno al di quà del Faro.
Per ambedue i regni poi vi è la Consulta di Stato, il cui voto è sempre consultivo e verte sopra quelli oggetti, sieno particolari sieno legislativi, de’ quali viene incaricata per ispeciale commessione del Re.
Pe’ reati militari vi è uno statuto penale militare, restando per tutto il resto, che non è compreso in quello statuto, soggetti i militari alla giurisdizione ordinaria. Vi sono per quei reati i Consigli di guerra detti
di corpo, di guarnigione e di divisione, ed a tutti soprasta l’Alta corte militare per la sola osservanza delle leggi.
In quanto alla polizia, Napoli à un commessario per ogni quartiere; un altro commessario è addetto alle prigioni e sei ispettori invigilano alle barriere della città. Soprasta a tutti un Prefetto, agente primario della polizia ordinaria non solo per Napoli ma anche pel suo distretto.
Finalmente pel governo generale del regno al di quà del Faro vi sono nove Ministeri, cioè: l.° della presidenza del consiglio de’ ministri; 2.° degli affari esteri, 3. di grazia e giustizia; 4.° degli affari ecclesiastici e della istruzione pubblica; 5.° delle finanze; 6.° dello interno; 7.° de’ lavori pubblici#. 0 della guerra e marina, 9.° della polizia generale: inoltre vi è un ministero per gli affari di Sicilia e la Soprantendenza Generale di Casa Reale.
L’amministrazione municipale è affidata al Corpo di città, composto del sindaco e di dodici eletti. Il sindaco è il capo della città e ne dirige tutta l’amministrazione. Ognuno dei dodici quartieri o sezioni, nelle quali è divisa la città, à un eletto con due aggiunti che sono nella immediata dipendenza del sindaco. Ogni eletto è uffiziale dello stato civile nel suo quartiere, e membro nato dell’amministrazione de’ pubblici stabilimenti che vi esistono. Gli aggiunti sono i collaboratori ed i supplenti dell’eletto. Al corpo della città appartiene la polizia annonaria. La città di Napoli à una rendita di oltre a 400 mila ducati. Il vescovato di Napoli è de’ primi secoli della chiesa e conta S. Aspreno per suo primo vescovo, instituito da S. Pietro stesso nel suo primo viaggio d’Italia. La serie degli arcivescovi comincia dal 105.
La cattedrale vien servita da tre ordini di preti, dal capitolo de’ canonici, dal collegio degli eddomadarii e da quello de’ quarantisti. Dopo il capitolo di S. Pietro questo di Napoli è riputato pel più insigne. È stato sempre un seminario di vescovi: molti tra essi sono promossi alla porpora, e tre sono stati elevati ai triregno, cioè Urbano VI, Bonifacio IX, e Paolo IV. ‘ La città è divisa in 40 parrocchie, le quali dipendono dalla cattedrale: le nazioni straniere ne ànno tre, che sono quelle de’ Greci, dei Fiorentini e de’ Genovesi; ma esse sono meramente personali e non locali. Vi sono poi sette parrocchie regie, le quali dipendono dal Cappellano maggiore, che su di esse esercita l’autorità episcopale.
Attualmente sono in Napoli 38 conventi di religiosi, 22 monasteri di monache e meglio di 34 conservatorii.
Le Chiese di Napoli sono 257, ed oltre a queste vi si trovano 57 altre più piccole dette cappelle serotine.
La direzione della pubblica istruzione è affidata ad un Consiglio Generale di più membri sotto la presidenza di un prelato. Essa dà ancora i permessi per la stampa de’ libri, che debbono essere sottoposti alla censura. Se un libro non oltrepassa dieci fogli, il permesso di stamparsi può essere anche dato dalla polizia.
Uno dei primi corpi scientifici è la Reale Società Borbonica, divisa in tre accademie, la prima col titolo di Accademia Ercolanese di Archeologia à 20 soci; la seconda detta delle Scienze ne à 36; e la terza delle Belle Arti ne à 10, oltre un numero maggiore di soci corrispondenti ed onorari: queste accademie tengono le loro sedute nel Reale Museo Borbonico.
L’Istituto d’Incoraggiamento per le arti, e la Società Pontaniana per le scienze, letteratura e belle arti sono protette dal Governo.
Le biblioteche pubbliche sono tre, cioè quella del Reale Museo Borbonico, quella di S. Angelo a Nilo e quella della Università.
La Università degli Studi al Salvatore à congiunti vari gabinetti scientifici. Oltre a questo, vi sono in Napoli tre osservatorii, il primo sulla collina di Miradois, l’altro a S. Gaudioso, ed il terzo all’officio topografico, co’ rispettivi professori; un’officina per isvolgere i papiri ercolanesi nel Real Museo; un Orto Botanico; una scuola di veterinaria, un’altra di paleografia presso il grande archivio; una scuola di pittura, scultura ed architettura nel Real Museo; una di musaici a pietre dure a S. Carlo alle Mortelle; un officio topografico a Pizzofalcone, ed una scuola bene istituita pe’ ponti e strade.
Per l’educazione della gioventù abbiamo il real liceo e collegio del Salvatore; cinque altri collegi, due retti da’ PP. Barnabiti, uno da’ Gesuiti, uno da’ PP. delle scuole pie, uno da’ PP. Cinesi; ed un collegio medico cerusico; due collegi militari, uno alla Nunziatella e l’altro a Gaeta non à guari istituito dal regnante nostro Augusto Sovrano; un collegio di marina ed altro di piloti: inoltre, fra Portici e Napoli, nel sito detto Pietrarsa fu instituita nel 1842 una scuola utilissima, destinata ad istruire un gran numero di giovani nelle arti meccaniche, formandone de’ buoni macchinisti, degni di ogni encomio e di particolare osservazione, perché già vi sono state costruite molte macchine a vapore con tanta perfezione da non far desiderare quelle che ci pervengono dallo straniero. Poi un collegio di musica a S. Pietro a Maiella; due seminari ecclesiastici, uno detto Urbano e l’altro Diocesano. Nel Real Albergo dei poveri vi è una scuola pe’ sordi e muti, ed a S. Giuseppe a Ghiaia un’altra pe’ ciechi. Per la educazione delle donzelle vi sono la Real casa de’ Miracoli e quella di S. Marcellino, entrambe sotto la speciale protezione di S. M. la Regina (N. S.); e l’altra di Regina Coeli Vari monasteri e conservatorii prendono anche cura della educazione delle fanciulle, sotto la direzione delle Suore della Carità.
Vi sono inoltre molte scuole primarie per fanciulli ed altre per le fanciulle; senza parlare delle scuole e pensionati privati che sono in gran numero, come nulla abbiamo detto delle molte biblioteche, de’ musei, dei gabinetti, delle quadrerie de’ privati, che sono oggetti senza stabilità, dipendendo dal gusto individuale, il quale ben di rado si comunica agli eredi.
Vanta poi Napoli due amenissime e deliziose ferrovie; una che da Napoli mena a Portici, Torre del Greco e Torre dell’Annunziata, donde bipartendosi, da un lato continua per Castellammare e dall’altro procede per Pompei, Scafati, Angri e Nocera: la seconda che da Napoli va sino a Capua, toccando Casalnuovo, Acerra, Cancello, Maddaloni, Caserta e Santamaria, con una traversa da Cancello sino a Nola in Terra di Lavoro.
Nello scorso anno fu inaugurato un telegrafo elettrico che dal palazzo Reale di Napoli, avendo corrispondenza con quello di Caserta, giugno sino a Gaeta; ed ora si prolunga per molte altre province de’ domini continentali.
Infine nello scorso anno fu pure menato a termine un vasto bacino da raddobbo, eseguito in brevissimo spazio di tempo sotto la direzione del Ministro di guerra e marina Maresciallo Principe d’Ischitella, donde già sono usciti belli e rifatti uno de’ nostri più grandi vascelli ed altri legni da guerra e piroscafi mercantili.
In Napoli, come quasi per tutta l’Europa, si possono fare tre distinzioni di classi, cioè di nobiltà, di ceto medio e di plebe: distinzioni oggi meno notabili che in altri tempi. Se tutte queste classi confondonsi per alcuni costumi, quelli che ciascuna serba in particolare servono a distinguerle fra esse. Ma è naturale che i costumi del basso popolo richiamino di più l’attenzione degli stranieri, perché da quelli son propriamente formati i distintivi delle nazioni. La coltura e le ricchezze tendono a ravvicinare le altre classi di tutte le culte società europee.
L’alta nobiltà godeva di molte prerogative e di molti privilegi, ed esercitava una grande influenza per mezzo de’ sedili e de’ feudi. Nei 1799 furono abolite le prerogative de’ sedili, e nel 1807 fu distrutta la feudalità. A’ nobili di sedile è rimasto un notamento di famiglie sopra un libro detto di oro, ed a quei che godevan feudi un titolo. Fra questi ultimi coloro che non erano ascritti a’ sedili, furono registrati in un altro libro detto di argento. Prima i matrimoni erano insuperabile ostacolo tra la nobiltà e le altre classi: al presente si è meno difficile ed un ricco borghese può aspirare alla parentela delle più illustri famiglie.
A Napoli si dà onorifico nome di civili a quei del ceto medio, come se si volesse indicare che in essi era ristretta la civiltà tra le estreme classi ignoranti. Ma la vanità fa riguardare come insultanti tal come a coloro che voglion passare per nobili. Noi, che non dobbiamo tener conto di tutte le categorie della vanità, comprendiamo in questa seconda classe i nobili proprietari, i primari mercadanti, i magistrati, gli avvocati, i medici e tutte le persone che ànno una educazione più accurata: in questa classe si rinviene la maggior coltura e quivi si sviluppano i migliori ingegni. Col progresso della civiltà essendo divenute le distinzioni di classi meno notabili e più facili a confondere, si veggono ogni giorno genti nuove prodursi nella società, secondo che il merito personale acquista valore.
La terza classe, di tutte la più numerosa, presenta moltissime gradazioni e sensibilissime differenze, secondo le diverse arti e i diversi mestieri, cui addiconsi le persone. La necessità di lavorare rende più che non si crede morale il maggior numero di questa classe, nella quale moltissime persone manifestano un’attitudine singolare per ogni industria. Degl’individui di questa classe, ben educati e passati a professioni o ad impieghi distinti, non lasciano ravvisare la loro origine; ma con la stessa educazione, se rimangono nel loro stato, appena serbano traccia della educazione ricevuta.
Generale è l’uso in que’ che vendono o fanno lavori dei domandare un prezzo di assai maggiore del giusto; e la prevenzione è tale, che non si crederebbe a chi chiedesse l’esatta valuta.
In Napoli la bellezza è più degli uomini che delle donne. Queste vi sono rispettate dalle leggi e da’ costumi.
Le mode, che influiscono sopra altro più che abiti e cuffie, sono l’occupazione principale delle nostre donne educate; e nelle donne di bassa condizione cresce di giorno in giorno l’ambizione di gareggiare con le prime nelle mode del vestiario.
Generale ed assai lodevole è il costume del popolo Napolitano di prender nell’ospizio de’ proietti qualcuna di quelle creature infelici e di allevarle con la stessa tenerezza che i propri figliuoli: talora si prendono in compenso de’ figli perduti. Essi sono qualificati col bel nome di figli della Madonna, nome ben conveniente a tali vittime innocenti, che la colpa, il pudore o la povertà allontanano per sempre dal seno materno. La compassione è inerente nel napolitano: nelle risse il malconcio è sempre il protetto dagli astanti.
Gli abitanti di Napoli, che vivono sotto un clima salubre e ridente, che ritraggono da un feracissimo terreno i prodotti più opportuni alla vita umana, sono dediti naturalmente a festive allegrezze, e molto disposti e corrivi alla pigrizia ed alla mollezza.
Mostrano grande golosità, ed osservano varie formalità nei piaceri della mensa. Si conosce ciò nel Natale, nella Pasqua, nel S. Martino, nel carnevale, ne’ quali tempi tutto è rito e profusione. Nelle case de’ facoltosi si osserva molto gusto nelle mense ed una varietà di prodotti anche intempestivi della natura, che è una vera sontuosità per gli stranieri. La plebe però ed anche gli artigiani serbano poca decenza nella mensa e son poco delicati ne’ cibi.
La qualità più spiccata del Napolitano è di esser portato al fracassio: va di leggieri in collera e di leggieri si calma; a sangue caldo nelle risse è capace di qualunque eccesso, ma cessato quell’impeto di furore, dimentica tutto, non serba odio ed è incapace di vendicarsi con qualche tradimento.
Parla ad alta voce, è curioso, vuol decidere di tutto. È docile al governo: borbotta, ma obbedisce: i nostri lazzaroni, su i quali si sono scritte tante sciocchezze che i viaggiatori si ànno gli uni con gli altri copiate, furono formidabili sotto il governo debole e dispotico de’ Viceré, ed oggi sono tranquilli e sommessi sotto un Re nato nel loro paese.
La spensieratezza è un’altra qualità del Napolitano, la quale più che dal clima deriva dalla facilità della sussistenza e degl’impieghi. I Napolitani sono stati sempre abilissimi nel maneggio della spada e dei cavalli Son dessi schietti, aperti, cordiali. Amano il loro paese, poco viaggiano; e come ànno scarsi bisogni, si contentano facilmente del necessario. Si rimprovera ad essi la mancanza di coraggio, perché non si sa o non si vuol risalire alle cause di certi avvenimenti; e si dimentica che la plebe napolitana, sola e senza truppa di sorta alcuna, disputò palmo a palmo il terreno all’esercito francese nel 1799, e che in ogni duello tra i Napolitani e gli stranieri la vittoria è stata sempre de’ primi. 11 coraggio de’ popoli niente à che fare con la difficile e complicata arte della guerra, che ad essi non appartiene.
Sono pure i Napolitani vivi, ciarlieri, gesticolatori all’eccesso. Le danze, i canti, i suoni formano un gusto continuo e generale. Il popolo usa il tamburino, le nacchere ed il liuto, che sono tutti strumenti antichissimi, come si rileva dalle pitture di Pompei. Il ballo prediletto è la tarantella, ballo pieno di grazia e di espressione, che si esegue al suono di nacchere e tamburini, mentre qualche altro canta sullo stesso tuono.
In Napoli la religione è vivamente sentita: il lusso del culto è riguardato come parte importante di essa. I tempi ne’ di solenni, decorati di stoffe di cera di musiche, sono affollatissimi ed i Napolitani convengono con gran divozione a tutte le funzioni di chiesa. Il popolo fe divoto per la Vergine Santissima: non vi è bottega che non abbia la sua immagine con una o due lampadi accese, ed altre se ne veggono per tutti gli angoli delle strade con fanali accesi di notte.
Ne’ mesi estivi si fanno a queste immagini belle macchine decorate di ricchi parati, di altari, di musica, di fuochi artifiziati: il tutto con le volontarie contribuzioni de’ vicini e della plebe. Vedrete non di rado le persone indirizzare a tali immagini le più affettuose apostrofi ed esporre ad esse i propri bisogni; ed altri prosteso nel silenzio della notte orare avanti un crocifisso o sul limitare di una chiesa.
Il dialetto del popolo Napolitano vien credulo goffo da quei che non l’ànno né esaminato né compreso. Costoro àn confuso la natia sua lepidezza con la goffaggine, che sono ben diverse cose. L’ingenita allegria del popolo napolitano e la ridente natura che lo circonda, àn creato un linguaggio scherzevole e buffonesco, ma nello stesso tempo pieno di immagini, di grazie, di bei concetti, di sali e di proverbi. Sono conosciuti i napolitani per la prontezza del motteggiare. Il popolo non vi parla che con allusioni e con metafore, mostrando cioè ingegno; ed unisce alle parole un gesto animato e grazioso. Il Napolitano, che adopra il pretto italiano, è meno, degli altri Italiani conosciuto dall’accento. Ci abbiamo molte opere di vario genere scritte nel dialetto napolitano, ed alcune sono assai più che ingegnose. Non si ànno canti nazionali, ma molti de’ popolari piacciono per la loro giovialità o per la loro dolce malinconia.
Napoli fu anticamente celebre per le scienze e per le belle lettere, avendola Cicerone e Seneca chiamata la madre degli studi. Virgilio, Seneca, Orazio, Tito Livio, Claudiano, Boccaccio, il Tasso ed altri uomini insigni vi soggiornarono, e quivi scrissero parte delle loro riputatissime opere. Il primo vi tiene anche il sepolcro.
È patria questa città dello storico Velleio Patercolo, del poeta Stazio, di Urbano VII, di Pontano, Capece, Rota; de’ poeti Costanzo, Sannazzaro, Gio Battista Marino, Tansillo e Salvator Rosa; de’ pittori Luca Giordano, Solimene e di molti altri; degli architetti cavalieri Bernini, Fuga e Vanvitelli; di Ferrante Imperato e Fabio Colonna, naturalisti; del fisico e matematico Giambattista La Porta; de’ filosofi e fisici Francesco Fontana ed Alfonso Borrelli; del letterato e giureconsulto M. Mazzocchi; di Giannone lo storico; di Filangieri il legista; del medico Cotugno; de’ celebri Vico, Genovesi, Gravina. Nè vogliamo obbliare di far qui menzione di un Ambrosi, di un Alessandri, di un Galiani, di un Mattei, del Galanti, di Palmieri e di Pagano, senza nominare gli uomini di fama ancora viventi.
Se nelle altre belle arti vari paesi d’Italia possono pretendere il primato, nella musica nessuno può contendere con Napoli. La nostra scuola musicale moderna fu stabilita nel XV secolo da Ferdinando 1 di Aragona, sotto la direzione di Garnerio e di Gafforio, i quali pubblicarono a Napoli le prime opere sulla musica: altre opere poi sullo stesso subbietto furon pubblicate nel principio del secolo XVII da Pietro Ceroni, che facilitò le regole musicali de’ tre collegi di musica che allora esistevano e che poi vennero nel 1808 riuniti in uno. Fra i caposcuola metteremo Alessandro Scarlatti, Niccola Porpora, Leonardo Leo, Francesco Duranti, Giambattista Jesi, Davide Perez, Niccola Jommelli, Giambattista Pergolesi, Nicola Piccini, Fedele Fenaroli, Giovanni Paesiello, Domenico Cimarosa, Niccolò Zingarelli e Vincenzo Bellini, senza far menzione di tutt’i grandi maestri stranieri usciti dalla scuola musicale di Napoli.
Francesco De Bourcard