4 3 2 1 di Paul Auster

4 3 2 1 di Paul Auster

di Massimo Maugeri

4321È presumibile che nel DNA di buona parte degli scrittori statunitensi destinati a rimanere nella storia della letteratura sia impresso il codice del grande romanzo americano (includiamo nell’accezione «grande» anche la lunghezza dell’opera). Di esempi potrebbero farsene tanti. Il caso più recente è quello del nuovo romanzo di Paul Auster (autore della celebre “Trilogia di New York”) intitolato “4 3 2 1”, pubblicato in Italia da Einaudi, che consta di ben 940 pagine. È probabile che questo libro verrà considerato come il più ambizioso lascito letterario di Auster ai posteri. Ed è altrettanto probabile che con “4 3 2 1” Auster abbia sperato di aggiudicarsi l’edizione 2017 del Man Booker Prize (il più importante riconoscimento anglosassone tributato agli autori di libri in lingua inglese) poi vinto dal suo connazionale e collega scrittore George Saunders con l’ugualmente ottimo (e più breve) romanzo intitolato “Lincoln nel Bardo”, edito in Italia da Feltrinelli (le due opere hanno in comune il nome del traduttore in lingua italiana, la brava Cristiana Mennella).
Il grande romanzo americano di Paul Auster si sviluppa sull’analisi di una domanda tutt’altro che nuova: che tipo di direzione avrebbe preso la nostra vita se anziché effettuare una scelta ne avessimo fatta un’altra, o un’altra ancora? “4 3 2 1” è dunque una storia che si innesta in quello che potremmo definire come il filone delle «sliding doors» (il riferimento è al celebre film di Peter Howitt del 1998, interpretato da Gwyneth Paltrow). Solo che di «porte scorrevoli», ovvero di «destini alternativi», nella vita di Ferguson – protagonista di “4 3 2 1” – Auster ne immagina e ne sviluppa ben quattro (da qui il titolo del romanzo). Per l’autore (lo ha affermato in una delle presentazioni del libro) si tratta di un numero perfetto. Quattro, come i lati del quadrato, come i quattro venti, come i quattro punti cardinali. Del resto, cinque versioni di esistenza – lo ammette lo stesso Auster – sarebbero state troppe.
Il punto di origine di queste storie parallele risale al 3 marzo 1947, data in cui – in quel di Newark – vede la luce Archie Ferguson: figlio di Rose e Stanley. A partire da questa data, come in una sorta di piccolo «labirinto borgesiano delle esistenze», la vita di Ferguson prenderà quattro diverse direzioni (da sportivo a giornalista, da attivista a scrittore) che comunque – in un modo o nell’altro – confluiranno nell’ineluttabile incontro con Amy.
La scrittura di Auster ribolle in un profluvio di parole e frasi che, nonostante la mole dell’opera, e pur richiedendo la collaborazione del lettore in termini di impegno e attenzione, non perde mai il requisito della scorrevolezza e della leggerezza, zigzagando in una sorta di gioco combinatorio di tipo calviniano (viene in mente “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, dove Calvino gioca con i suoi lettori immaginando dieci diversi possibili incipit di romanzo). Al lettore, il compito di introdursi in questo voluminoso e quadriforme «labirinto delle esistenze» per iniziare una godibile e intensa maratona letteraria.