Pontelandolfo, i documenti inediti.

articolo gigi“Il Mattino”- Cultura e Società – del 6 aprile 2014
Pontelandolfo, i documenti inediti.
C’è tanto ancora da scavare sulla nostra storia unitaria.Non bastano gli archivi e le fonti ufficiali,la storia è continua scoperta di nuove tessere di un mosaico complesso. Specie per il periodo risorgimentale, negli ultimi tempi il più dibattuto. Basterebbe prestare attenzione agli storici cosiddetti locali, che hanno a disposizione fonti preziose, come i tanti documenti inediti custoditi da antiche famiglie tramandati da generazioni. Materiale unico per chi abbia voglia e curiosità di non fermarsi alla prima verità apparente, quella più comoda.nConsiderazioni valide per un libro di notevoleminteresse storico:Diari della città di venafro 1860-1861,pubblicato da Palladino editore e curato da Antonio D’Ambrosio. I diari vennero scritti, tra il 1859 e il 1868, dal suddiacono Nicola Nola. I suoi pronipoti lavorano in varie zone d’Italia, ma conservano radici e memorie a Venafro, oggi in Molise, ma fino al 1860 in provincia di Terra di Lavoro. Copie dei diari del 1860 e 1861 si trovano anche alla Biblioteca comunale di Venafro. Gli originali, tutti scritti a penna naturalmente, sono parte dell’archivio della famiglia Nola.
I pericoli, i gattopardismi, le fucilazioni a tradimento, gli eccidi, le altalenanze di potere nei paesi: tutto registra, con pignoleria, il suddiacono. Venafro dista un’ottantina di chilometri da Pontelandolfo e Nicola annota in più pagine ancheinteressanti notizie e dettagli sul famoso eccidio del 14 agosto 1861 compiuto da 500 bersaglieri al comando del tenente colonnello Pier Eleonoro Negri. Annotazioni di prima mano, di un testimone dell’epoca, poco conosciute, che l’autore voleva tenere per sé senza pubblicarle. Quindi più spontanee e di valore.
Il 16 agosto 1861, due giorni dopo l’eccidio, sotto il titolo «Timori Venafraní», il suddiacono parla del “tremendo fatto di Pontelandolfo” e dei suoi contraccolpi a Venafro. È la secca cronaca dell’antefatto dell’eccidio: il 10 agosto i soldati che «trovarono la tomba» perché «i pontelandolfesi li uccisero tutti». Il diario riporta le notizie pubblicate dalla stampa: «I giornali di questa mattina arrecano che ilpaese di Pontelandolfo per castigo è stato interamente incendiato e distrutto». II commento successivo è preoccupato: «Donne, fanciulli, vegliardi senza pane, senza tutto vanno raminghi per la campagna. Oh, Dio misericordia»
E’ la conferma che i sopravvissuti fuggirono dalpaese distrutto, terrorizzati, e si nascondevano temendo le fucilazioni, che pure ci furono, dei giorni successivi. La cronaca a caldo, nel diario di Nicola Nola, è ancora ripresa dai giornali: l’uccisione dei 41 militari, la reazione violenta. Una rappresaglia nei mesi di brigantaggio, in zone ufficialmente non in guerra. La settimana successiva, però, le notizie si precisano meglio, con testimonianze e racconti di prima mano. Non ufficiali. Per questo, il suddiacono ritorna sulla vicenda. E scrive ancora di «Pontelandolfo, borgata di 6mila abitanti, con una ventina di famiglie di galantuomini, capo di circondario».Il canonico fa i conti di quei giorni: 4 liberali uccisi il 7 agosto; 40 «piemontesi loro nemici» il 10 (furono 41 con il tenente Bracci). Poi, la rappresaglia, annotata 7 giorni dopo: «Il colonnello Negri con 500 soldati occupò Pontelandolfo, e per vendicare i 40 mise il fuoco all’intero paese, mentre i briganti, e tutti i rei se ne erano fuggiti, e dei 6mila abitanti chi rimase morto e chi va ramingo, essendo tutto incendiato e disrutto.
Altri 400 fra bersaglieri e guardia nazionale si portarono all’altro paese di Casalduni, forse perché si unì al governo provvisorio di Pontelandolfo, e fu parimenti incendiato e distrutto, e la popolazione tutto o perita, o dispersa. Tutto il di 14 Pontelandolfo bruciò».
Un racconto d’epoca che conferma l’eccidio: altro che solo tredici morti, altro che pagina minore. Della vicenda,in quelle ore se ne parlava e scriveva ovunque. E il canonico rettifica quanto scritto pochi giorni prima: «Pontelandolfo e Casalduni segneranno una pagina di sangue nella storia del 1861. Questo corriga quanto di contrario scrissi nel 16 agosto di questo diario». Il 26 agosto, Nicola Nola torna ancora sulla vicenda e sui suoi effetti, con altre notizie inedite. Parlando di una spedizione di truppe di Isemia contro bande di briganti sul Matese, spiega che, in realtà, i «briganti» erano gli «infelici di Pontelandolfo e Casalduni abbruciati che vagano su per quei monti». E aggiunge, non senza indignazione: «I soldati e gli ufficiali, quasi avessero fatto grandi cose, raccontano che giunti sul Matese hanno fatto strage di briganti con una sola scarica». Dunque, gli abitanti dei paesi in fuga vennero braccati. E molti, rimasti esclusi da ogni conta ufficiale, vennero fucilati nei giorni successi all’eccidio, lontani dalle loro case. Una verità che emerge da un altro episodio, raccontato nel diario del canonico: «Alcuni si precipitarono giù per i burroni,ne presero prigionieri 24, fucilati sullo stesso Matese. Ventiquattro uomini trucidati a sangue freddo». E poi «il gran bottino» raccolto dai militari: «molti animali carichi di roba, vesti, biancherie». Erano le masserizie portate via dai pontelandolfesi dalle loro case in fiamme. II canonico non riesce a rimanere freddo rispetto all’orrore: «Questi sono ifatti che leggendoli nei libri non si crederebbe e pure succedono sotto i nostri occhi». Già, non si
crederebbero. E molti, 153 anni dopo, ancora li negano e ancora non ci credono. Un libro e un documento da consigliare a tutti gli appassionati di ricostruzione storica. Quella vera, non quella strumentale e di comodo.
Gigi Di Fiore
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Il libro-Ricostruiti due anni di violenze

II suddiacono Nicola Noia era uno dei figli di Francesco Noia, per 40 anni giudice nel regno delle Due Sicilie. Nei giorni in cui scriveva il suo diario, il religioso aveva 21 anni e finiva il seminario. Uno zio, Filippo, era direttore dell’arsenale ai cantieri di Castellammare di Stabia. Alla pubblicazione del diario del suddiacono, ha lavorato per due anni, con i suoi collaboratori, il ricercatore Antonio D’Ambrosio (molisano, sindacalista della Cgil e poi presidente regionale del Pd oltre che ex presidente del consiglio regionale molisano). Il testo riguarda solo gli anni dal 1860 al 1861, con 434 pagine piene di fatti. Di interesse, le ricostruzioni sulle violenze a Isernia, sulla battaglia del Macerone, sulle uccisioni a freddo di contadini da parte dei soldati. Catturati, giovani e ragazzini, venivano incolonnati: credevano di essere portati in prigione, erano invece fucilati in sentieri isolati.