Il Monumento ai Caduti
La celebrazione della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate che ha visto come sempre la nutrita partecipazione attiva dell’Istituto Comprensivo S@mnium, oltre che delle autorità civili, militari e religiose e cittadini che credono ancora nei sani valori della vita, ha riportato nella mente di qualcuno il ricordo della storia della realizzazione del monumento ai caduti non a tutti nota. L’opera fu commissionata da alcune famiglie di pontelandolfesi emigrate nella città gemellata di Waterbury nel Nord degli Stati Uniti, direttamente ai maestri scultori di Massa Carrara. I pezzi di marmo giunsero a Pontelandolfo intorno alla metà degli anni Venti e vennero depositati nei locali della cappella–ospedale San Rocco. Passarono diversi anni fino a quando verso la fine degli anni Venti, il Podestà di quell’epoca, l’indimenticabile e indimenticato medico chirurgo Giuseppe Rivellini, fece assemblare il monumento e situare lungo la strada di ingresso al centro del paese.
Nel 1988 venne restaurato dalla ditta casertana Marmonet sulla progettazione affidata all’estro dell’architetto Laura Donsì Gargiulo da Napoli. La comunità sannita ricorda con particolare affetto l’architetto per i suoi trascorsi a Pontelandolfo, paese nel quale si diramavano le sue radici. Il ricordo è ancora più sentito e forte in questi giorni, e una morsa tormenta il cuore triste di tutte le persone che hanno avuto il piacere e l’onore di stringere la sua mano amica, per la prematura scomparsa di Laura dopo aver lottato con grande forza d’animo e coraggio contro un male incurabile fino all’esalazione dell’ultimo respiro. Quello che è il monumento dove anche la sua anima vivrà in eterno, nel 2004 venne definitivamente sistemato con il riassetto dell’area di pertinenza e la posa in opera di una più consona recinzione dall’impresa di un altro personaggio di impatto della comunità, Longo Michele che alla veneranda età di 91 anni, oggi, in ottima salute, ancora insegue nelle radure pontelandolfesi con il fucile in spalla il pelo della lepre sempre più sfuggente.
Gabriele Palladino