Michele Furci – “I Metallurgici di Calabria”

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“Sono ormai trascorsi poco più di ottantacinque anni, da quando, in quel lontano 1881, il rumore delle forge cessò d’echeggiare nella vallata, che delle Serre Aspomontane di Calabria Ulteriore, scende al piano fino al porto di Pizzo. Il silenzio paradossalmente assordante, seguì il gelido freddo nel quale furono costretti a rimanere gli antichi forni fusori, Talchè, con essi, prima che l’ultimo fuoco fosse spento senz’altro si dileguò il fervido brulicare di quello che, tra alti e bassi, era stato l’incessante andirivieni degli addetti alle miniere dell’Appennino Calabrese”.

Esordisce così lo scrittore Vibonese Michele Furci, nel suo bellissimo libro “I Metallurgici di Calabria”, continua, con una frase che si può predire di buon auspicio per la nostra terra e per la nostra gente: “Perché i Calabresi abbiano l’orgoglio di riconoscere le proprie radici e possano cosi, con la dignità dei suoi figli migliori, ritrovare la propria Identità perduta”.

 
Da tempo lontano, in quel lembo di terra posto nel cuore delle Serre Calabrese, dove anticamente, pulsava una realtà economica all’avanguardia, ora invece questa zona viene inconfutabilmente considerata una delle zone più depresse e povere d’Europa, cioè i paesi di Mongiana, Stilo, Campolo, Serra San Bruno, Pazzano, Stilo, e la Ferdinandea, anticamente, erano invece il cuore pulsante della metallurgia di Calabria! Tutto questo finì, amaramente finì, appena la speranza di un’Italia unita, dalle Alpi a Pantelleria sotto un’unica bandiera e sotto una stessa dignità di appartenenza ad uno stato unitario.

Tornando ai tempi del massimo splendore economico dell’apparato metallurgico, quando molto del ferro e manufatti vari del regno delle due sicilie, venivano fabbricati alla Mongiana e fiore all’occhiello il famoso fucile in dotazione alla fanteria Borbonica, cioè il modello “MONGIANA”, si sentì il bisogno, (per abbattere i costi di trasporto e di conseguenza d’essere più competitivi), di procedere alla costruzione di una strada che collegasse Mongiana al porto di Pizzo; cosi, su volere di Re Ferdinando II, si cominciò a realizzare un suo vecchio progetto datato 1828, così nel 1833 nel suo viaggio inaugurale, del complesso della ferriera di Ferdinandea, posto non lontano da Mongiana, accorgendosi della vitale importanza di una strada veloce che collegasse Mongiana a Pizzo, diede mandato all’ingegnere G. Palmieri, nella progettazione della strada denominata “Della Mongiana”, e della realizzazione del ponte posto sul Fiume Angitola. La strada rotabile che dalla marina di Pizzo, conduceva a Mongiana, fu suddivisa in sette tracciati:

1) – Dal Ponte Angitola al ponte nella fiumara di San Nicola da Crissa.

2) – Dal suddetto ponte al piano di Vallelonga.

3) – Dal piano di Vallelonga, all’abitato delle Serre.

4) – Da Serra san Bruno, alla Mongiana.

5) – Dalla Serra, al piano delle Rose Viole.

6) – Da quel punto, alle fonderie di Ferdinandea.

7) – Ultimo tratto, dalla Piazza di Pizzo, fino a scendere ai magazzini dell’artiglieria posti nella Marina.

Costo totale della spesa prevista: 201.800 DUCATI, (16 marzo 1839) A questo si dovette procedere alla realizzazione di un’altra opera abbastanza impegnativa e complessa, cioè alla costruzione del ponte sul fiume sull’Angitola, progettato più ampio di quello esistente costruito nel periodo Murattiano, la costruzione fu approvata con real decreto il 15 maggio 1841, con una spesa complessiva di ducati 58.000 circa.

Nel giro di cinque anni il ponte sull’Angitola fu ultimato e su questo ponte passò soddisfatto Ferdinando II quando ritornò in Calabria nel 1852, durante questo suo viaggio in Calabria aveva altresì promesso anche la costruzione di una nuova strada che da Mongiana andasse alla Ferdinandea, ma questo non avvenne.

All’orizzonte si stava delineando delle nubi catastrofiche, per la nostra dolce patria; Garibaldi e le sue orde con le camicie rosse!!!! Attualmente questo gioiello d’ingegneria Borbonica, lasciato nel degrado più totale, è ancora li, intatto, posto come monito e testimone muto, muto testimone di uno dei periodi più fulgidi e floridi nella storia della Calabria, Il ponte è posto ancora li, a fare bella mostra di se!

Con la sua architettura ben proporzionata, e capace di sostenere fino ad un decennio fa un notevole flusso di traffico, certamente più impegnativo di quello per cui era stato progettato. Peccato che sia stato abbandonato a se stesso coperto di sterpi ed erbacce, utilizzato solo dalle mandrie di pecore e capre che attualmente lo attraversano, dimenticato ponte, degno di essere rivalutato come simbolo di uno splendore che non c’è più.

Architetture del Regno a firma di Giovanni Maduli,

Tratto da:http://www.regnodelleduesicilie.eu/wordpress/architetture-del-regno/34/