Orazio Ulino
Orazio Ulino era per tutti lo iettatore del paese, probabilmente la sua fama gli derivava dall’abitudine di vestire di nero, di inforcare occhiali con le lenti più scure della notte e un Borsalino della medesima tonalità. Per le sue lunghe passeggiate quotidiane aveva scelto come compagno un elegante bastone nero dal pomolo di avorio bianco, il suo incedere, lungo i viali del paese, si distingueva per eleganza e per alterigia.
L’abbigliamento e l’atteggiamento gli avevano guadagnato presso i compaesani la fama di jettatore, attributo che però gli veniva riconosciuto solo alle spalle poiché troppo grande era il timore di inimicarsi lo spiacevole soggetto. Si diceva che incontrarlo portasse sfortuna e la lezione era accompagnata da allusivi gesti scaramantici che persino i genitori, per estrema precauzione, avevano insegnato a noi bambini. Dovevamo per ben tre volte consecutive grattare vigorosamente le nostre parti intime, pare fosse rimedio sicuro per neutralizzare il malocchio.
Era difficile, nel corso della giornata, non incontrarlo. Soleva passeggiare solitario e pensieroso lungo i viali del paese e allungarsi spesso in campagna per controllare i poderi di famiglia.
Orazio Ulino era l’ultimogenito di una nobile famiglia del paese che vantava nobilissimi antenati ricchi latifondisti. Costoro possedevano terre e casali di campagna in diverse parti del paese.
Nei miei ricordi d’infanzia lui appariva all’improvviso come presagio di sventura e se, malauguratamente, capitava di incontrarlo a breve distanza non era semplice cambiare strada senza irritarlo. Persino mettere in atto la strategia scaramantica che i genitori ci avevano tramandato poteva risultare pericoloso perché se gli capitava di accorgersene il suo bastone si alzava minaccioso nell’atto di colpirci e la sua bocca ci riversava addosso una marea di improperi. Era il terrore dei bambini del paese.
Mercoledì è giorno di mercato a Pontelandolfo e le bancarelle erano allestite sin dal mattino presto lungo il viale dell’Impero.
La gente di buon’ora aveva lasciato case e campagne e si era avviata a piedi per chilometri per acquistare generi necessari che non potevano autoprodurre con il loro lavoro nei loro campi. Tra costoro c’era anche Antimuccio, detto Rotolino per la sua evidente pinguedine, sceso di casa verso le nove per scendere verso la piazza del paese attraverso il vicolo del Quarto di Gugliotti per soddisfare la sua atavica fame e il suo bisogno indifferibile di cibo.
Antimuccio aveva fame
La fame di Rotolino in paese non era argomento sconosciuto, aveva sempre avuto fame sin dal suo primo vagito. I genitori, preoccupati per la sua salute, avevano tentato in ogni modo finché, vinti, avevano rinunciato a limitare la sua fame e a ridurre le porzioni di cibo che mangiava.
A sedici anni pesava già più di centodieci chili e nonostante lo scherno di tutti i suoi amici, a dispetto della mortificazione che lo costringeva a tornare a casa in lacrime e a sfogarsi con la mamma, continuava ad affogare nel cibo il suo dispiacere.
Lasciò la scuola per disperazione e perché, con la sua mole, non riusciva più a raggiungere la scuola media all’ingresso del paese, l’edificio era stato costruito al termine di un ripido declivio e bisognava fare un lungo tratto in discesa per raggiungerla. Sarebbe stato per lui facile andare la mattina ma, all’uscita da scuola, sarebbe stato impossibile fare le scale per ritornare sul viale, con lo zaino dei libri sulle spalle e con la fame non placata. Il problema per Rotolino era così grave che, dopo aver promesso al padre di cercarsi un lavoro, abbandonò anzitempo la scuola.
Ma mole posseduta aveva reso la ricerca del lavoro tanto ardua da costringerlo a prendere l’abitudine di alzarsi ad ora tarda e bighellonare per il paese aspettando con ansia l’ora del pranzo.
Con il passare degli anni i chili continuarono così ad accumularsi e la sua taglia a lievitare proporzionalmente alla disperazione dei suoi poveri genitori che, ormai anziani, non riuscivano a intravedere un futuro per il loro figliolo, un figliolo tanto amato nonostante le preoccupazioni e le ansie che procurava loro.
Nessuno riusciva a dare una soluzione al problema fin quando un giorno un suo che lavorava alla ASL diede al padre il consiglio giusto:
“Fagli fare un certificato medico e chiedi che gli venga riconosciuta l’invalidità”.
La soluzione del problema apparve a Rotolino come un dono dal cielo.
Era il periodo in cui egli tentava una dieta ferrea ed era afflitto da una fame insaziabile che gli rendeva pesante le giornate.
La soluzione proposta era fra l’altro l’occasione per ingrassare un altro poco per raggiungere il peso limite per l’invalidità e Rotolino si apprestò all’impegno con la dovuta estrema solerzia.
-Farò l’invalido!- decise Rotolino e … (continua)
C. Perugini & M. Coletta
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