I Racconti di SCARPITTOPOLI – Cicciglio e Miccia Miccia

Cicciglio e Miccia Miccia

A Cicciglio, non si era mai capito quale fosse il suo vero nome, piaceva fare i fuochi d’artificio, lo aveva scelto congedandosi da militare dopo la guerra.
Sotto la leva aveva fatto l’artificiere e l’odore della polvere da sparo gli era penetrata nei pori e nel cervello.
Quando si era congedato ed era tornato a casa gli era venuto naturale scegliere un mestiere che avesse a che fare con la polvere da sparo.
In paese però c’era già un appassionato di polvere pirica, dall’evocativo nome di Miccia Miccia, e il soprannome rendeva onore alla sua specialità nel costruire micce a lenta combustione, indispensabili a comporre fuochi di artificio.
Parve a tutti un fatto naturale che i due scegliessero di mettersi in affari, tra loro era infatti scoccata la fatidica scintilla, mai gioco di parole poteva essere più appropriato, accomunati dalla passione per la polvere pirica e i giochi aerei colorati dei razzi.
Cicciglio e Miccia Miccia, nonostante il religioso trasporto per l’assordante mestiere li rendesse praticamente inseparabili, erano per caratteristiche fisiche e caratteriali totalmente eterogenei il che faceva sì che si bilanciassero e equilibrassero a vicenda.
Si erano scelti con estrema attenzione una casupola a un chilometro dal paese come laboratorio per fare i fuochi e lì, confinati dalla legge e al buio per motivi di sicurezza, confezionavano i colorati involucri.
Il periodo delle feste di Natale era per la ditta Ciccillo e Miccia Miccia il momento d’oro per gli affari. La specialità della premiata ditta erano le “bottamuro” una specie di tracco con all’interno brecce di pietra focaia, lo strumento pirico dopo essere stato scagliato al muro innescava un’esplosione rumorosissima grazie alle scintille prodotte dalle pietre focaie durante l’attrito.
I giovanotti e i ragazzi del paese avevano un’autentica passione per le bottamuro, i soldi guadagnati nel corso dell’anno venivano accuratamente messi da parte, contati e ricontati perchè si faceva a gara a chi potesse comprarne di più nel periodo delle feste, infatti finita la scorta finiva la festa. I ragazzi correvano urlando per gli stretti vicoli del paese lanciando questi pericolosissimi e assordanti petardi contro le case spaventando gli abitanti e guadagnandosi diverse bestemmie relative ai nonni, alle mamme, alla dinastia intera vivente e defunta.

Francutiello e le botteamuro

Francutiello era un ragazzo delle case popolari di origini così umili che sua mamma era costretta a compensare la povertà con abilità culinarie tali da rendere succulenta la minestra di erbe selvatiche che ogni giorno cercava tra i campi, era infatti l’unico modo che avesse per sfamare Francutiello e i suoi cinque fratelli.
L’arrivo del Natale rappresentava per i sei ragazzi la possibilità di mangiare qualcosa di diverso dal solitoe per questo si aspettava con ansia questo freddo momento dell’anno. Per Francutiello, come per tutti i ragazzi del paese, il Natale significava poter dare sfogo alla passione sfegatata per le botta muro che, purtroppo, doveva accontentarsi di guardare, correndo all’impazzata al fianco degli scugnizzi più fortunati.
Durante il periodo natalizio il possesso di tracchi, miccette e bottamuro segnavano la tua appartenenza ad un determinato stato sociale. Gli scugnizzi scapigliati e moccosi che tiravano di soppiatto dalle tasche quanti più pericolosi ammennicoli avevano potere e supremazia nei confronti dei compagni che non potevano comprarli.
La possibilità di girare con i botti in tasca ti faceva importante e venivi trattato con rispetto dai compagni che ti riconoscevano una naturale supremazia.
Quel Natale portò anche a Francutiello la possibilità di elevarsi nella scala sociale dei suoi compagni di avventure poiché ricevette cento lire in regalo dalla nonna per aver sistemato la legna in cantina, un colpo di fortuna incredibile!
Non stava più nella pelle grazie al regalo inaspettato, cominciò a rimuginare mentalmente sul numero di botteamuro che si sarebbe potuto permettere, contava e ricontava, si imbrogliava, ricominciava e quando finalmente si calmò si rese conto che avrebbe potuto comprare ben 5 bottamuro dalla premiata ditta Ciccillo e Miccia Miccia.
Per l’emozione non riuscì a dormire, aveva nascosto accuratamente la cento lire nel cuscino per timore dei fratelli senza scrupoli, si era agitato tutta la notte poiché a volte gli sembrava di non sentire più il rigonfio della moneta tra i fiocchi di lana di pecora, l’unica soddisfazione in quel girarsi e rigirarsi insonne era il pensiero che l’indomani poteva comprare le botte.
Il mattino seguente Francutiello andò come al solito a scuola, stavolta felice poiché aveva programmato il suo acquisto subito dopo l’uscita dalla classe, avrebbe saltato il pranzo ma l’idea dei botti gli faceva scordare la fame.
Al suono della campanella Francutiello uscì da scuola correndo senza fermarsi a dare i soliti quattro calci al pallone sulla piazzetta, di soppiatto, per non inventare scuse si allontanò subito dal gruppo per andarsi a fare i fatti suoi.
Superata la piazza del paese proseguì sotto la teglia avviandosi lungo la provinciale fino a Borrelli, da lì inforcò il sentiero che portava alla casupola dei fuochisti con un sorriso che gli si allargava sul viso.
Sul limitare del sentiero, prima della curva, il sorriso si trasformò in una smorfia di paura, gli veniva incontro, con incedere elegante, in modo tale da non poterlo scansare in alcun modo, un uomo vestito di nero, Sì, era proprio lui, Orazio Ulino, considerato, a torto o a ragione, lo iettatore del paese.
Francutiello, istintivamente, cercò di cambiare strada ma non poté in alcun modo, l’uomo lo stava fissando da lontano, ne sentiva lo sguardo dietro gli occhiali scuri, questo scansarsi avrebbe potuto innervosirlo aumentando la potenza dei suoi strali da uccello del malaugurio.
Il ragazzo pensò allora di affrontare la cosa con diplomazia, lo avrebbe salutato cordialmente, secondo il suo amico Giovanniello, massimo esperto di iettatori, era la strategia giusta per evitare sguardi malevoli da parte del menagramo. Feliciello però non riuscì a non completare la sua opera antijettatura e appena Orazio gli diede le spalle si grattò vigorosamente gli attributi per tre volte, una formula che Giovanniello usava spesso per neutralizzare la sfortuna e che gli aveva rivelato una sera che si sentiva particolarmente generoso, in un orecchio, lontano dalla cerchia dei compagni, mostrando all’amico tutta la sua sapienza di vita.
Scampato il pericolo lo scugnizzo riprese a correre verso la casupola dei fuochisti.
Nel tugurio Ciccillo e Micci Micci erano all’opera tra odore di zolfo e carbonella mentre un contenitore di salnitro traboccava su tavolo di lavoro, fra poco sarebbe arrivato il Natale e si doveva lavorare più del solito anche perché le giornate si erano accorciate, era Dicembre inoltrato, e le ore di luce naturale erano veramente poche.

 

C. Perugini & M. Coletta

©diritti riservati, vietata la riproduzione.