Oltre 50.000 soldati italiani prigionieri negli U.S.A.

Prigionieri privilegiati
di Flavio G.Conti
LIBRI/APPENA PUBBLICATA LA SCONOSCIUTA STORIA DEGLI ITALIANI A LETTERKENNY

ROMA. Oltre 50.000 soldati italiani furono inviati come prigionieri negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Arrivarono a partire dal dicembre 1942 e gli ultimi rimpatriarono nel marzo 1946. Di sicuro furono i più “fortunati” tra tutti i prigionieri italiani. L’alto standard di vita americano, la presenza di milioni di italo-americani e di una Chiesa cattolica ricca e ben organizzata contribuirono a rendere la vita di questi prigionieri più che sopportabile. Per molti anni il tema dei prigionieri italiani negli Stati Uniti è stato trascurato dagli storici. Nel 2012 ho scritto un voluminoso libro pubblicato in Italia, dal titolo “I prigionieri italiani negli Stati Uniti” (Bologna: Il Mulino), che ricostruisce l’esperienza di questi prigionieri, anche attraver-so la storia di numerosi campi di detenzione. America Oggi, nel numero del 5 mag- gio 2016, ha pubblicato un mio articolo sui prigionieri italiani e lo sport durante la detenzione negli Stati Uniti. Oggi un altro tassello viene aggiunto alla conoscenza della storia dei prigionieri italiani negli Stati Uniti. Con il professor Allan R. Perry, ho infatti scritto un libro, pubblicato da poco da Fairlegih Dickinson University Press in collaborazione con Rowman & Littlefield, dal titolo “Italian Prisoners of War in Pennsylvania, Allies on the Home Front, 1944-1945”. Si trat- ta della storia degli oltre 1.200 prigionieri che accettarono di collaborare con gli americani, come la maggior parte degli altri detenuti negli Stati Uniti, e che furono inviati nel Letterkenny Army Depot, a Chambersburg, Pennsylvania. Nel deposito gli italiani lavorarono soprattutto al ricevimento, stoccaggio e poi all’invio di materiale bellico ai fronti di guerra europeo e del pacifico. Per il loro lavoro ricevevano 24 dollari al mese, vestivano divise americane con la scritta “ITALY” sulla manica sinistra, ma soprattutto avevano maggiore libertà e potevano ricevere visite dei molti italoamericani, non solo delle comunità della Pennsylvania, ma anche di New York e di Baltimore. Poterono anche recarsi in visita a parenti e amici italo-americani nei week-end. Numerose storie d’amore nacquero da questi incontri e si conclusero con matrimoni dopo la guerra, grazie ai quali questi prigionieri poterono tornare a vivere negli Stati Uniti. Tra i tanti tornati ci furono Antonio Arganetto, Antonio Brissoni, Alessio Cerri, Filippo Dilisciandro, Marcello Iovine, Marcello Pomi, Armando Ravera, Antonio Tescione, Lelio Tomasina, Alfredo Tonolo, Giuseppe Tuttolomondo. Marcello Iovine, che cambiò poi il suo nome in Marcel Jovine, divenne un famoso architetto e artista, autore, tra l’altro, di medaglie e di giocattoli di successo. Vi furono anche donne americane che ebbero figli dai prigionieri di Letterkenny. Un caso di cui siamo riusciti a ricostruire completamente la storia è quelli di Elio De Angelis e di Betty Gilbert. Elio era sposa- to e tornò dalla sua famiglia in Italia e la giovanissima Betty allevò da sola il figlio Victor. Oggi Victor e Roberto De Angelis, il figlio italiano di Elio, dopo tanti anni sono venuti in contatto e mantengono buoni rapporti. Non tutta la popolazione americana approvava il trattamento riservato ai prigionieri italiani, considerandolo troppo benevolo. Vi furono addirittura accuse di “coddling” e di “pampering”, che costrinsero le autorità militari americane a ridurre i “privilegi” dei prigionieri. Ciò si verificò anche per quelli internati a Letterkenny. Bisogna notare però che le critiche erano dovute in gran parte al fatto che molti americani ignoravano l’importante ruolo che i cooperatori italiani stavano svolgendo in favore dell’economia di guerra americana. In un periodo di carenza di manodopera questi prigionieri fornirono infatti un lavoro essenziale. Anche le associazioni di reduci criticarono aspramente le autorità militari americane perché trattavano troppo bene uomini che fino a poco tempo prima erano stati dei nemici e avevano ucciso soldati americani. I prigionieri di Letterkenny poterono contare sull’assistenza religiosa dei parroci locali e dei cappellani militari, e innanzitutto del delegato apostolico negli Stati Uniti, Amleto Cicognani. Diventato in seguito cardinale e Segretario di Stato vaticano, Cicognani si recò due volte in visita a Letterkenny, nell’ottobre 1944 e nel maggio 1945,portando regali ma soprattuttootizie dell’Italia e facendo da tramite nella corrispondenza tra i prigionieri e i parenti. Ma la storia dei prigionieri di Letterknny è importante anche per un altro motivo. Durante la loro permanenza nel deposito da maggio 1944 a settembre 1945, nelle ore di libertà gli italiani costruirono importanti edifici: l’Assembly Hall, l’anfiteatro, la chiesa. L’anfiteatro è andato perduto ma l’Assembly Hall e la chiesa ancora esistono. Quest’ultima, in particolare, dichiarata monumento storico per la sua bellezza e valenza architettonica, e restaurata nel corso degli anni, è oggi proprietà delle United Churches of Chambersburg che la utilizzano a turno. Il 24 ottobre 2015 un’importante e commovente cerimonia vi si è tenuta. Rappresentanti del Congresso americano, del- l’ambasciata italiana negli Stati Uniti, della municipalità di Chambersburg, della Contea di Franklyn, della parrocchia di Corpus Christi, insieme a parenti dei prigionieri tornati a vivere negli Stati Uniti e a una delegazione di parenti giunti dall’Italia, hanno commemorato i prigionieri, nel settantesimo anniversario del rimpatrio, inaugurando anche una mostra fotografica permanente all’interno della chiesa. Lo stesso giorno si è tenuto un convegno nel Corpus Christi Parish Center, nel quale il professor Perry ed io siamo stati oratori, che ha visto la presenza di un folto pubblico. Ovviamente anche in Italia si è avuto grande interesse per la storia dei prigionieri di Letterkenny. Grazie anche all’aiuto di due parenti di prigionieri – Antonio Brescianini, sindaco di Vimodrone (Milano), e Sara De Giorgis – siamo riusciti a contattare oltre 140 famiglie che hanno costituito un’associazione per preservare la memoria dei quei prigionieri. Un importante convegno si è svolto a Milano nel novembre 2015 ed una mostra fotografica, che ricostruisce attraverso le immagini la vita dei prigionieri a Letterkenny è già stata ospitata in quattro città ita- liane. Possiamo dunque affermare che anche i prigionieri italiani di Letterkenny con il loro lavoro hanno contribuito alla vittoria alleata contro il nazismo e che la loro positiva esperienza di prigionia in America è servita a rafforzare i rapporti tra l’Italia e gli Stati Uniti nel dopoguerra.