Il tesoro di “Castello della Vallana”
Nel 2004 resti strutturali di un insediamento rustico di età romana ascrivibile genericamente alla fase primo-imperiale (I – II sec. d. C.) fu riportato alla luce in località Coste Javarine nell’area montana di Pontelandolfo. Di fronte al sito domina l’altopiano del “Castello della Vallana” dove insisteva un primitivo insediamento, peraltro confermato dalle emergenze archeologiche rinvenute in superficie, i cui abitanti vivevano in eterna conflittualità con quelli del dirimpettaio villaggio di Coste Javarine. Duri erano i contrasti tra i due popoli, che, stante la stretta vicinanza dei territori di appartenenza, si contendevano con frequenza i diritti di pascolare, acquare, legnare, e così via. Narra la leggenda che nel Castello, roccaforte della Vallana, fosse custodito un ingente tesoro. Guardie scelte presidiavano costantemente il prezioso nascondiglio. Nel corso di una notte senza luna, particolarmente buia, gli uomini abitanti del luogo, secondo una divina disposizione, si recarono furtivamente presso un piccolo villaggio nel territorio del limitrofo comune di Morcone. Avvezzi alle perenni lotte con i vicini pastori di Coste Javarine e meglio attrezzati, si sbarazzarono abilmente delle sentinelle di guardia e, non prima di aver messo a ferro e fuoco ogni cosa, rapirono un bambino onde offrirlo in sacrificio come il rito prescriveva. Si avviarono appagati lungo la strada del rientro. Ma, per cause sconosciute, il bambino poco dopo morì. Gli uomini non abdicarono, non avevano mai fallito una missione, pertanto ritornarono sui loro passi. Ancor più avvantaggiati dall’effetto sorpresa, stante lo sgomento della gente inerme ancora in preda al terrore e alla disperazione, riuscirono nell’impresa di sottrarre dalle braccia materne un altro ignaro bambino. Legato stretto alle mani e ai piedi, rinchiusero il fanciullo in un sacco e, esternando grida selvagge di vittoria, condussero l’ambita preda fino al Castello. L’intero villaggio esplose in un accorato boato feroce quando l’anima innocente venne immolata alla causa perseguita. I corpi inermi delle due giovani vittime sacrificali furono delicatamente ricomposti in una urna di legno e inumati in una sepoltura ricavata sotto la robusta pavimentazione di pietra della camera segreta della fortezza, tra l’euforia delle donne acclamanti, e immortalati quali custodi eterni dell’ingente tesoro.
Gabriele Palladino